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XVI
Alla quale, rimosse tutte le difficoltá che prima avevano impedito, cioè il rispetto dell’onore del re di Francia e il timore di non alienare da sé l’animo dell’arciduca, aveva trovato modo facile la morte della reina di Spagna: perché e il re di Francia, essendogli molestissima la troppa grandezza sua, era desideroso di interrompergli i suoi disegni; e il re di Spagna, avendo notizia che l’arciduca, disprezzando il testamento della suocera, aveva in animo di rimuoverlo dal regno di Castiglia, era necessitato a fondarsi con nuove congiunzioni. Però si contrasse matrimonio tra lui e madama Germana di Fois, figliuola di una sorella del re di Francia, con condizione che il re gli desse in dote la parte che gli toccava del reame di Napoli; obligandosi il re di Spagna a pagargli in dieci anni settecentomila ducati per ristoro delle spese fatte, e a dotare in trecentomila ducati la nuova moglie. Col quale matrimonio essendo accompagnata la pace, fu convenuto: che i baroni angioini e tutti quegli che avevano seguitato la parte franzese fussino restituiti senza pagamento alcuno alla libertá alla patria e a loro stati degnitá e beni, nel grado medesimo che si trovavano essere nel dí che tra franzesi e spagnuoli fu dato principio alla guerra, che si dichiarò essere stato il dí che i franzesi corsono alla Tripalda; intendessinsi annullate tutte le confiscazioni fatte dal re di Spagna e dal re Federigo: fusse liberato il principe di Rossano i marchesi di Bitonto e di Giesualdo, Alfonso e Onorato Sanseverini e tutti gli altri baroni che erano prigioni degli spagnuoli nel regno di Napoli: che il re di Francia deponesse il titolo del regno di Ierusalem e di Napoli: che gli omaggi e le recognizioni de’ baroni si facessino respettivamente alle convenzioni sopradette, e nel medesimo modo si cercasse l’investitura dal pontefice; e morendo la reina Germana in matrimonio senza figliuoli la parte sua dotale si intendesse acquistata a Ferdinando, ma sopravivendo a lui ritornasse alla corona di Francia: fusse obligato il re Ferdinando ad aiutare Gastone conte di Fois, fratello della nuova moglie, al conquisto del regno di Navarra quale pretendeva appartenersegli, posseduto con titolo regio da Caterina di Fois e da Giovanni figliuolo di Alibret suo marito: costrignesse il re di Francia la moglie vedova del re Federigo a andare, con due figliuoli che erano appresso a sé, in Spagna, dove gli sarebbe assegnato onesto modo di vivere; e non volendo andarvi, la licenziasse del regno di Francia, non dando piú né a lei né a’ figliuoli provisione o intrattenimento alcuno: proibito all’una parte e all’altra di fare contro a’ nominati da ciascuno di loro; i quali nominorono tutt’a due in Italia il pontefice, e il re di Francia nominò i fiorentini: e, a corroborazione della pace, che tra i due re si intendesse essere perpetua confederazione a difesa degli stati; essendo tenuto il re di Francia con mille lancie e con seimila fanti, e Ferdinando con trecento lancie dumila giannettari e seimila fanti. Dopo la qual pace fatta, della quale il re d’Inghilterra promesse per l’una parte e per l’altra l’osservanza, i baroni angioini che erano in Francia, licenziatisi dal re, il quale per la tenacitá sua usò loro alla partita piccoli segni di gratitudine, andorono quasi tutti con la reina Germana in Spagna; e Isabella, stata moglie di Federigo, licenziata del regno dal re di Francia perché ricusò di mettere i figliuoli in potestá del re cattolico, se ne andò a Ferrara.
Nella quale cittá, essendo poco innanzi morto Ercole da Esti e succedutogli nel ducato Alfonso suo figliuolo, accadde, alla fine dell’anno, uno atto tragico simile a quegli degli antichi tebani, ma per cagione piú leggiera, se piú leggiero è l’impeto sfrenato dell’amore che l’ambizione ardente del regnare. Perché essendo Ippolito da Esti cardinale innamorato ardentemente d’una giovane sua congiunta, la quale con non minore ardore amava don Giulio fratello naturale di Ippolito, e confessando ella medesima a Ippolito tirarla sopra tutte l’altre cose a sí caldo amore la bellezza degli occhi di don Giulio, il cardinale infuriato, aspettato il tempo comodo che Giulio fusse a caccia fuora della cittá lo circondò in campagna, e fattolo scendere da cavallo gli fece da alcuni suoi staffieri, bastandogli l’animo a stare presente a tanta sceleratezza, cavare gli occhi come concorrenti del suo amore: donde tra’ fratelli poi seguitorono gravissimi scandoli. Cosí si terminò l’anno mille cinquecento cinque.