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Capitolo secondo
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II
Fatta adunque, ma occultissimamente, la confederazione tra il pontefice e Cesare contro al re di Francia, fu consiglio comune procedere, innanzi che manifestamente si movessino l’armi, o con insidie o con assalto improviso, in un tempo medesimo, per mezzo de’ fuorusciti, contro al ducato di Milano e contro a Genova. Deliberossi adunque che le galee di Cesare, che erano a Napoli, e quelle del pontefice si presentassino all’improviso nel porto di Genova, armate di duemila fanti spagnuoli, e conducendo seco Ieronimo Adorno; per l’autoritá e séguito del quale, movendosi similmente nel tempo medesimo, per opera sua, gli uomini delle riviere partigiani degli Adorni, speravano che quella cittá tumultuasse. Da altra parte era stato trattato, per Francesco Sforza e per Ieronimo Morone che era a Trento appresso a lui, con molti de’ principali de’ fuorusciti, che in Parma in Piacenza e in Cremona fussino assaltate allo improviso le genti franzesi che vi erano alloggiate, e il medesimo si facesse in Milano; e che Manfredi Palavicino e il Matto di Brinzi, capo di parte in quelle montagne, conducendo fanti tedeschi per il lago di Como, assaltassino quella cittá, dove affermavano avere secreta intelligenza; e che succedendo queste cose o alcuna delle piú importanti, i fuorusciti di Milano, che erano molti gentiluomini (i quali si avevano occultamente a trasferire a Reggio, dove il dí destinato doveva essere Ieronimo Morone), si movessino per entrare nello stato; facendo con piú prestezza si poteva tremila fanti: al quale effetto il pontefice mandò a Francesco Guicciardini, governatore giá molti anni di Modena e di Reggio, diecimila ducati, con commissione che gli desse al Morone per fare secretamente fanti che fussino preparati al successo di queste cose; alle quali il Guicciardino prestasse favore ma occultamente, e in maniera tale che dalle azioni de’ ministri non potesse il re di Francia o querelarsi o fare sinistra interpretazione del pontefice. Ma non fu felice l’evento d’alcuna di queste cose. L’armata andata a Genova, di sette galee sottili quattro brigantini e alcune navi, si presentò invano al porto, perché il doge Fregoso, presentendo la loro venuta, aveva opportunamente proveduta la terra; però non sentendo muoversi cosa alcuna si ritirorno nella riviera di levante. E in Lombardia, essendo quel che si trattava, e il dovere venire Ieronimo Morone a Reggio, in bocca di molti fuorusciti, Federico da Bozzole, pervenutogli all’orecchie, andò a Milano a notificarlo allo Scudo, il quale teneva a Milano il luogo del fratello che poco innanzi era andato in Francia; il quale, raccolte le genti d’arme alloggiate in vari luoghi e dato ordine a Federico che dalle sue castella menasse mille fanti, andò subito con quattrocento lancie a Parma, certificandosi mentre andava, a ogn’ora piú, della veritá di quel che Federico gli avea riferito; perché i fuorusciti, non seguitando l’ordine dato dello adunarsi secretamente, erano palesemente andati a Reggio, facendo in tutti i luoghi circostanti richieste d’uomini e dimostrazioni manifeste d’avere senza indugio a tentare cose nuove: nel quale modo di procedere continuò Ieronimo Morone venuto dopo loro, mosso per avventura perché quanto piú scopertamente si procedeva tanto piú si genererebbe inimicizia tra il pontefice e il re.
Appariva giá manifestamente a tutti la vanitá di queste macchinazioni; e nondimeno lo Scudo, giunto a Parma, deliberò la mattina seguente, dí solenne per la nativitá di san Giovanni Batista, appresentarsi alle porte di Reggio; sperando potere avere occasione di prendere tutti o parte de’ fuorusciti, o mentre che essi sentendo la sua venuta fuggissino della terra o perché, non vi essendo soldati forestieri, il governatore, uomo di professione aliena dalla guerra, e gli altri, spaventati, gliene dessino, o forse nella trepidazione della cittá sperando avere qualche occasione di entrarvi dentro. Presentí qualche cosa il governatore di questo: e benché, non essendo ancora noto l’assalto di Genova, non gli paresse verisimile che lo Scudo senza comandamento del suo re, dando quasi principio alla guerra, entrasse con l’armi nel dominio del pontefice, nondimeno, considerando quali spesso siano gl’impeti de’ franzesi, per non essere del tutto sproveduto, mandò subito a chiamare Guido Rangone che era nel modenese, che la notte medesima venisse a Reggio; ordinò che de’ fanti soldati dal Morone venisse, la notte medesima, quella parte che era in alloggiamenti piú vicini; che il popolo della terra, quale sapeva essere alieno da’ franzesi, al suono della campana si riducesse alla guardia delle porte, consegnata a ciascuno la cura sua. Venne lo Scudo la mattina seguente con quattrocento lancie, dietro alle quali, ma lontano per qualche miglio, veniva Federigo da Bozzole con mille fanti; e avendo, come fu vicino alla terra, mandato Buonavalle uno de’ suoi capitani al governatore a dimandare di volere parlare con lui, si convennono che lo Scudo si accostasse a una portella che entra nel rivellino della porta che