< Storia d'Italia < Libro XI
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III

Milizie spagnuole, condottieri pontifici ed i Medici contro la repubblica fiorentina. Ambasceria dei fiorentini al viceré e richieste di questo. Preparativi di difesa a Firenze e tentativi di accordi col pontefice. Dispareri in Firenze per le richieste del viceré, convocazione del consiglio maggiore e discorso del gonfaloniere; deliberazione del consiglio; il viceré sotto Prato; sua inclinazione agli accordi.

Espedite le cose della dieta, il viceré tornato nel bolognese mosse subito le genti contro a’ fiorentini; a’ quali il non avere prima saputo quel che a Mantova si fusse deliberato aveva lasciato brevissimo spazio di tempo a fare i provedimenti necessari. Congiunsesi con lui, giá vicino a’ confini, il cardinale; il quale, non avendo gli spagnuoli artiglierie da battere le muraglie, aveva fatto muovere da Bologna [due] cannoni; e a lui erano venuti Franciotto Orsino e i Vitelli condottieri della Chiesa ma senza le compagnie loro, perché e a loro e agli altri soldati della Chiesa l’aveva vietato il duca di Urbino: il quale, con tutto che nella corte sua fusse stato nutrito qualche anno Giuliano de’ Medici e che sempre avesse fatto professione di desiderare la grandezza loro, aveva negato, quale si fusse la cagione, di accomodargli d’artiglierie e di aiuto alcuno de’ soldati e sudditi suoi, e non ostante che il pontefice a lui e a’ sudditi delle terre vicine della Chiesa avesse con ampli brevi comandato il contrario.

Al viceré, subito che fu entrato nel dominio fiorentino, venne uno imbasciadore della republica; il quale dimostrando l’osservanza avuta sempre al re d’Aragona, quali fussino state l’azioni loro nella prossima guerra, e quel che il suo re potesse sperare da quella cittá ricevendola nella sua amicizia, lo pregò che innanzi procedesse piú oltre significasse quello che ricercava da’ fiorentini, perché alle dimande convenienti e che fussino secondo le forze loro gli sarebbe liberalmente corrisposto. Rispose: non essere la sua venuta deliberata solamente dal re cattolico ma da tutti i confederati, per la sicurtá comune d’Italia; conciossiaché, mentre che il gonfaloniere stava in quella amministrazione, niuna sicurtá si poteva avere che in qualunque occasione non seguitassino il re di Francia. Perciò, in nome di tutti, dimandare che il gonfaloniere fusse privato del magistrato, e si costituisse forma di governo che non fusse sospetta a’ confederati; il che non poteva essere se il cardinale e Giuliano de’ Medici non erano restituiti nella patria: le quali cose consentite sarebbono facilmente concordi nell’altre. Però andasse a referire o altrimenti significasse a Firenze la mente sua, ma non volere insino venisse la risposta soprasedere.

A Firenze, intesa la venuta degli spagnuoli e persuadendosi che da altra parte gli avessino ad assaltare le forze del pontefice, era in tutta la cittá grandissimo spavento, temendosi della divisione de’ cittadini e della inclinazione di molti a cose nuove: avevano poche genti d’arme, non fanterie se non o fatte tumultuosamente o raccolte delle loro ordinanze, la maggiore parte delle quali non era esperimentata alla guerra; non alcuno capitano eccellente nella virtú o autoritá del quale potessino riposarsi; gli altri condottieri tali, che mai alla memoria degli uomini erano stati di minore espettazione agli stipendi loro. Nondimeno, provedendo sollecitamente quanto in tanta brevitá di tempo potevano, raccoglievano le genti d’arme divise in vari luoghi, soldavano fanti ma tali quali si potevano avere, e scegliendo le piú utili bande di tutte l’ordinanze riducevano tutto lo sforzo a Firenze, per sicurtá della cittá e per provedere di quivi i luoghi dove si voltassino gli inimici. Né mancando di tentare, benché tardi, la via dell’accordo, oltre a quello che continuamente per l’oratore si trattava col viceré, scrisseno al cardinale di Volterra, che era a Gradoli in terra di Roma che trasferitosi al pontefice si ingegnasse, con offerte con prieghi con ogni arte, di placarlo. Il quale indurato (ma co’ fatti contrari alle parole) rispondeva questa non essere impresa sua e farsi senza sue genti, ma che per non si provocare contro tutta la lega era stato costretto a consentirla, e comportare che il cardinale de’ Medici facesse condurre l’artiglierie di Bologna: non avere potuto ovviare innanzi che la si cominciasse, molto meno poterla rimuovere poiché era giá cominciata.

