< Sessanta novelle popolari montalesi
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XXXVII. Testa di Bufala
XXXVI XXXVIII



NOVELLA XXXVII


Testa di Bufala (Raccontata dalla Luisa redora Ginanni)


Un contadino nel campo s'arrovellava a zappare una terra di molto soda, quando a un tratto diede col ferro su qualcosa di duro, sicché cominciò a scalzare adagino da' lati e gli viense fora una Testa di Bufala, ma grossa spropositata, con le su' corna, il pelo e gli occhi luccichenti; in somma la pareva propio viva. Il contadino, in nel vedere quella bruttura, fece per randolargli una zappata a bono; ma la Testa gli disse: - Férmati, nun m'ammazzare, ch'i' sarò la fortuna d'una delle tu' figliole. Mettimi là da parte. Il contadino e' rimanette in nel sentirla parlare a quel mo' la Testa, e si dubitò di qualche incantesimo. La prese dunque, la mettiede là da parte e poi la ricoperse con la su' giubba, perché nun fusse veduta accosì alla prima. Doppo un po' deccoti che viene la bambina maggiore del contadino a portargli da culizione una bella cofaccia. Dice il su' babbo: - Guarda che c'è egli sotto alla mi' giubba. La bambina ubbidì e con le mane 'gli alzò la giubba, ma vista a male brighe quella Testa sì mettiede a strillare: - Oh! che brutto mostro! - e via! scappa di corsa a casa tutta 'mpaurita. La mamma concredendo che fusse successo qualche scangeo al su' marito, disse alla mezzana: - Va' te dal babbo e senti se ha bisogno di nulla; - e anco a lei il contadino gli comandò che guardassi sotto alla su' giubba. Ma la mezzana fece come la maggiore, e fuggì come 'l vento bociando a più nun posso: - Oh! che brutto grugnaccio! Allora la mamma volse che andassi la piccina in sul campo, perché lei era più [310] sderta e ardita dell'altre su' sorelle, e quando il contadino gli disse d'alzar la giubba per vedere quel che c'era sotto, lei scambio d'aver sospetto e di sbergolare principiò a ridere, e lisciava con la mana la Testa: - Oh! che bella testina! che belle cornina! che be' baffetti! Babbo, in dove l'ate trova questa Testa di Bufala? La Testa di Bufala a quelle carezze della bambina s'arrizzò mugolando dal contento, e poi gli domandò: - Che ci vierresti a star con meco? Dice la bambina: - Oh! se il babbo nun me lo niega il permesso, io per me ci viengo a star con voi. A farla corta, il contadino nun fece opposizione punta alla voglia della su' bambina, sicché la Testa di Bufala a ruzzoloni in sulle corna si mettette a camminare e la bambina a salti e sbattendo le mane gli andeva rieto. Cammina cammina, la Testa di Bufala nentrò in un bosco, e quando fu a mezzo, c'era lì per le terre una lapida, l'aperse e turuntù! dientro a balziculi; arriva che fu in nel fondo, disse alla bambina: - Levati gli zoccoli e scendi anco te. Bada, fa' piano, perché la scala è di vetro. La bambina si cavò gli zoccoli e scendette, e c'era un bell'appartamento, ma ricco, che nun ci mancava nulla nemmanco per un Principe. La Testa di Bufala s'accomidò su una sieda e da quel giorno si mettiede a aducare per bene la su' scolara, più meglio che una mamma vera e propia. E gl'imparò i lavori d'ugni sorta, a tienere ravviato il quartieri, a far da cucina, a stirare; e la bambina diviense di molto capace in ugni cosa, e anco in nel leggere e nello scritto, e in quel mentre cresceva a vista d'occhio, sicché in pochi anni s'era fatta una gran bella ragazza, e lei la Testa di Bufala la chiamava mamma. Una sera che tutt'addua stevano lì chiacchierando, deccoti