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Capitolo quattordicesimo
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XIV
Nel quale tempo era giá accesa molto la guerra di Toscana: perché il principe di Oranges, preso che ebbe Spelle, e che il marchese del Guasto, il quale lo seguitava con fanti spagnuoli, di quegli che erano stati a Monopoli, cominciò ad appropinquarsi allo esercito suo, venne al ponte di San Ianni presso a Perugia in su il Tevere, dove si unirono seco i fanti spagnuoli; nella quale cittá erano tremila fanti de’ fiorentini. Aveva il principe, innanzi si accampasse a Spelle, mandato uno uomo a Perugia a persuadere Malatesta che cedesse alle voglie del pontefice; il quale, per ritirare a sé in qualunque modo la cittá di Perugia e per desiderio che l’esercito procedesse piú innanzi, offeriva a Malatesta che, uscendosi di Perugia, gli conserverebbe gli stati e beni suoi propri, consentirebbe che liberamente andasse alla difesa de’ fiorentini, e si obligherebbe che Braccio e Sforza Baglioni e gli altri inimici suoi non rientrassino in Perugia: e benché Malatesta affermasse non volere accettare partito alcuno senza consentimento de’ fiorentini nondimeno udiva continuamente le imbasciate del principe, il quale poiché aveva acquistato Spelle gli faceva maggiore instanza. Comunicava queste cose Malatesta a’ fiorentini: inclinato senza dubbio alla concordia, perché temeva alla fine del successo, e forse che i fiorentini non continuassino in porgergli tutti gli aiuti desiderava; e quando avesse ad accordare non sperava potere trovare accordo con migliori condizioni di quelle che gli erano proposte; stimando molto meglio che, senza offendere il pontefice e dargli causa di privarlo de’ beni e delle terre che se gli preservavano, gli restasse la condotta de’ fiorentini che, col volersi difendere, mettere in pericolo lo stato presente e le condizioni tollerabili che poteva avere dello esilio, e farsi esosi gli amici suoi e tutta la terra. Perseverava però sempre in dire di non volere accordare senza loro, ma soggiugnendo che volendo difendere Perugia era necessario che i fiorentini vi mandassino di nuovo mille fanti, e che il resto delle genti loro facesse testa all’Orsaia, lontana cinque miglia da Cortona, ne’ confini del cortonese e perugino (il che non potevano fare senza sfornire tutte le terre), e nondimeno luogo sí debole che era necessario si ritirassino a ogni movimento degli inimici. Dimostrava che se non si accordava, e il principe, lasciata indietro Perugia, pigliasse il cammino di Firenze, sarebbe necessario gli lasciassino in Perugia mille fanti vivi e anche non basterebbeno, perché il pontefice potrebbe travagliarla con altre forze che con le genti imperiali; ma che accordando, i fiorentini ritirerebbeno a sé tutti i loro fanti, e lo seguiterebbeno anche dugento o trecento uomini de’ suoi eletti; e che restandogli gli stati e beni suoi, ed esclusi gli inimici di Perugia, attenderebbe alla difesa con animo piú quieto. A’ fiorentini sarebbe piaciuto molto il tenere la guerra a Perugia, ma vedendo che Malatesta trattava continuamente col principe, e sapendo anche che mai aveva intermesso di trattare col pontefice, dubitavano che egli, per gli stimoli de’ suoi, per i danni della cittá e del paese e per sospetto degli inimici e della instabilitá del popolo, alla fine non cedesse; e pareva loro molto pericoloso il mettere in Perugia quasi tutto il nervo e il fiore delle loro forze, sottoposte al pericolo della fede di Malatesta, al pericolo dello essere sforzate dagli inimici, e alla difficoltá del ritirarle in caso che Malatesta si accordasse. E consideravano ancora la mutazione di Perugia potergli poco offendere, restandovi gli amici di Malatesta e a lui le sue castella, né vi ritornando Braccio e i fratelli: donde il pontefice, mentre che la perseverava in quello stato, non poteva se non starne con continuo sospetto. Nella quale titubazione di animo, stimando sopra ogni cosa la salvazione di quelle genti, né si confidando interamente della costanza di Malatesta, mandorono segretissimamente, a’ sei di settembre, uno uomo loro per levarle da Perugia, temendo non fussino ingannate se si faceva l’accordo: e inteso poi che per essere giá vicini gli inimici non si erano potute partire, spedirono a Malatesta il consenso che accordasse. Ma aveva giá, mentre che l’avviso era in cammino, prevenuto: perché Oranges, il nono di settembre, passò il Tevere al ponte di San Ianni; ed essendo alloggiato, dopo qualche leggiera scaramuccia, la notte medesima, conchiuse l’accordo con Malatesta, obligandolo a partirsi di Perugia, datagli facoltá che e’ godesse i suoi beni, potesse servire i fiorentini come soldato, ritirare salve le genti loro: le quali perché avessino tempo a ridursi in su il dominio fiorentino promesse Oranges stare fermo con l’esercito due dí. Cosí ne uscirno a’ dodici, e camminando con grandissima celeritá si condusseno il dí medesimo a Cortona per la via de’ monti, lunga e difficile, ma sicura.
Cosí si ridusse tutta la guerra nel terreno de’ fiorentini. A’ quali benché i viniziani e il duca d’Urbino avessino dato speranza di mandare tremila fanti, che per sospetto della venuta del principe a quelle bande avevano mandato nello stato di Urbino, nondimeno, non volendo dispiacere al pontefice, riuscí promessa vana: solamente dettono i viniziani al commissario di Castrocaro danari per pagare dugento fanti. E non ostante che quel senato e il duca di Ferrara trattassino continuamente di comporre con Cesare, nondimeno, perché questa difficoltá lo facesse piú facile alle cose loro, confortavano i fiorentini a difendersi.