Il viceré intratanto disceso delle montagne a Barberino, terra lontana quindici miglia a Firenze, mandò per uno uomo suo a significare non essere intenzione della lega alterare né il dominio né la libertá della cittá, pure che, per la sicurtá d’Italia, si rimovesse il gonfaloniere del magistrato; desiderare che i Medici potessino godere la patria, non come capi del governo ma come privati e per vivere sotto le leggi e sotto i magistrati, simili in tutte le cose agli altri cittadini: la quale proposta essendo palese a tutta la cittá erano varie le opinioni degli uomini, come sono vari i giudíci, le passioni e il timore. Biasimavano alcuni che, per il rispetto di uno solo, si avesse a esporre tutta l’universalitá de’ cittadini e tutto il dominio a tanto pericolo; atteso che per la deposizione sua dal magistrato non si perdeva o il consiglio popolare o la libertá publica, la quale non sarebbe difficile conservare da’ Medici, spogliati di riputazione e di facoltá, quando volessino eccedere il grado privato: doversi considerare in che modo potesse resistere la cittá all’autoritá e alle forze di tanta lega; sola non essere bastante, Italia tutta inimica, perduta interamente la speranza di essere soccorsi da’ franzesi; i quali, abbandonata vilmente Italia, avevano che fare a difendere il reame loro, e consci della loro debolezza avevano alle dimande fatte da’ fiorentini risposto essere contenti che si facesse accordo con la lega. Altri in contrario dicevano essere cosa ridicola a credere che tanto moto si facesse per odio solamente del gonfaloniere, o perché i Medici potessino stare in Firenze come privati cittadini; altra essere la intenzione de’ collegati, i quali, per avere la cittá unita alle voglie loro e poterne trarre quantitá grandissime di danari, non avevano altro fine che collocare i Medici nella tirannide ma palliare la loro intenzione con dimande meno acerbe, le quali contenevano nondimeno l’effetto medesimo. Perché, che significare altro il rimuovere in questo tempo, con le minaccie e con lo spavento delle armi, il gonfaloniere di palagio, che lasciare la gregge smarrita senza pastore? che altro, entrare in Firenze i Medici in tanto tumulto, che alzare uno vessillo il quale seguitassino coloro che non pensavano ad altro che a spegnere il nome la memoria le vestigie del consiglio grande? il quale annullato era annullata la libertá; e come si potrebbe ovviare che i Medici, accompagnati fuora dall’esercito spagnuolo e seguitati dentro dagli ambiziosi e sediziosi, non opprimessino, il dí medesimo che entrassino in Firenze, la libertá? Doversi considerare quel che potessino partorire i princípi delle cose e il cominciare a cedere alle dimande ingiuste e perniciose; né si dovere tanto temere de’ pericoli che si dimenticassino della salute della cittá, e quanto fusse acerbo il vivere in servitú a chi era nato e allevato in libertá. Ricordassinsi con quanta generositá si fussino, per conservare la libertá, opposti a Carlo re di Francia quando era in Firenze con esercito tanto potente; e considerassino quanto era piú facile resistere a sí piccola gente, privata di danari, senza provisione di vettovaglie, con pochi pezzi d’artiglieria, e senza comoditá alcuna di potere, se si difendessino dal primo impeto, sostentare la guerra; e la quale, necessitata a dimorare breve tempo in Toscana, e mossa dalle speranze date da’ fuorusciti d’avere con un semplice assalto a ottenere la vittoria, come vedesse cominciarsi vigorosamente a resistere inclinerebbe alla concordia con onestissime condizioni. Queste cose si dicevano, ne’ circoli e per le piazze, tra’ cittadini; ma il gonfaloniere, volendo che dal popolo medesimo si deliberasse la risposta che dal magistrato s’aveva a dare all’uomo mandato dal viceré, convocato il consiglio maggiore, adunati che furno i cittadini, parlò in questa sentenza:

