< Storia d'Italia
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Libro XX - Capitolo VII Indice dei nomi

NOTA

I

Alla Storia d’Italia, il Guicciardini massimamente dedicò le cure e l’operositá letteraria del suo ritiro nella villa di Arcetri, da quando si allontanò, nel 1537, dalla vita politica per il fatale contrasto tra le sue vedute di aristocratico conservatore e l’assolutismo di Cosimo I de’ Medici, fino alla sua morte, colá avvenuta il 22 maggio 1540, a 57 anni. E l’opera fu da lui condotta a termine: ma, sfortunatamente, non tutta riveduta né tutta sufficientemente elaborata; sicché è rimasta con qualche lacuna, che l’autore si era proposto di colmare a suo agio, e senza ricevere negli ultimi quattro libri un’adeguata revisione.

Quale sia stata la fortuna di questo capolavoro del Guicciardini ci dice, in parte, il numero considerevole delle edizioni e delle ristampe dal 1561 a noi. Se pochissime furono quelle condotte direttamente sul manoscritto, il codice Laurenziano Mediceo Palatino di cui parleremo piú innanzi, altre dimostrano anch’esse, per la veste con cui si presentano e per le prefazioni le note le appendici e gli indici di cui furono arricchite, la grandissima estimazione in cui l’opera è stata sempre tenuta.

L’editio princeps usciva nel 1561 col titolo e l’indicazione: «La Historia di Italia di M. Francesco Guicciardini Gentil’huomo Fiorentino. Con i privilegi di Pio IIII. Sommo Pont. di Ferdinando I. Imp. Del Re Cattolico, et di Cosimo Medici II. Duca di Firenze, et di Siena. In Fiorenza, appresso Lorenzo Torrentino Impressor Ducale. MDLXI». L’edizione è dedicata dal nipote Agnolo (di Girolamo) Guicciardini a Cosimo Medici, duca di Firenze, e di Siena; contiene soltanto i primi sedici libri, ed Agnolo Guicciardini ce ne dá la ragione nella dedica, che crediamo bene riportare integralmente.

«All’Illustrissimo, et Eccellentissimo Sig. il Signor Cosimo Medici, Duca di Firenze, et di Siena, Signore, et Padrone nostro osservandissimo.

Noi habbiamo finalmente Illustrissimo, et Eccellentissimo Principe, risoluto di mandare in luce l’historia delle cose accadute in Italia dalla passata di Carlo VIII Re di Francia insino all’anno M.D.XXVI, scritta da M. Francesco Guicciardini nostro zio: parendoci nostro debito sadisfare al comune desiderio, et alla gloria di cosí grave, et giudizioso scrittore, non potendo ella piú lungamente tollerare che tale opera stesse sepolta, per la quale si può facilmente sperare che il nome suo habbia a essere perpetuamente celebrato: et ancora che al presente non sia nostra intenzione lodare, o l’autore, o l’historia scritta da lui, perché l’uno, et l’altro di questi si faranno per se stessi conoscere chiaramente, non lascieremo però di dire che quelle leggi, che si devono nella historia principalmente osservare, considerata l’opera, et la vita dell’autore, essersi da quello inviolabilmente osservate, approvando ciascuno di quei che lo conobbero, lui essere stato non solo prudente, ma sincero, et buono, dalle quali virtú è lontano ogni sospetto di gratia, o d’amore, d’odio, o di premio, o di qualunque altro si voglia humano affetto, che possa avere forza di torcere dal vero l’animo de gli scrittori: onde si può fermamente credere le cose scritte da lui essere vere, et cosí seguite come elle si contano: perché rari sono stati quegli in questi tempi, a quali si sia porta maggiore comoditá di sapere il vero delle cose che a lui, il quale, essendo nella sua Cittá nato nobile, et dedicatosi da’ primi anni suoi a gli studii delle lettere, et conosciuto da molti insino dal principio della sua giovanezza attissimo a trattare cose grandi, et honorate, fu adoperato da suoi cittadini molto per tempo in faccende di gran momento, dove crescendo in lui insieme con l’etá il giudizio, et il sapere, fu da potentissimi Principi con somma autoritá proposto a grandissimi eserciti, a governi di Terre, et amministrationi di Provincie, et in somma quasi per tutta la vita sua in cose grandissime, et gravissime esercitato: laonde, et per haverne egli trattate assai, et essere intervenuto dove le piú si trattavano, gli è stato facile venire alla cognizione di molte cose, che a infiniti altri sono state nascose: oltre a che egli fu diligentissimo investigatore delle memorie publiche non solo di questa Cittá, dove se ne tiene diligente cura, ma ancora di molti altri luoghi, donde per la sua autoritá, et riputatione potette ottenere quanto volle. Essendo addunque stata tale et la volontá, et la comoditá di M. Francesco possiamo credere che questa opera habbia havuto tutto quello se gli aspettava, massimamente che egli molto tempo innanzi intento a questo fine, a quello con tutto l’animo si preparava. Hora che le cose scritte da lui sieno da essere stimate molto non fa mestiero che noi altrimenti dimostriamo, perché chi è quello che non sappia dall’anno 1494, insino al fine della sua historia, che sono circa 40 anni, essere in Italia nati i piú varii accidenti, le maggiori, le piú horribili, et piú atroci guerre, che da lunghissimo tempo in qua in qual si voglia parte del mondo sieno state? le quali non solamente in essa si raccontano, ma le cagioni, i consigli, la prudenza, la temeritá, la virtú, i vitii, et le fortune degl’huomini principali che v’intervennero, talmente che noi possiamo di questa opera veramente affermare quello che dire si suole. L’historia essere testimonio dei tempi passati, luce del vero, vita della memoria, et finalmente maestra delle umane attioni. Grande è addunque il frutto che di tal sorte di scritture si trae, se con bello, et distinto ordine, con gravi, et giudiziose sentenze si descrivono: et se bene alla intera perfezione si convenisse un leggiadro, et ornato parlare, il quale forse in qualche parte da alcuno sará desiderato nella presente historia, diciamo ciò essere avvenuto perchè M. Francesco molto prima che alla sua etá non pareva si convenisse, terminò la presente vita, lasciando questa opera imperfetta, et quattro altri ultimi libri d’essa piú presto abbozzati, che finiti, i quali per tale cagione non si mandano fuori al presente, onde non possette a questa sua figura dare quegli ultimi lineamenti, che a perfetta opera si conveniva, benché et ancora a molti uomini di buono giudizio soglino parere belle molte figure non cosí ripulite, et limate, ma che con qualche poco di naturale rozzezza, et puritá dieno segno d’antichitá, et di gravitá. Deliberati addunque noi suoi nipoti di mandarla in luce, non ci è convenuto stare sospesi a chi dovessimo indirizzarla, et dedicarla: perché essendo l’autore stato sempre servidore della Illustrissima Casa de Medici, et particolarmente di V. E. Illustriss. et contenendo questa historia molti egregii fatti delli antecessori di quella et in particolare del valorosissimo padre suo: et essendogli noi tutti humilissimi, et divotissimi Servidori, non potevamo ragionevolmente pure pensare di mandarla fuori se non sotto il felicissimo nome di quella, sperando gli deva essere gratissima, havendola col suo sapientissimo giudizio piú volte commendata. Si degnerá addunque V. E. Illustriss. riceverla, et accettarla come cosa sua, non solo da noi tutti, et da me in loro nome, ma da M. Francesco stesso per mano nostra, aspettando poco appresso gl’ultimi quattro libri: et con questo facendo fine a V. E. Illustrissima baciamo humilmente la mano, pregando Iddio che la conservi, et feliciti.