va a Parma e che nel luogo medesimo venisse il governatore, sicuro ciascuno di loro sotto la fede l’uno dell’altro. Cosí venuto innanzi lo Scudo, e smontato a piede, si accostò con parecchi gentiluomini a quella porta, donde uscito il governatore cominciorono a parlare insieme; lamentandosi l’uno che nelle terre della Chiesa, contro a’ capitoli della confederazione, si desse ricetto e fomento a’ fuorusciti, adunati per turbare lo stato del re; l’altro che egli, con esercito armato, fusse entrato allo improviso nel dominio della Chiesa. Nel quale stato avendo alcuni del popolo, contro all’ordine dato, aperto una delle porte per introdurre uno carro carico di farina, Buonavalle che era di contro a quella porta, perché le genti dello Scudo sparsesi intorno alle mura ne circondavano una parte, si spinse innanzi con alcuni uomini d’arme, per entrare dentro; ma essendone cacciato e serrata la porta con grande strepito, il romore, venuto nel luogo dove lo Scudo e il governatore parlavano, fu cagione che quegli della terra e alcuni de’ fuorusciti, de’ quali erano piene le mura del rivellino, scaricati gli scoppi contro a quegli che erano vicini allo Scudo, ferirno gravemente Alessandro da Triulzio, della quale ferita morí fra due giorni, indegno certamente di questa calamitá perché avea dissuaso il venire a Reggio; gli altri fuggirono: né salvò lo Scudo altra cosa che il rispetto che ebbe, chi voleva tirare a lui, di non percuotere il governatore. Ma essendo egli pieno di spavento, e lamentandosi essergli mancato della fede, né sapendo risolversi o a stare fermo o a fuggire, il governatore, presolo per la mano e confortandolo che sopra la fede sua lo seguitasse, lo introdusse nel rivellino; non l’accompagnando altri de’ suoi che La Motta gentiluomo franzese: e fu cosa maravigliosa che tutte le genti d’arme, come intesono lo Scudo essere entrato dentro, andata tra loro la voce che era stato fatto prigione, si messono in fuga, con tanto timore che molti di loro gittorno le lancie per le strade, pochissimi furono quegli che aspettassino lo Scudo. Il quale, dopo lungo parlamento ed essere stato certificato che il disordine era nato da’ suoi, fu licenziato dal governatore; il quale, rispetto alla fede data e alle commissioni avute dal pontefice di non fare dimostrazione alcuna contro al re, non volle ritenerlo. Della quale ritenzione non sarebbe seguito lo effetto, che allora per molti si credette, della rebellione dello stato di Milano: perché le genti d’arme, se bene messe in fuga, non essendo seguitate da alcuno perché in Reggio erano pochissimi cavalli, e avendo riscontrato a’ confini del reggiano Federico da Bozzole che veniva innanzi con mille fanti, si fermorono e riordinorono; e il terrore cominciato a Parma e a Milano, per essere stati i primi avvisi che lo Scudo era prigione e le genti d’arme rotte, non sarebbe andato innanzi come si fusse inteso le genti d’arme essere salve: non essendo massime, in luoghi vicini, esercito né forze da potere fare movimento alcuno, e restandovi molti altri capitani di genti d’arme. Ritirossi lo Scudo, raccolti i cavalli e i fanti, a Covriago, villa del reggiano vicina a sei miglia di Reggio, donde tra pochi dí si ritirò di lá da Lenza in parmigiano; avendo mandato a Roma La Motta, a giustificare col pontefice le cagioni dello essere andato a Reggio e a fare instanza che, secondo i capitoli che erano tra il re e lui, cacciasse i rebelli del re fuora dello stato della Chiesa.
Ma ne’ dí medesimi, uno caso che accadette a Milano spaventò molto l’animo de’ franzesi, come se con segni manifesti fussino ammuniti dal cielo delle future calamitá. Perché il dí solenne per la memoria della morte del principe degli apostoli, tramontato giá il sole nel cielo sereno, cadde per l’aria da alto a guisa di uno fuoco innanzi alla porta del castello, ove erano stati condotti molti barili di polvere d’artiglieria, tratti del castello per mandargli a certe fortezze; per il che, levatosi subitamente con grande strepito grande incendio, ruinò insino da’ fondamenti una torre di marmo bellissima fabbricata sopra la porta, nella sommitá della quale stava l’orologio, né solamente la torre ma le mura e le camere del castello e altri edifici contigui alla torre; tremando nel tempo medesimo, per il tuono smisurato e per la ruina tanto grande, tutti gli edifici e tutta la cittá di Milano: e i sassi e pietre grandissime dalle ruine volavano con impeto incredibile spaventosamente in qua e in lá per l’aere, ora percotendo nel balzare molte persone ora ricoprendole con le ruine, dalle quali era ricoperta, con tanti sassi che pareva cosa stupendissima, la piazza del castello; de’ quali alcuni di smisurata grandezza volorono lontani per ispazio piú di cinquecento passi. Ed era l’ora propria che gli uomini, cercando di ricrearsi dal caldo, andavano passeggiando per la piazza; però furno ammazzati piú di cento cinquanta fanti del castello e il castellano della rocchetta e quello del castello, e gli altri tanto attoniti e privi di animo e di consiglio: e ruinato tanto spazio di muro che al popolo, se si fusse mosso, sarebbe stato molto facile l’occupare quella notte il castello.