si sente picchiare in sulla lapida di fora. Dice la ragazza: - Mamma, e' picchiano. - Che! ti sarà parso, - arrisponde Testa di Bufala. - I' nun ho sentuto nulla. Chi vo' tu che vienga di notte per queste parti 'gnote? Dice la ragazza: - Eppure qualcuno ha picchiato alla lapida. Sentite, mamma, ripicchian più forte. Dice Testa di Bufala: - Guà! lèvati gli zoccoli per nun romper la scala e va' a vedi chi è. La ragazza dunque in peduli salisce la scala e manda su la lapida, e trova che c'era lì [ 311] un giovanotto molle intinto dall'acqua, che gli disse: - Scusate, fanciulla! Piove a catinelle e cascan troni da ugni lato, e i' ero per qui a caccia e la burrasca m'ha colto all'improvviso e nun so più addove i' sono. I' sentetti discorrire sotto a questa lapida, e però i' presi l'arditezza di picchiare per domandarvi un po' di ricovero. Arrisponde la ragazza: - La padrona nun son io. Bisogna ch'i' senta la mamma se 'gli è contenta. Ma chi siete voi? Dice il giovanotto: - I' sono il figliuolo del Re di questi paesi. La ragazza dunque ridiscendette per sapere se Testa di Bufala si contentava di dare albergo a quel figliolo del Re, e siccome lei disse di sì, il giovanotto viense subbito giù. L'accolsano con gran cortesia e festa, lo feciano tutto mutare, gli asciuttonno i panni e poi gli ammannirono una buona cena con vini prelibati, e doppo che si fu rifocillato gli diedano un bel letto per dormire. Che volete! la cortesia, la festa e il bon viso gli ènno una gran cosa. Quando una ragazza è garbosina e manierata, pole dicerto andare a genio a ognuno; e Dio faccia che tutti i giovanotti le trovino a quel mo' le ragazze da marito! Gli accoglimenti al figliolo del Re gli vienivano da tutt'addua, però le parti le faceva la ragazza, perché Testa di Bufala nun si volse far ma' vedere per nun impaurirlo con la su' bruttezza. Dunque la ragazza lo serviva di tutto punto e gli coceva anco da mangiare, e quando una volta gli ammannì una frittura di pescio, lui si riscosse in nel vedere il su' operato: perché la ragazza, doppo messo l'olio nella padella e che l'olio bolliva, ci ficcò dientro le mane a dita stese e deccoti nuscirno fritti dieci pesci d'oro. Insomma, il giovanotto nun trovava la via d'andarsene e la ragazza 'gli era contenta che lui stasse lì a tienergli compagnia, e finirno con innamorarsi. Ci voleva poco a 'ndovinarlo! Dice il figliolo del Re: - Bella ragazza! Vo' mi garbate troppo per tutt'i conti, e se nun dite di no, i' vi sposo. Arrispose la ragazza: - Da me di no nun lo dico, ma prima i' vo' sentir la mamma. - Oh! - disse Testa di Bufala, - accomidati a tu' piacimento, e se tu vo' lassarmi, lassami pure. Arricòrdati però di nun essere 'ngrata. L'aducazione i' te l'ho data io, e te ha' trovo marito insenza gli ammattimenti di fare all'amore per dimolti anni, come 'gli accade all'altre [312] ragazze. Pòrtati dunque bene e fa' il dover tuo quando te sarà' sposa. Te ha' 'nteso. Avuto il permesso accosì da Testa di Bufala, il figliolo del Re se n'andiede con la promessa di arritornare fra otto giorni a pigliar la su' sposa assieme alla Corte, le donne e i cavaglieri e le carrozze reali; la sposa in quel mentre si preparò tutto il corredo con l'aiuto di Testa di Bufala, e 'gli era un corredo da Regina. Dice Testa di Bufala: - Bada bene! quando te va' via nun ti smenticare di nulla. Che tu nun lassi nulla della tu' robba, se nun vòi che ti succeda qualche disgrazia. Ma il giorno che viense il figliolo del Re con