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I
Succedetteno nell’anno medesimo nelle regioni oltramontane pericolosissime guerre, le quali saranno raccontate da me per la medesima cagione e con la medesima brevitá con la quale le toccai nella narrazione dell’anno precedente. Origine di quei movimenti fu la deliberazione del re di Inghilterra d’assaltare, quella state, con grandissime forze per terra e per mare, il reame di Francia: della quale impresa per farsi piú facile la vittoria, avea convenuto con Cesare di dargli cento ventimila ducati, acciò che entrasse nel tempo medesimo nella Borgogna con tremila cavalli e ottomila fanti, parte svizzeri parte tedeschi; promesso ancora a’ svizzeri certa quantitá di danari perché facessino il medesimo, congiunti con Cesare, il quale consentiva ritenessino in pegno una parte della Borgogna insino a tanto fussino pagati interamente da lui degli stipendi loro. Persuadevasi oltre a questo il re di Inghilterra che il re cattolico suo suocero, aderendo alla confederazione di Cesare e sua, come sempre aveva asserito di volere fare, rompesse nel tempo medesimo la guerra da’ suoi confini. Perciò la novella della tregua fatta da quel re col re di Francia, con tutto che l’ardore alla guerra non raffreddasse, fu ricevuta con tanta indegnazione, non solamente da lui ma da tutti i popoli di Inghilterra, che è manifesto che, se la autoritá sua non avesse repugnato, sarebbe stato lo imbasciadore spagnuolo impetuosamente dalla moltitudine ammazzato. Aggiugnevasi a queste cose l’opportunitá dello stato dell’arciduca, non tanto perché non proibiva che i sudditi ricevessino lo stipendio contro a’ franzesi quanto perché prometteva di concedere che del dominio suo si conducessino vettovaglie all’esercito inghilese. Contro a tanti apparati e pericolosissime minaccie non ometteva il re di Francia provedimento alcuno: perché per mare preparava una potente armata per opporla a quella che si ordinava in Inghilterra, e per terra congregava esercito da ogni parte, sforzandosi sopratutto di condurre quanti piú poteva fanti tedeschi. Aveva anche fatto, prima, instanza co’ svizzeri che poi che non volevano aiutarlo per le guerre di Italia, gli consentissino almeno fanti per la difesa di Francia: i quali, intenti totalmente alla stabilitá del ducato di Milano, rispondevano non volergliene concedere se non tornava all’unitá della Chiesa, lasciava il castello di Milano che ancora non era arrenduto, e, facendo cessione delle ragioni di quello stato, promettesse di non molestare piú né Milano né Genova. Aveva similmente il re per insospettire delle cose proprie il re di Inghilterra, chiamato in Francia il duca di Suffolch come competitore a quel regno; per il quale sdegno il re anglo fece decapitare il fratello, custodito insino allora in carcere in Inghilterra, poi che da Filippo re di Castiglia, nella navigazione sua in Spagna, era stato dato al suo padre. Né mancava al re di Francia speranza di pace col re cattolico: perché quel re, come ebbe inteso la lega fatta tra lui e i viniziani, diffidando potersi difendere il ducato di Milano, aveva mandato uno de’ suoi secretari in Francia a proporre nuovi partiti; e si credeva che, considerando che la grandezza di Cesare e dello arciduca potessino alterargli il governo di Castiglia, non gli piacesse totalmente la depressione del regno di Francia. Suscitò oltre a questo Iacopo re di Scozia, suo antico collegato, perché rompesse guerra nel regno di Inghilterra; il quale, mosso molto piú dallo interesse proprio, perché le avversitá di Francia erano pericolose al regno suo, si preparava con grande prontezza, non avendo dimandato dal re altro che cinquantamila franchi per comperare vettovaglie e munizioni. Nondimeno, a fare queste provisioni era il re di Francia proceduto con tarditá; perché aveva volto i pensieri alla impresa di Milano, e per la negligenza solita, e per l’ardire che vanamente aveva preso per la tregua fatta col re cattolico.