— Se io credessi che la dimanda del viceré non concernesse altro che l’interesse di me solo, arei da me medesimo fatto quella deliberazione che fusse conforme al proposito mio; il quale essendo stato sempre d’essere parato a esporre la vita per beneficio vostro, mi sarebbe molto piú facile a risolvermi di rinunziare, per liberarvi da i danni e da i pericoli della guerra, il magistrato che da voi mi è stato dato: avendo massime, in tanti anni che sono seduto in questo grado, stracco il corpo e l’animo per tante molestie e fatiche. Ma perché in questa dimanda può essere che si tratti piú oltre che dell’interesse mio, è paruto a questi miei onorevoli compagni e a me che senza il consentimento publico non si deliberi quello in che consiste tanto dello interesse di ognuno, e che cosa tanto grave e tanto universale non si consigli con quel numero ordinario di cittadini co’ quali sogliono trattarsi l’altre cose ma con voi, che siete il principe di questa cittá e a’ quali solo appartiene sí poderosa deliberazione. Non voglio io confortarvi piú in una parte che in un’altra, vostro sia il consiglio vostro sia il giudicio, quel che delibererete sará accettato e lodato da me, che vi offerisco non solo il magistrato, che è vostro, ma la persona e la propria vita; e mi attribuirei a singolare felicitá se io potessi credere che questo fusse il mezzo della salute vostra. Esaminate quel che possa importare la dimanda del viceré alla vostra libertá, e Dio vi presti grazia di alluminare e di fare risolvere alla migliore parte le menti vostre. Se i Medici avessino disposizione d’abitare in questa cittá come privati cittadini, pazienti a’ giudíci de’ magistrati e delle leggi vostre, sarebbe laudabile la loro restituzione, acciò che la patria comune si unisse in un corpo comune; se altra è la mente loro avvertite al pericolo vostro, né vi paia grave sostenere spese e difficoltá per conservare la vostra libertá: la quale quanto sia preziosa conoscereste meglio, ma senza frutto, quando (io ho orrore di dirlo) ne fuste privati. Né sia alcuno che si persuada che il governo de’ Medici avesse a essere quel medesimo che era innanzi fussino cacciati, perché è mutata la forma e i fondamenti delle cose: allora, nutriti tra noi quasi a uso di privati cittadini, ricchissimi di facoltá secondo il grado tenevano, né offesi da alcuno, facevano fondamento nella benevolenza de’ cittadini, consigliavano co’ principali le cose publiche, e si ingegnavano col mantello della civiltá coprire piú presto che scoprire la loro grandezza. Ma ora, abitati tanti anni fuora di Firenze, nutriti ne’ costumi stranieri, intelligenti, per questo, poco delle cose civili, ricordevoli dello esilio e delle acerbitá usate loro, poverissimi di facoltá e offesi da tante famiglie, consci che la maggiore parte anzi quasi tutta la cittá aborrisce la tirannide, non si confiderebbono di alcuno cittadino: e sforzati dalla povertá e dal sospetto arrogherebbero tutte le cose a loro medesimi, riducendosi non in su la benivolenza e in su l’amore ma in su la forza e in su l’armi, in modo tale che in brevissimo tempo questa cittá diventerebbe simile a Bologna quale era al tempo de’ Bentivogli, a Siena e a Perugia. Ho voluto dire questo a quegli che predicano il tempo e il governo di Lorenzo de’ Medici, nel quale benché fussino dure condizioni e fusse una tirannide (benché piú mansueta di molte altre) sarebbe stato a comparazione di questo una etá d’oro. Appartiene ora a voi il deliberare prudentemente e secondo la salute della vostra patria, a me o rinunziare con animo costante e lietissimo a questo magistrato, o francamente, quando voi delibererete altrimenti, attendere alla conservazione e alla difesa della vostra libertá. —