il corteo a menar via la sposa, lei acciaccinata e 'nfurita si scordò pur troppo di dimolte cose; si scordò del pettine, nun disse nemmanco addio a Testa di Bufala, e nun riserrò la lapida del su' appartamento. Soltanto quando furno dilontanati per un pezzo, tutt'a un tratto la sposa si sbatté nella testa con una mana e scramò: - Torniamo arrieto, Maestà, torniamo arrieto! I' ho smenticato in cammera il mi' pettine. Dice il Re: - Che ha' te paura di nun trovar pettini nel mi' palazzo, e che nun ce ne sia da comperarne de' belli alle botteghe della città? Ma lei mezzo disperata gli arrispose: - La mi' paura è che mi succeda qualche disgrazia, perché la mi' mamma ha detto ch'i' nun lassassi nulla di mio a casa, s'i' nun volevo capitar male. M'arraccomando, Maestà, torniamo subbito arrieto. E nun ci fu versi di smuoverla dal su' pensieri, sicché il Principe per contentarla fece arrivoltare i cavalli e si ricondussano alla lapida nel bosco. La lapida 'gli era sempre aperta e la sposa nentrò giù in fretta a cercar del pettine. Dice Testa di Bufala: - Che er'ita via? - Sì, mamma, - arrispose la sposa, - e nella furia mi sono scorda del pettine, e ora nun mi rinusce trovarlo. Dice Testa di Bufala: - Brava disubbidiente! E sie' ita via insenza nemmanco dirmi addio. Bella ricognoscenza per il bene che t'ho volsuto! E po' tu m'ha lasso per insino spalancato l'appartamento. Oh! cercalo da te il pettine, ch'i' nun lo so addove te l'ha' messo. Ma fu tutto inutile, perché il pettine la sposa nun lo potiede ritrovare, e in scambio, nel chinar giù il capo dientro la cassetta del cassettone, tutto d'un [ 313] tratto se lo sentette trasficurire in una giovane testa di bufala. - Oh! mamma, mamma! - urlò quella poera sciaurata. - Ohimmeia, che disgrazia! Corrite, arrimediateci voi, che potete. Dice Testa di Bufala: - Che! io de' rimedi nun ce n'ho. 'Gli è il premio della disubbidienza codesto. Tientelo, che il tu' rimerito tu l'ha 'uto. Scrama la sposa disperata: - Oh! com'i' ho a fare quando il mi' sposo mi vede accosì imbruttita? Dice Testa di Bufala: - Gli convierrà tienerti. Tu sie' la su' sposa. Quel ch'i' posso fare per aitarti deccolo qui. Piglia questo velo e rinvoltaci dientro 'l capo. I' nun posso far altro. Insomma la sposa dovette a quel mo' risalire la scala e rientrare in carrozza a quel mo' imbacuccata con la scusa d'aver freddo; ma quando arrivò al palazzo e il Principe s'accorgette di quel mostro, nun la volse più vedere e la serrò a chiave in una cammera e deva a intendere a tutti, che lui la sposa la tieneva custodita per gelosia. La mamma del Principe però lo sapeva pur troppo quel che gli era successo e ci pativa, perché lui era divento malinconico; sicché gli disse un giorno: - Mandala via quella testaccia di bufala e pigliati un'altra moglie a garbo. Dice lui: - Sì che lo farei, s'i' potessi! Ma come si fa a mandar via questa bruttezza, se è la mi' legittima sposa? Arrisponde su' madre: - Il modo c'è. Dammi retta, ch'i' te lo 'nsegno io. Trascegli dua tra le più belle camberiere e mettile assieme con la tu' brutta moglie e comanda che loro in capo a otto giorni filino una libbra di lino per una; quella che lo fila più meglio pigliala per isposa. Il Principe fece accosì; trascelse le camberiere e le serrò in du' cambere disseparate e gli diede la libbra di lino a filare, e loro ci si messano propio d'impegno. Ma la poera sposa nun concludette nulla; steva ugni sempre a piagnere la su' mala sorte che gli era tocca