< Storia d'Italia < Libro VI
Questo testo è completo.
Libro VI - Capitolo XI Libro VI - Capitolo XIII

XII

Il re di Francia, per le difficoltá della conclusione della pace, licenzia gli ambasciatori spagnuoli. Patti conclusi dal re di Francia con Massimiliano e con l’arciduca. Morte di Federigo d’Aragona. Morte di Elisabetta di Castiglia: disposizioni del suo testamento.

Trattavasi in questo tempo medesimo strettamente la pace tra il re di Francia e i re di Spagna; i quali simulatamente proponevano che il regno si restituisse al re Federigo o al duca di Calavria suo figliuolo, a’ quali il re di Francia cedesse le sue ragioni, e che al duca si maritasse la reina vedova nipote di quel re, che era giá stata moglie di Ferdinando giovane d’Aragona. Né era dubbio il re di Francia essere alienato tanto con l’animo dalle cose del regno di Napoli che per sé arebbe accettato qualunque forma di pace, ma nel partito proposto lo ritenevano due difficoltá: l’una, benché piú leggiera, che pure si vergognava abbandonare i baroni che per avere seguitato la parte sua erano privati de’ loro stati, a’ quali erano proposte condizioni dure e difficili; l’altra, che piú lo moveva, che, dubitando che se i re di Spagna avendo altrimenti nell’animo proponessino a qualche fine con le solite arti questa restituzione, temeva che, consentendovi, la cosa non avesse effetto, e nondimeno alienarsi l’animo dello arciduca, il quale, desiderando di avere il regno di Napoli per il figliuolo, faceva instanza che la pace fatta altre volte da sé andasse innanzi. Però rispondeva generalmente, desiderarsi da sé la pace ma essergli disonorevole cedere le ragioni che aveva in quel regno a uno aragonese; e da altra parte continuava le pratiche antiche col re de’ romani e con l’arciduca: le quali come fu quasi certo dovere avere effetto, per non le interrompere con la pratica incerta de’ re di Spagna, dimostrando per maggiore suo onore muoversi per le difficoltá che toccavano a’ baroni, chiamati a sé gli imbasciadori spagnuoli, e sedendo nella sedia reale presente tutta la corte, con cerimonie solenni e solite usarsi rare volte, si lamentò che quei re con le parole mostravano desiderio della pace dalla quale erano colla intenzione molto distanti; e perciò, non essendo cosa degna da re consumare il tempo in pratiche vane, essere piú conveniente che si partissino del regno di Francia.

