< Storia d'Italia < Libro XIV
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IV

Le milizie pontificie e spagnuole vicino a Parma; Francesco Guicciardini commissario generale dell’esercito pontificio. Arrivo delle milizie tedesche. Diversitá di pareri fra i comandanti. Lentezza nell’azione ripresa dal commissario, deliberazione di porre il campo a Parma.

Era in questo tempo Prospero Colonna a Bologna: donde, non aspettate le genti che doveano venire del reame di Napoli né i fanti tedeschi, raccolti gli altri soldati e lasciate sufficientemente guardate, per sospetto del duca di Ferrara, Modona, Reggio, Bologna, Ravenna e Imola, venne ad alloggiare in sul fiume della Lenza vicino a Parma a cinque miglia; pieno di speranza che i franzesi non avessino a ottenere fanti da’ svizzeri e che, per questo e per la malivolenza de’ popoli, avessino a pensare piú di abbandonare che a difendere il ducato di Milano. Ma la cosa succedette altrimenti; perché i cantoni, con tutto che in contrario facessino instanza grandissima il cardinale sedunense e gli oratori del pontefice e di Cesare, deliberorno concedere al re i fanti secondo erano tenuti per l’ultime convenzioni, i quali mentre si preparavano era venuto a Milano Giorgio Soprasasso con [quattro]mila fanti vallesi: onde Lautrech, volendo difendere Parma, vi avea mandato lo Scudo suo fratello con quattrocento lancie e cinquemila fanti italiani de’ quali era capitano Federico da Bozzole. Sentivasi oltre a questo che i viniziani raccoglievano le loro genti a Pontevico per mandarle in aiuto del re di Francia, e che il duca di Ferrara soldava fanti. Perciò Prospero, conoscendo essere necessarie maggiori forze, stette sette dí in quello alloggiamento; nel quale tempo si congiunsono con l’esercito [quattro]cento lancie spagnuole guidate da Antonio de Leva, che venivano del reame di Napoli, e il marchese di Mantova con parte delle sue genti: non si alterando perciò, per la venuta del marchese capitano generale di tutte le genti della Chiesa, l’autoritá di Prospero Colonna, nella persona del quale, per volontá del pontefice e di Cesare, risedeva, benché senza alcuno titolo, il governo di tutto l’esercito; anzi la potestá suprema di comandare a tutte le genti della Chiesa, e al marchese di Mantova nominatamente, era in Francesco Guicciardini che aveva il nome di commissario generale dello esercito ma, sopra il consueto de’ commissari, con grandissima autoritá. Condusse di poi Prospero l’esercito a San Lazzero, un miglio appresso a Parma, in sulla strada che va a Reggio, con deliberazione di non procedere piú oltre insino a tanto non venisse il marchese di Pescara, il quale si aspettava del regno con [tre]cento lancie e duemila fanti spagnuoli, e insino non venivano i fanti tedeschi: nel qual tempo non si faceva a’ parmigiani altra molestia che ingegnarsi, col divertire l’acque e rompere i mulini, che avessino difficoltá di macinare.

Ma l’espettazione degli uomini era volta alla venuta de’ tedeschi, contro a’ quali per impedire che non passassino mandavano i viniziani nel veronese, a instanza de’ franzesi, parte delle loro genti: perché, venuti a [Spruch], dimandavano volere ricevere lo stipendio del primo mese a Trento, e di essere, alle radici della montagna di Monte Baldo, onde dicevano volere passare, incontrati da qualche numero di cavalli, per potere con la compagnia loro passare innanzi piú sicuramente. Però Prospero aveva mandato a Mantova dugento cavalli leggieri, perché congiunti con dumila fanti comandati del territorio mantovano e con l’artiglierie del marchese, il quale, in tutte le cose, per gratificare al pontefice e a Cesare, procedeva come in causa propria, non come soldato, si facessino innanzi. Piú difficile era il pagargli a Trento, perché numerandosi [i danari] eziandio per la parte di Cesare, dal pontefice, non si potevano mandare per il paese de’ viniziani se non con grave pericolo. Intesa poi l’opposizione de’ viniziani, dimandorno i tedeschi maggiori aiuti, variando eziandio nel tempo del passare la montagna e nel cammino: e perciò fu ordinato che il marchese di Pescara, che era arrivato nel modonese, si voltasse nel mantovano; al quale furno mandati dal campo cento uomini d’arme e trecento fanti spagnuoli. Ultimatamente i tedeschi, impazienti di aspettare il tempo che aveano significato, feceno di nuovo intendere volere anticipare cinque dí; affermando che aspetterebbono alle radici di Monte Baldo i cavalli un dí solamente e, non venendo, ritornerebbeno indietro. Al qual tempo non potendo esservi il marchese di Pescara, fu necessario che dal campo vi andassino con grandissima celeritá Guido Rangone e Luigi da Gonzaga: provedimenti tutti fatti superfluamente, perché, come Prospero aveva sempre affermato, non potevano i viniziani impedire il passaggio a seimila fanti, quanti tra tedeschi e grigioni erano questi, l’ordinanza de’ quali arebbe sostenuti i loro cavalli, né i fanti italiani arebbono avuto ardire di opporsegli. Per la quale ragione, e perché il senato, aborrente dalle occasioni di ridurre la guerra nello stato proprio, aveano voluto sodisfare a’ franzesi piú con le dimostrazioni che con gli effetti, le genti de’ viniziani, il dí innanzi che i tedeschi dovessino passare, si ritirorno verso Verona; donde i tedeschi, senza alcuno ostacolo, passorno a Valeggio e il dí seguente nel mantovano.