Non era dubbio quel che avesse a deliberare il consiglio, per la inclinazione che aveva quasi tutto il popolo di mantenere il governo popolare: però, con maraviglioso consenso fu deliberato che si consentisse alla ritornata de’ Medici come privati ma che si denegasse il rimuovere il gonfaloniere del magistrato; e che quando gli inimici stessino pertinaci in questa sentenza, che con le facoltá e con la vita si attendesse a difendere la libertá e la patria comune. Però, volti tutti i pensieri alla guerra e fatto provedimento di danari, mandavano gente alla terra di Prato, propinqua a dieci miglia a Firenze; la quale si credeva che prima avesse a essere assaltata dal viceré.

Il quale, poiché a Barberino ebbe raccolto l’esercito e l’artiglierie, condotte con difficoltá per l’asprezza dell’Apennino e perché, per mancamento di danari, non aveano il provedimento debito o di guastatori e di instrumenti per condurle, si accostò (come si era creduto) a Prato; dove pervenuto quando cominciava il giorno, batté il dí medesimo, per qualche ora, con falconetti la porta di Mercatale: alla quale, per essere dentro bene riparata, non fece frutto alcuno. Aveano i fiorentini messi in Prato circa dumila fanti, quasi tutti dell’ordinanze loro, gli altri raccolti in fretta d’ogni arte ed esercizi vili, pochissimi in tanto numero esperimentati alla guerra; e con cento uomini d’arme Luca Savello, condottiere vecchio ma che né per l’etá né per l’esperienza era pervenuto a grado alcuno di scienza militare; e gli uomini d’arme, quegli medesimi che erano stati poco innanzi svaligiati in Lombardia. Aggiugnevasi che, per la brevitá del tempo e per la imperizia di chi aveva avuto a provederlo, vi era piccola quantitá di artiglierie, scarsitá di munizioni e di tutte le cose necessarie alla difesa. Col viceré erano [dugento] uomini d’arme e [cinque] mila fanti spagnuoli e solamente [due] cannoni, esercito piccolo in quanto al numero e agli altri apparati ma grande in quanto al valore; perché i fanti erano tutti di quegli medesimi che con tanta laude si erano salvati della giornata di Ravenna, i quali come uomini militari, confidandosi molto nella loro virtú, dispregiavano sommamente la imperizia degli avversari: ma essendo venuti senza apparecchiamento di vettovaglie, né trovandone copioso il paese (perché, con tutto che a fatica fusse finita la ricolta, erano state condotte a’ luoghi muniti), cominciorno subito a sentirne il mancamento. Dalla qual cosa spaventato il viceré inclinava alla concordia, che continuamente si trattava: che i fiorentini, consentendo che i Medici ritornassino eguali agli altri cittadini, né si parlando piú della deposizione del gonfaloniere, pagassino al viceré perché partisse del dominio fiorentino certa quantitá di danari; la quale si pensava non passasse trentamila ducati. Perciò il viceré aveva consentito salvocondotto agli imbasciadori eletti per questa espedizione, e si sarebbe astenuto insino alla venuta loro di assaltare piú Prato se di dentro gli avessino dato qualche comoditá di vettovaglie.


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