< Storia d'Italia < Libro XVI
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III

La politica dei pontefici verso il duca d’Este, e loro ambizione su Ferrara. Apprensioni del duca dopo l’elezione di Clemente; timori di suoi accordi con Cesare.

La casa da Esti, oltre ad avere tenuto lunghissimamente sotto titolo di vicari della Chiesa il dominio di Ferrara, aveva molto tempo posseduto Reggio e Modena con le investiture degli imperadori, non si facendo allora dubbio che quelle due cittá non fussino di giurisdizione imperiale; e le possedé pacificamente insino che Giulio secondo, suscitatore delle ragioni giá morte della sedia apostolica e sotto pietoso titolo autore di molti mali, per ridurre totalmente Ferrara in dominio della Chiesa, roppe guerra al duca Alfonso: nella quale avendo avuto occasione di torgli Modena, la ritenne al principio per sé, come cosa che insieme con tutte l’altre terre insino al fiume del Po appartenesse alla sedia apostolica, per essere parte dello esarcato di Ravenna; ma poco poi, per timore de’ franzesi, la dette a Massimiliano imperadore. Né per questo cessò la guerra contro ad Alfonso; ma avendogli, non molto poi, tolto ancora Reggio, si crede che se fusse vivuto piú lungamente arebbe preso Ferrara; inimico acerbissimo di Alfonso, sí per la pietá che e’ pretendeva alla ambizione di volere ricuperare alla Chiesa ciò che si dicesse essere mai stato suo in tempo alcuno, come per lo sdegno che egli avesse seguitato piú presto l’amicizia franzese che la sua; e forse ancora per l’odio implacabile portato da lui alla memoria e alle reliquie di Alessandro sesto suo predecessore, Lucrezia figliuola del quale era maritata ad Alfonso ed eranne di questo matrimonio nati giá parecchi figliuoli. Lasciò Giulio, morendo, a’ successori suoi non solo l’ereditá di Reggio ma la medesima cupiditá di acquistare Ferrara, stimolandogli la memoria gloriosa che pareva che appresso ai posteri avesse lasciata di sé. Però, fu piú potente in Lione suo successore questa ambizione che il rispetto della grandezza che aveva in Firenze la casa de’ Medici, alla quale pareva piú utile che si diminuisse la potenza della Chiesa che, aggiugnendogli Ferrara, farla piú formidabile a tutti i vicini: anzi, avendo comperato Modena, indirizzò totalmente l’animo ad acquistare Ferrara, piú con pratiche e con insidie che con aperta forza; perché questo era diventato troppo difficile, avendo Alfonso, poi che si vidde in tanti pericoli, atteso a farla fortissima, lavorato numero grandissimo di artiglierie e di munizioni, e trovandosi, come si credeva, quantitá grossa di denari. E furono le inimicizie sue forse maggiori ma trattate piú occultamente che quelle di Giulio; e oltre a molte pratiche tenute spesso da lui per pigliarla, o allo improviso o con inganni, obligò sempre i príncipi, co’ quali si congiunse, in modo che almanco non potevano impedirgli quella impresa; né solo viventi Giuliano suo fratello e Lorenzo suo nipote, per l’esaltazione de’ quali si credeva che avesse avuto questa cupiditá, ma non manco dopo la morte loro: donde si può facilmente comprendere che da niuna cosa ha l’ambizione de’ pontefici maggiore fomento che da se stessa. Il quale desiderio fu tanto ardente in lui che molti si persuasono che quella sua ultima, piú presto precipitosa che prudente, deliberazione di unirsi con Cesare contro al re di Francia fusse in grande parte spinta da questa cagione. In modo che la necessitá costrinse Alfonso per sodisfare al re di Francia, unico fondamento e speranza sua, di rompere la guerra in modenese quando lo esercito di Lione e di Cesare era accampato intorno a Parma; nella quale avendo cattivo successo si sarebbe presto ridotto in gravissime difficoltá se, in ne’ medesimi dí, non fusse inopinatamente, nel corso delle vittorie, morto Lione; morte certo per lui non manco salutifera che quella di Giulio. Né io so se, alla fine, fusse totalmente mancato Adriano suo successore di questa cupiditá; benché per essere nuovo e inesperto nelle cose d’Italia [lo] avesse, ne’ primi mesi che e’ venne a Roma, assoluto dalle censure, concessagli di nuovo la investitura e permesso che e possedesse eziandio tutto quello che aveva occupato nella vacazione della Chiesa, e gli avesse ancora dato speranza di restituirgli Modena e Reggio: da che di poi, informato meglio delle cose, si alienò con l’animo ogni dí piú. In modo che Alfonso, avendo compreso che piú facilmente si induce a perdonare chi è offeso che a restituire chi possiede, fu piú ardito, vacando la sedia per la morte di Adriano, che non era stato prima nelle altre occasioni che aveva avute. Ma per la creazione di Clemente entrò in grandissimo timore che per lui non fussino ritornati gli antichi tempi; e meritamente, perché in lui, se gli fussino succedute le cose prospere, sarebbe stata la medesima disposizione che era stata in Giulio e in Lione: ma non avendo ancora occasione per Ferrara, era tutto intento a riavere Reggio e Rubiera, come cosa piú facile e piú giustificata per la possessione fresca che ne aveva avuto la Chiesa, e come se per questo gli risultasse ignominia non piccola del non le ricuperare. Da questo nacque che, prima in molti altri modi e ultimamente nella capitolazione col viceré, ebbe piú memoria di questo che non desideravano molti; i quali, conoscendo il pericolo che soprastava a tutti della grandezza di Cesare e che nissuno rimedio era piú salutifero che una unione molto sincera e molto pronta di tutta Italia, e che tutto dí potevano succedere o occasioni o necessitá di pigliare l’armi, arebbono giudicato essere meglio che il pontefice non esasperasse né mettesse in necessitá di gittarsi in braccio allo imperadore il duca di Ferrara, principe che, per la ricchezza per l’opportunitá del sito e per l’altre sue condizioni, era, in tempi tali, da tenerne molto conto; e che piú presto l’avesse abbracciato, e fatto ogni diligenza di levargli l’odio e la paura: se però il fare benefizio a chi si persuade avere ricevute tante ingiurie è bastante a cancellare degli animi, sí male disposti e inciprigniti, la memoria delle offese; massime quando il benefizio si fa in tempo che pare causato piú da necessitá che da volontá.


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