Ma arrivato che fu il marchese di Pescara nel campo, l’esercito, stato a San Lazzero tredici dí, andò il dí seguente ad alloggiare a San Martino, ... miglia appresso a Parma dalla parte di verso il Po; col quale il dí medesimo si congiunsono i fanti tedeschi e i grigioni. Cosí essendo ridotte insieme tutte le forze destinate, si cominciò a consultare quello che fusse da fare: proponendo una parte del consiglio si attendesse all’espugnazione di Parma, per essere la prima terra della frontiera, e la quale non era sicuro lasciarsi alle spalle, né per lo esercito che andasse innanzi, rispetto alla incomoditá delle vettovaglie e del fare condurre i danari e l’altre provisioni che fussino necessarie, né per le terre che restavano da Parma verso Bologna. Non essere i fanti che vi erano dentro, raccolti la maggiore parte quasi tumultuariamente, di molto valore; e di quegli, per la difficoltá de’ pagamenti e perché in Parma si pativa di macinato, fuggirsene ogni dí qualcuno in campo; il circuito della terra essere grande; avere il popolo male disposto, il quale benché fusse sbattuto piglierebbe animo dal sentire lo esercito alle mura; in modo che, battendosi la cittá da piú parti, potriano difficilmente resistere i franzesi agli inimici di fuora e guardarsi in uno tempo medesimo da quegli di dentro. Altri allegavano la cittá essere bene fortificata, avere difensori a sufficienza, i fanti che erano fuggiti essere tutti inutili e vili, esservi rimasti i fanti piú utili ed esperti alla guerra, tante lancie franzesi, disposti tutti a difendersi valorosamente; perché non altrimenti vi si sarebbe rinchiuso lo Scudo, Federico da Bozzole e tanti altri capitani. Sapersi, per essere mutati in breve spazio di tempo i modi della milizia e l’arti del difendere, quanto fusse divenuta difficile la espugnazione delle terre; e doversi diligentemente avvertire che, se la prima impresa che si tentasse non si ottenesse, in che grado resterebbe la reputazione di quello esercito. Presupporsi per ciascuno essere necessario piantare intorno a Parma le artiglierie in due luoghi diversi, ma dove essere in campo l’artiglierie e gli altri provedimenti a sufficienza? né si potere condurne se non dopo spazio di qualche dí; il quale indugio, oltre che se ne erano consumati pure troppi, dare tempo che con Lautrech, che di dí in dí s’aspettava a Cremona, si unissino le genti de’ viniziani, maggiore numero di svizzeri, perché giá ne era venuta una parte, e i fanti venturieri che si aspettavano di Francia; i quali tutti si sentiva che giá s’appropinquavano. Che sarebbe se, impegnato l’esercito intorno a Parma, egli si accostasse in qualche luogo vicino, donde non si lasciando sforzare a combattere travagliasse le scorte del saccomanno e le vettovaglie che giornalmente si conducevano da Reggio? le quali giá dalle genti che erano in Parma ricevevano continua molestia. Essere migliore consiglio, fatta provisione di vettovaglie per qualche dí, lasciatasi indietro Parma, andare allo improviso a Piacenza; nella quale cittá, di circuito molto maggiore, erano a guardia pochi soldati né vi erano ripari o artiglierie, e la disposizione del popolo la medesima che quella di Parma, ma piú abile a risentirsi non essendo stati battuti come loro ed essendovi dentro sí poca gente; né essere da dubitare, accostandosi, di non la pigliare subito. E affermava Prospero, inclinato molto a questa sentenza, sapere uno luogo donde era impossibile gli fusse proibito lo entrare: che era quello medesimo per il quale altra volta vi era, contro a’ viniziani che l’aveano dopo la morte di Filippo Maria Visconte occupata, entrato vittoriosamente Francesco Sforza capitano allora del popolo milanese. In Piacenza essere abbondanza grandissima di vettovaglie, e il luogo essere tanto opportuno ad assaltare Milano che sarebbono necessitati i franzesi ritirare lá quasi tutte le forze loro; e cosí non rimarrebbono in pericolo le cittá vicine a Parma: anzi si prometteva Prospero che, passando il Po solamente co’ cavalli leggieri e conducendosi con celeritá a Milano, quella cittá, udito il nome suo, avere a tumultuare. Ed era questa, insino innanzi partisse da Bologna, stata sentenza di Prospero; per la quale, pensando non dovere fermarsi a espugnazione di alcuna terra, non aveva voluto provedimento abbondante di artiglierie e di munizioni.