Dopo la partita de’ quali vennono oratori di Massimiliano e dello arciduca per dare perfezione alle cose trattate; nelle quali, perché si indirizzavano a maggiori fini, interveniva il vescovo di Sisteron, nunzio residente ordinariamente in quella corte per il pontefice, e il marchese del Finale mandato propriamente da lui per questa negoziazione: la quale essendo molte altre volte stata ventilata, e dimostrandosi l’utilitá molto grande a tutti questi príncipi, ebbe facilmente conclusione che il matrimonio, trattato prima, di Claudia figliuola del re di Francia con Carlo primogenito dello arciduca avesse effetto; aggiugnendo, per maggiore corroborazione, che fusse confermato col giuramento e con la soscrizione del re di Francia, di Francesco monsignore d’Angolem, il quale, non nascendo al re figliuoli maschi, era il piú prossimo alla successione, e di molti altri signori principali del regno di Francia: che annullate per giuste e oneste cagioni tutte le investiture dello stato di Milano concedute insino a quel dí, Massimiliano ne concedesse la investitura al re di Francia per sé e per i figliuoli maschi, in caso n’avesse, e non avendo maschi fusse per favore del matrimonio predetto conceduta a Claudia e a Carlo, e morendo Carlo innanzi al matrimonio consumato fusse conceduta a Claudia e al secondogenito dell’arciduca, in caso ch’ella si maritasse a lui: che tra il pontefice il re de’ romani e il re di Francia e l’arciduca si intendesse fatta confederazione a difesa comune e a offesa de’ viniziani, per recuperare le cose che occupavano di tutti: che Cesare passasse in Italia personalmente contro a’ viniziani, e poi potesse passare a Roma per la corona dell’imperio: che per la investitura, il re di Francia, come ne fusse espedito il privilegio, pagasse a lui sessantamila fiorini di Reno e sessantamila altri fra sei mesi; e ciascuno anno, nella festa della Nativitá del Signore, un paio di sproni d’oro: che a’ re di Spagna fusse lasciato luogo di entrarvi infra quattro mesi, ma non dichiarato se, in caso non vi entrassino, fusse lecito al re di Francia di assaltare il regno di Napoli: che il re di Francia non aiutasse piú il conte palatino, il quale, stimolato da lui e sostentato dalla speranza de’ soccorsi suoi, era in guerra grave col re de’ romani: esclusi i viniziani, benché gli oratori loro fussino dal re sempre molto gratamente uditi e che ’l cardinale [di Roano], per liberargli di ogni sospetto, promettesse continuamente, con molto efficaci parole e giuramenti, che mai il suo re contraverrebbe alla confederazione che aveva con loro. Queste cose si contennono nelle scritture stipulate solennemente; oltre alle quali si trattò che Cesare e il re convenissino insieme in quel luogo che altre volte si determinasse, promettendo il re che allora libererebbe di carcere Lodovico Sforza, dandogli onesto modo di vivere nel regno di Francia; la salute del quale si vergognava pure Cesare di non procurare, ricordandosi quanto per le promesse fattegli e per la speranza avuta vanamente in lui si fusse accelerata la sua rovina. Però, e quando il cardinale di Roano andò a trovarlo a Trento aveva operato che gli fusse rimesso molto della strettezza con la quale prima era tenuto, e ora faceva instanza che liberamente potesse stare nella corte del re o in quella parte di Francia che al re piú sodisfacesse. Promesse ancora il re, a instanza sua, la restituzione de’ fuorusciti del ducato di Milano, sopra la quale erano state nella pratica di Trento molte difficoltá. La quale capitolazione, essendo tanto utile per lo arciduca e per Massimiliano, si credeva che, non ostante le spesse sue mutazioni, avesse a andare innanzi; essendovi compreso il pontefice, ed essendo grata al re di Francia, non tanto per cupiditá che avesse allora di nuove imprese quanto per desiderio di ottenere la investitura di Milano, e di assicurarsi di non essere molestato da Cesare e dal figliuolo.

Morí quasi ne’ dí medesimi il re Federigo a Tors, privato al tutto di speranza d’avere piú per accordo a recuperare il regno di Napoli: benché prima ingannato, come è cosa naturale degli uomini, dal desiderio si fusse persuaso essere piú inclinato a questo il re di Spagna che il re di Francia, non considerando essere vano sperare nel secolo nostro sí magnanima restituzione di uno tanto regno, essendone stati esempli sí rari eziandio ne’ tempi antichi disposti molto piú che i tempi presenti agli atti virtuosi e generosi, né pensando essere alieno da ogni verisimile che chi aveva usato tante insidie per occuparne la metá volesse, ora che l’aveva conseguito tutto, privarsene: ma nel maneggio delle cose si era accorto non essere minore difficoltá nell’uno che nell’altro, anzi doversi piú disperare che chi possedeva restituisse che chi non possedeva consentisse.