Consumoronsi per il re di Inghilterra, in questi apparati, molti mesi: perché essendo i sudditi suoi stati molti anni senza guerra, ed essendo molto variati i modi di guerreggiare, e inutili gli archi e l’armadure che usavano ne’ tempi precedenti, era necessitato il re fare grandissima provisione di armi di artiglierie e di munizioni, condurre come soldati esperti molti fanti tedeschi, e per necessitá molti cavalli, perché il costume antico degli inghilesi era di combattere a piede. Però, non prima che del mese di luglio passorono gli inghilesi il mare; e stati piú dí in campagna presso a Bologna, andorono a campo a Terroana, terra posta in su’ confini di Piccardia, e in quegli popoli che da’ latini sono chiamati morini. Passò poco dipoi la persona del re, che aveva in tutto il suo esercito cinquemila cavalli da combattere e piú di quarantamila fanti: con la quale moltitudine postosi intorno luogo piccolo, e circondato, secondo l’antico costume degli inghilesi, l’alloggiamento loro con fossi con carra e con ripari di legname, e munito intorno intorno d’artiglierie, e in modo pareva fussino in una terra murata, attendevano a battere con l’artiglierie la terra da piú parti e a travagliarla con le mine; ma non corrispondendo con la virtú a tanti apparati né alla fama della ferocia loro, non gli davano l’assalto. Erano in Terroana, bene munita di artiglierie, dugento cinquanta lancie e dumila fanti, presidio piccolo ma non senza speranza di soccorso, perché il re di Francia, attendendo a raccorre sollecitamente l’esercito destinato, di dumila cinquecento lancie diecimila fanti tedeschi, guidati dal duca di Ghelleri, e diecimila fanti del regno, era venuto ad Amiens per dare di luogo vicino favore agli assediati: i quali, non temendo di altro che del mancamento delle vettovaglie, perché di queste non era stata proveduta, eccetto che di pane, Terroana a bastanza, molestavano dí e notte con l’artiglierie l’esercito inimico; dalle quali fu ammazzato il gran ciamberlano regio, e levata una gamba a Talboth capitano di Calès. Premeva il re il pericolo di Terroana; ma per avere tardi e con la negligenza franzese cominciato a provedersi, e per la difficoltá di avere i fanti tedeschi, non aveva ancora messo insieme tutto l’esercito: determinato anche in qualunque caso di non venire a giornata con gli inimici, perché se fusse stato vinto sarebbe stato in manifestissimo pericolo tutto il reame di Francia, e perché sperava nella vernata, la quale in quegli paesi freddi era giá quasi vicina. Ma come ebbe congregato l’esercito, restando egli ad Amiens, lo mandò a [Vere] propinquo a Terroana, sotto Longavilla altrimenti il marchese del Rotellino, principe del sangue reale e capo de’ gentiluomini del re, e la Palissa; con commissione che, fuggendo qualunque occasione di fatto d’arme, attendessino a provedere le terre circostanti, insino ad allora per la medesima negligenza male provedute, e a mettere se potevano soccorso di gente e di vettovaglia in Terroana: cosa in sé difficile, ma diventata piú difficile per la piccola concordia de’ capitani; de’ quali ciascuno, l’uno per la nobiltá l’altro per la lunga esperienza della milizia, arrogava a sé la somma del governo. Nondimeno, dimandando quegli che erano in Terroana soccorso di genti vi si accostorono, da una parte piú rimossa dagli inghilesi, mille cinquecento lancie; e avendo l’artiglierie di dentro battuto in modo tremila inghilesi, posti a certi passi per impedirgli, che non potettono vietargli, né potendo proibirlo loro il resto dell’esercito per lo impedimento di certe traverse di ripari e di fosse fatte da quegli di dentro, il capitano Frontaglia, condottosi alla porta, messe in Terroana ottanta uomini d’arme senza cavalli, come essi avevano dimandato, e si ritirò salvo con tutto il resto delle genti: e arebbono nel medesimo modo messovi vettovaglie se ne avessino condotte seco. Dalla quale esperienza preso animo i capitani franzesi, si accostorono un altro dí con quantitá grande di vettovaglie per mettervele per la via medesima; ma gl’inghilesi presentendolo, e avendo fatto nuova fortificazione da quella parte, non gli lasciorono accostare, e da altra parte mandorono i loro cavalli e quindicimila fanti tedeschi per tagliare loro il ritorno: i quali tornando senza sospetto, e giá montati per piú comoditá in su piccoli cavalli, come furono assaltati si messono subito in fuga senza resistere; nel qual disordine perderono i franzesi trecento uomini d’arme, co’ quali fu preso il marchese del Rotellino, Baiardo, La Foietta e molti altri uomini nominati; ed era stato fatto anche prigione la Palissa ma fortuitamente si salvò. E si crede che se avessino saputo seguitare la vittoria si aprivano quel giorno la strada a pigliare il reame di Francia; perché indietro era restata una grossa banda di lanzchenech che aveva seguitato le genti d’arme, la quale disfatta, era di tanto danno all’esercito franzese che è certo che il re, quando ebbe la prima novella, credendo che questi medesimamente fussino rotti, disperato delle cose sue, e con lamenti e pianti miserabili, giá pensava fuggirsene in Brettagna: ma gli inghilesi, come ebbono messo in fuga i cavalli, pensando all’acquisto di Terroana, condusseno le insegne e i prigioni innanzi alle mura. Però, disperati i soldati che erano in Terroana essere soccorsi, né volendo i fanti tedeschi patire senza speranza insino all’ultima estremitá delle vettovaglie, convennono, salvi i cavalli e le persone de’ soldati, di uscirsi, se fra due dí non erano soccorsi, di Terroana. Né si dubita che l’avere tollerato l’assedio circa cinquanta dí fusse cosa molto salutifera al re di Francia.
Era, pochi dí innanzi, venuto personalmente nello esercito inghilese Massimiliano, riconoscendo quegli luoghi ne’ quali, ora dissimile a se medesimo, aveva, giovanetto, rotto con tanta gloria l’esercito di Luigi undecimo re di Francia. Nel quale mentre stette si governava ad arbitrio suo.