In questa varietá di pareri fu determinato, ma molto secretamente, per quegli che aveano autoritá di deliberare che, come prima fussino preparate pane e farine bastanti a nutrire l’esercito almeno per quattro dí, si movessino con grandissima celeritá verso Piacenza cinquecento uomini d’arme una parte de’ cavalli leggieri i fanti spagnuoli e mille cinquecento fanti italiani, e che dietro a questi si movesse il rimanente dell’esercito, il quale, dovendo condurre l’artiglierie le vettovaglie e tanti impedimenti, non poteva procedere se non lentamente; e si teneva per certo che, come i primi vi arrivassino, la cittá chiamerebbe il nome della Chiesa; e quando pure non succedesse, che essi sarebbono causa non vi entrasse soccorso: in modo che, come giugnesse il resto dello esercito, otterrebbono la cittá indubitatamente. Ma accadde che, il dí precedente a quello che si doveva muovere lo esercito, alcuni cavalli de’ franzesi, passato il Po, corsono insino a Busseto, donde la fama portò avere passato il Po tutto l’esercito franzese; la qual cosa perché interrompeva la deliberazione giá fatta, si ritardò la partita delle genti insino a tanto se ne avesse la veritá: la quale a investigare fu mandato Giovanni de’ Medici, capitano de’ cavalli leggieri del pontefice, con quattrocento cavalli. Ma quel che principalmente turbò questa deliberazione fu l’ambizione tra Prospero e il marchese di Pescara, eziandio innanzi a questo tempo poco concordi; perché il marchese, tirato ad alti pensieri, detraeva volentieri con le parole e co’ fatti alla grandezza di Prospero. Ma in questo caso, aspirando ciascuno di loro alla gloria propria, Prospero proponeva volere menare la prima parte dello esercito, e il marchese da altra parte allegava non essere conveniente che senza sé andassino a espedizione alcuna i fanti spagnuoli de’ quali era capitano generale. Per la quale emulazione tra’ capitani, dannosa come spesso accade alle cose de’ príncipi, ancora che si fusse, non molte ore poi, avuta notizia quella parte de’ franzesi essere ritornata di lá dal Po e che Lautrech non si moveva, non si seguitò la prima deliberazione; anzi, per la varietá de’ pareri e per la tarditá naturale di Prospero, procedevano le cose in maggiore lunghezza se il commissario apostolico non gli avesse con efficaci parole stimolati, dimostrando quanto fusse, e giustamente, molestissimo al pontefice il procedere sí lentamente, né potersi piú con alcuna scusa difendere appresso a lui tante dilazioni sostenute insino a quel dí, con l’espettazione della venuta prima degli spagnuoli poi de’ tedeschi. Le quali parole a fatica dette, si deliberò, piú presto tumultuosamente che con maturo consiglio, che si ponesse il campo a Parma; affermando quegli medesimi che il dí precedente avevano affermato il contrario doversene sperare la vittoria, massime continuando pure a uscire di Parma molti fanti per mancamento di danari e di pane. Ma bisognò soprasedere ancora alcuni dí, per fare venire da Bologna due altri cannoni e provedere molte cose necessarie a chi assalta le terre con l’artiglierie, le quali, come è detto di sopra, Prospero avea prima recusate. La quale o negligenza o mutazione di consiglio portò grandissimo detrimento, perché tanto maggiore tempo ebbe Lautrech a raccorre le genti che aspettava di Francia da’ viniziani e da’ svizzeri. Tanto è ufficio de’ savi capitani, pensando quanto spesso nelle guerre sia necessario variare le deliberazioni secondo la varietá degli accidenti, accomodare da principio, quanto si può, i provedimenti a tutti i casi e a tutti i consigli.


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