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II
Questi erano i pensieri e l’opere del pontefice, intento con tutto l’animo alla sollevazione de’ viniziani. Ma da altra parte il re de’ romani e il re di Francia, desiderosi parimenti della loro depressione e malcontenti delle dimostrazioni che faceva per essi il pontefice, e perciò venuti insieme in maggiore unione, convennono di assalire quella state con forze grandi i viniziani: mandando da una parte il re di Francia Ciamonte con potente esercito, al quale si unissino le genti tedesche che erano in Verona; e da altra parte Cesare, con le genti le quali sperava ottenere dallo imperio nella dieta di Augusta, entrasse nel Friuli, e presolo procedesse ad altre imprese secondo che gli mostrasse il tempo e l’occasioni. Alla qual cosa ricercorno il pontefice che, come obligato per la lega di Cambrai, concorresse coll’armi insieme con loro; ma esso a cui era sommamente molesta questa cosa rispose apertamente non essere tenuto a quella confederazione, che aveva giá avuta perfezione poiché era stato in potestá di Cesare avere prima Trevigi e poi ricompenso di danari. Ricercò similmente Massimiliano il re cattolico di sussidio per le obligazioni medesime di Cambrai, e per le convenzioni fatte seco particolarmente quando gli consentí il governo di Castiglia, ma con prieghi che l’accomodasse piú tosto di danari che di genti; ma egli, non si disponendo a sovvenirlo di quel che piú aveva di bisogno, gli promesse mandargli quattrocento lancie, sussidio a Cesare di poca utilitá perché nell’esercito franzese e suo abbondavano cavalli.
Nel quale tempo, essendo la cittá di Verona molto vessata da’ soldati che la guardavano perché non erano pagati, le genti viniziane, chiamate occultamente da alcuni cittadini, partitesi da San Bonifazio, si accostorono di notte alla cittá per scalare castello San Piero essendo entrati per la porta San Giorgio dove mentre dimorano, per congiugnere insieme le scale, perché separate non ascendevano all’altezza delle mura, o sentiti da quegli che guardavano il castello di San Felice o parendo loro vanamente udire romore, impauriti, lasciate le scale si discostorono; donde l’esercito si ritornò a San Bonifazio, e in Verona venuta a luce la congiurazione ne furono puniti molti.
Inclinò in questo tempo l’animo del pontefice a riunirsi col re di Francia, mosso non da volontá ma da timore; perché Massimiliano dimandava superbamente che gli prestasse dugentomila ducati, minacciandolo che altrimenti si unirebbe col re di Francia contro a lui; e perché era fama che nella dieta di Augusta si determinerebbe di concedergli aiuti grandi, e perché di nuovo tra il re di Inghilterra e il re di Francia era stata fatta e publicata con solennitá grande la pace: e perciò molto strettamente cominciò a trattare con Alberto da Carpi, col quale era proceduto insino a quel dí con parole e speranze generali. Ma perseverò poco tempo in questa sentenza: perché la dieta di Augusta, senza le forze della quale erano in piccola estimazione i minacci di Cesare, non corrispondendo all’espettazione, non gli determinò altro aiuto che di trecentomila fiorini di Reno, sopra il quale assegnamento aveva giá fatte molte spese; e dal re di Inghilterra gli fu significato avere nella pace inserito uno capitolo ch’ella si intendesse annullata qualunque volta il re di Francia offendesse lo stato della Chiesa. Dalle quali cose ripreso animo e ritornato a’ primi pensieri, aggiunse contro al duca di Ferrara nuove querele. Perché quel duca, dappoi che ’l golfo fu liberato, avea poste nuove gabelle alle robe che per il fiume del Po andavano a Vinegia; le quali, allegando il pontefice che secondo la disposizione delle leggi non si potevano imporre dal vassallo senza licenza del signore del feudo, e che erano in pregiudicio grande de’ bolognesi suoi sudditi, faceva instanza che si levassino; minacciando altrimenti assaltarlo con l’armi: e per fargli maggiore timore fece passare le sue genti d’arme nel contado di Bologna e in Romagna. Turbavano queste cose molto l’animo del re: perché da una parte gli era molestissimo il pigliare l’inimicizia col pontefice, da altra parte lo moveva l’infamia d’abbandonare il duca di Ferrara, dal quale per obligarsi alla protezione avea ricevuto trentamila ducati; né meno lo moveva il rispetto della propria utilitá, perché dependendo totalmente Alfonso da lui e augumentando tanto piú nella sua divozione quanto piú vedeva perseguitarsi dal pontefice, ed essendo lo stato suo alle cose di Lombardia molto opportuno, riputava interesse suo il conservarlo. Però si interponeva col pontefice perché tra loro si introducesse qualche concordia. Ma al pontefice pareva giusto che ’l re si rimovesse da questa protezione, allegando averla presa contro a’ capitoli di Cambrai: per i quali, fatti sotto colore di restituire quello che era occupato alla Chiesa, si proibiva che alcuno de’ confederati pigliasse la protezione de’ nominati dall’altro, e da sé essere stato nominato il duca di Ferrara: e di piú, che alcuno non si intromettesse delle cose appartenenti alla Chiesa. Confermarsi il medesimo per la confederazione fatta particolarmente tra loro a Biagrassa, nella quale espressamente si diceva che ’l re non tenesse protezione alcuna di stati dependenti dalla Chiesa e non ne accettasse in futuro, annullando tutte quelle che per il passato avesse preso. Alle quali cose benché per la parte del re si rispondesse, contenersi nella medesima convenzione che ad arbitrio suo si conferissino i vescovadi di qua da’ monti, il che il pontefice avere violato nel primo vacante, avere medesimamente contravenuto in favore de’ viniziani a’ capitoli fatti a Cambrai, onde essergli lecito non osservare a lui le cose promesse; nondimeno, per non avere per gli interessi del duca di Ferrara a venire all’armi col pontefice, proponeva condizioni per le quali, non si contravenendo totalmente né direttamente al suo onore, potesse il pontefice restare in maggiore parte sodisfatto negli interessi che la Chiesa ed egli pretendevano contro ad Alfonso; ed era oltre a questo contento obligarsi, secondo una richiesta fatta dal pontefice, che le genti franzesi non passassino il fiume del Po, se non in quanto fusse tenuto per la protezione de’ fiorentini o per dare molestia a Pandolfo Petrucci e a Giampaolo Baglione, sotto pretesto de’ danari promessigli dall’uno e intercettigli dall’altro.