per la su' smemoriataggine. Il sabbato sera piglia la sposa con seco un servitore e va a trovare Testa di Bufala e gli racconta de' comandamenti del Re. Dice: - 'Gnamo, via! Aitatemi in qualche mo', cavatemi di queste pene, voi che potete. M'ate ridotto accosì, e di fortunata ch'i' ero, per un mancamento insenza mi' volontà, i' sono la più sfortunata di tutte le donne. Arrisponde Testa di Bufala: - Ah! ti pare a te un mancamento di nulla quello della disubbidienza e quello della [314] sconoscenzia? I' nun ti posso aitare. Tieni, soltanto i' ti do questa noce. Domani porgila al figliolo del Re e che lui ne mangi uno spicchio scambio della libbra di lino che t'ha dato a filare. - E nun ci fu versi che Testa di Bufala si piegassi a perdonarla quella poera sposa, sicché lei se n'andiede con la noce infra le mane più disperata di prima. La domenica le camberiere portorno il su' lino al figliolo del Re e alla su' mamma; loro l'aveano filato filo per filo, e la Regina disse: - Eh! nun c'è male. Ma tavìa c'è qualche defetto; nun c'è unitezza. Ma si vegga il lavoro di quest'altra. La sposa gli porgé la noce e gli disse come gli aveva insegno Testa di Bufala; ma il figliolo del Re scramò: - Che mi' vo' te anco canzonare? In ugni mo' la noce l'aperse e dientro ci trovò la libbra del lino ammatassato; ma a perfezione, una maraviglia da nun si credere; rimaseno tutti allocchiti. Dice il figliolo del Re a su' madre: - Il lino, sì, 'gli è bello, nun si pole innegare. Questo grugnaccio però con meco per una libbra di lino i' nun ce lo voglio a nissun patto. Mamma, trovate qualche altro ripiego per libberarmene insenza scandolo. Dice la Regina: - Dagli a queste donne una camicia di tela da cucire, e chi la cuce più meglio dientro otto giorni quella sia la tu' sposa. Deccoti le donne daccapo serrate in cambera accanite in sul lavoro; un puntino per volta, minuto per minuto e' facevan le du' camberiere; ma la sposa, che! sempre a piagnere e la tela non la toccò nemmanco. Il sabbato sera arritorna da Testa di Bufala: - Mamma, aitatemi! i' nun so come fare da mene. Vo' potete levarmi da queste pene e perdonarmi diviato il mi' mancamento. Che avete davvero perso tutto l'amore per la vostra figliola? Dice Testa di Bufala: - Tu sie' pure stucca! Te nun sa' che ugnolare e lamentarti. Nun ci ho mica colpa io se te ti trovi a codesto mo'. Che forse l'avvertenzie non te le diedi a su' tempo? Quel ch'i' posso fare per aitarti deccolo qui. Tieni, dàgli questa nocciòla al figliolo del Re scambio della camicia; che lui la stiacci e se la mangi, e se nun è contento la sputi. Alla sposa gli conviense andar via con quella nocciòla, e nun ottenne altro da Testa di Bufala sempre iscorruccita. La domenica le du' camberiere con le camicie bell'e cucite furno alla presenzia del figliolo del Re e della Regina, che trovorno [ 315] quel lavoro fatto dimolto bene, e tavìa con qualche defetto. Doppo volsan vedere la camicia della sposa; ma lei gli porgette la nocciòla con le parole dettegli da Testa di Bufala. Scrama il figliolo del Re: - Ma dunque te mi vo' sempre canzonare? La nocciòla in ugni mo' la prendette e a male brighe che lui l'ebbe stiaccia, deccoti sorte fora la camicia di tela tutta ricamata a oro, con certi puntini sottili sottili e fitti che manco si potevano scoprire con gli occhi. Dice il figliolo del Re: - Ma questa gli è davvero una meraviglia, un incanto! Sì, mamma! Eppure quel grugnaccio con meco non ce lo voglio per il merito d'una camicia. Trovate