Nella fine di questo anno medesimo morí Elisabeth reina di Spagna, donna d’onestissimi costumi e in concetto grandissimo, ne’ regni suoi, di magnanimitá e di prudenza: alla quale apparteneva propriamente il regno di Castiglia, parte molto maggiore e piú potente di Spagna, pervenutagli ereditaria per la morte di Enrico suo fratello, ma non senza sangue e senza guerra. Perché se bene era stato creduto lungamente che Enrico fusse per natura impotente al coito, e che perciò non potesse essere sua figliuola la [Beltramigia], partorita dalla sua moglie e nutrita molti anni da lui per figliuola, e che per questa cagione Elisabeth, vivente Enrico, fusse stata riconosciuta per principessa di Castiglia, titolo di chi è piú prossimo alla successione, nondimeno levandosi alla morte sua in favore della Beltramigia molti signori della Castiglia, e aiutandola con l’armi il re di Portogallo suo congiunto, venute finalmente le parti, appresso a..., alla battaglia, fu approvata dal successo della giornata per piú giusta la causa d’Elisabeth: conducendo l’esercito Ferdinando d’Aragona suo marito, nato ancora esso della casa de’ re di Castiglia e congiunto a Elisabeth in terzo grado di consanguinitá; e il quale essendo poi succeduto, per la morte di Giovanni suo padre, nel regno di Aragona, si intitolavano re e reina di Spagna. Perché, essendo unito al regno d’Aragona quello di Valenza e il contado di Catalogna, era sotto l’imperio loro tutta la provincia di Spagna la quale si contiene tra i monti Pirenei, il mare Oceano e il mare Mediterraneo, e sotto ’l cui titolo, per essere stata occupata anticamente da molti re mori, si comprende, come ciascuno di essi faceva uno titolo da per sé, il titolo di molti regni; eccettuato nondimeno il regno di Granata che, allora posseduto da’ mori, fu dipoi gloriosamente ridotto da loro sotto lo imperio di Castiglia, e il piccolo regno di Portogallo e quello di Navarra molto minore, che avevano re particolari. Ma essendo il regno di Aragona, con la Sicilia, la Sardigna e l’altre isole appartenenti a quello, proprio di Ferdinando, si reggeva da lui solo, non vi si mescolando il nome o l’autoritá della reina. Altrimenti si procedeva in Castiglia, perché essendo quel regno ereditario di Elisabeth e dotale di Ferdinando si amministrava col nome con le dimostrazioni e con gli effetti comunemente, non si eseguendo cosa alcuna se non deliberata ordinata e sottoscritta da tutt’a due; comune era il titolo di re di Spagna, comunemente gli imbasciadori si spedivano, comunemente gli eserciti s’ordinavano, le guerre comunemente s’amministravano, né l’uno piú che l’altro si arrogava della autoritá e del governo di quello reame. Ma per la morte di Elisabeth senza figliuoli maschi apparteneva la successione di Castiglia, per le leggi di quel regno, che attendendo piú alla prossimitá che al sesso non escludono le femmine, a Giovanna figliuola comune di Ferdinando e di lei, moglie dell’arciduca: perché la figliuola maggiore di tutte, che era stata congiunta a Emanuel re di Portogallo, e uno piccolo fanciullo nato di quella erano molto prima passati all’altra vita. Onde Ferdinando, non aspettando piú a lui, finito il matrimonio, l’amministrazione del regno dotale, aveva a ritornare al piccolo regno suo di Aragona, piccolo a comparazione del regno di Castiglia per la strettezza del paese e dell’entrate e perché i re aragonesi, non avendo assoluta l’autoritá regia in tutte le cose, sono in molte sottoposti alle costituzioni e alle consuetudini di quelle provincie, molto limitate contro alla potestá de’ re. Ma Elisabeth, quando fu vicina alla morte, nel testamento dispose che Ferdinando mentre viveva fusse governatore di Castiglia; mossa o perché, essendo sempre vivuta congiuntissima con lui, desiderava si conservasse nella pristina grandezza o perché, secondo diceva, conosceva essere piú utile a’ suoi popoli il continuare sotto il governo prudente di Ferdinando, né meno al genero e alla figliuola; a’ quali, poiché alla fine aveano similmente a succedere a Ferdinando, sarebbe beneficio non piccolo che insino a tanto che Filippo, nato e nutrito in Fiandra ove le cose si governano diversamente, pervenisse a piú matura etá e a maggiore cognizione delle leggi delle consuetudini delle nature e de’ costumi di Spagna, fussino conservati loro sotto pacifico e ordinato governo tutti i regni, mantenendosi in questo mezzo come uno corpo medesimo la Castiglia e l’Aragona.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.