qualche altro ripiego per liberarmene insenza scandolo. Dice la Regina: - Oh! per l'ultima volta, veh! e poi 'gli è finita. Comanda a queste tre donne che dientro otto giorni cerchino di farsi belle, e chi sarà la più bella quella sia la tu' sposa addirittura. Figuratevi se le camberiere in quegli otto giorni ci si mettiedano con l'arco della stiena! Sarte a far vestiti, modiste, parrucchieri non ne mancorno a far prove d'ugni sorta; e lì a lavarsi, a lisciarsi, e con pomate a ugnarsi, e po' rossetto e biacca. Che! a zappare si dura manco fatica! Ma la sposa stiede com'un'allocca a piagnere soltanto. Poera donna! che volete che facessi con quella testaccia di bufala in sul collo? Sarebbe stato tutto tempo perso. Il sabbato sera al solito arritornò da Testa di Bufala, che quando la vedde disse: - Che sie' qui daccapo a frignare? Che te nun su' far altro? Dice la sposa: - Ma via! mamma, che nun ate punto core, che mi lassate accosì sconsolata? Che volete voi che faccia ora? Bisogna bene ch'i' mi contenti di piagnere. Se vo' nun mi perdonate, ora poi nun c'è più rimedio con quel mi' sposo. Arrispose Testa di Bufala: - Decco i frutti della disubbidienza e del core cattivo. Che del bene nun te n'avevo fatto? Eppure te andesti via come un cane, insenza nemmanco dirmi addio e ringraziarmi. Dice la sposa: - Ma sì, vo' avete ragione: ma però fu quello un mancamento insenza volontà. Che volete? I' ero tanto allegra, che mi scordai del mi' debito, Dice Testa di Bufala: - Ma ora, se tu dovessi andar via come quel giorno, che te ne scorderesti di me e delle mi' avvertenzie? Scrama la sposa: - No davvero, mamma! I' vi fare' i mi' addii, i' serrere' la lapida, e [316] anco pigliere' tutta quanta la mi' robba, tutta, tutta, tutta. - 'Gnamo, via! - disse Testa di Bufala. - Dunque ti perdono. Va' a ricerca il tu' pettine. La sposa non aspettò il comando per du' volte, e lesta andiede al cassettone per cercare il su' pettine, e a male brighe che l'ebbe trovo, deccoti gli sparisce la brutta testa e gli riviene la su' propria, ma anco a doppio più bella e splendente di prima. Che! saltava e urlava dall'allegrezza, che pareva una matta. Corse da Testa di Bufala, l'abbracciò, la baciò, gli fece mille carezze e ringraziamenti, e doppo se n'andette, chiuse per bene la lapida e arritornò al palazzo. Lei nun n'ebbe bisogno di sarte, di modiste, di parrucchini, né di tignersi e imbrigliarsi come quell'altre; la bellezza l'aveva di suo anco 'gnuda. La domenica dunque c'era tutta la Corte raunata nella sala reale e la Regina 'gli era accanto al Re, tutt'addua sieduti su per aria in nel trono; e deccoti viengono innanzi le tre donne, ma coperte con un velo fitto da capo a' piè. S'avanza la prima camberiera e il Principe gli alza il velo; dice: - Che! èn' tutti cenci. S'avanza la seconda camberiera e il Principe gli alza il velo anco a lei; dice: - Che! gli èn' tutti nastri e tigniture. Ma quando vedde la su' sposa, rimanette di stucco; scrama: - Deccola la mi' moglie! Deccola come quando i' la trovai dientro la buca e più bella che nun era allora. Cara madre, la scelta i' l'ho fatta; la mi' sposa è quella che m'incanta con la su' bellezza e le su' bone grazie. La prendette per la mano e la mettiede a siedete accanto a sé in sul trono, e tutta la Corte l'acclamò come Regina; e da quel giorno la sposa e il figliolo del Re se ne stiedan trionfenti e camporno felici e contentoni come Pasque.

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