Di Firenze il giorno jjj. di Settembre 1561. — Di V. Eccellentia Illustrissima Humilissimo, et deditiss. Servitore Agnolo Guicciardini.»

L’editio princcps degli ultimi quattro libri (XVII—XX) usciva nel 1564 col titolo e l’indicazione: Dell’Historia d’Italia dí M. Francesco Guicciardini Gentil’huomo Fiorentino, gli ultimi quattro Libri, non piú stampati. All’illustriss. et eccellentiss. Sig. il sig. Cosimo Medici Duca di Firenze et di Siena. Con privilegii. — In Vinegia Appresso Gabriel Giolito de Ferrari, MDLXIIII. — Della dedica di Agnolo Guicciardini a Cosimo dei Medici, che pure integralmente riportiamo, è particolarmente importante ciò che si dice riguardo al metodo seguito nel lavoro di preparazione per la stampa.

«All’Illustrissimo et Eccellentissimo Signore, il Signor Cosimo Medici, Duca di Firenze et di Siena Sig. et Padron nostro osservandiss.

Noi siamo Illustrissimo et eccellentissimo Principe venuti al fine di quello studio, et diligenza, la quale da noi si è potuta usare maggiore nell’ordinare gli ultimi quattro libri dell’Historia di M. Francesco Guicciardini nostro Zio, et se non haremo conseguito quello, che alla grandezza dell’autore, et all’imperfettione di essi si richiedeva, essendo rimasti doppo la morte sua in alcuni luoghi non continuati et distesi, almeno ci siamo ingegnati sadisfare a quello obligo, al quale ci strigneva l’amore et la reverenza che noi portiamo alla memoria sua, et a suoi scritti, et come ci ha insegnato una lunga esercitatione, et pratica, che hanno fatta alcuni di noi in questa Historia, havendo havuto per obietto principale il non variare in parte alcuna i sensi, ma solo l’ordinare, et comporre le parole che egli lasciò scritte, piú chiare, et piú pure che abbiamo saputo, senza aggiugnere o levare cosa alcuna, avendo voluto piú tosto lasciare qualche luogo vacuo, che mescolare in questa Historia concetti, o parole d’altrui, promettendoci che la prudenza et discreto giuditio di quelli che leggeranno quest’opera, habbino a scusare quei difetti, che in essa forse troverranno, come causati dalla breve vita dell’autore, per la quale non gli fu conceduto porre l’ultima mano a’ suoi scritti. Con questa intentione addunque habbiamo terminata quest’opera et sentendo che i sedici primi libri publicati tre anni sono hanno generato ne gli huomini molto desiderio di vedere questi quattro ultimi, come figliuoli del medesimo padre, et come quelli che contengono cose piú propinque a’ tempi nostri, et per la qualitá et grandezza loro forse maggiori delle prime, ci è parso concedere loro, per i conforti di molti, questa satisfattione, di mandarli in luce, sperando insieme fare cosa grata a V. Eccellenza Illustrissima la quale amando tanto le scientie, et ancora la cognitione dell’Historie come maestre de gli huomini grandi, et cercando di giovare al mondo, possiamo credere, che per il frutto che trarranno gli huomini di questa lettione, habbia ad havere caro la pubblicatione di questi ultimi libri, come hebbe quella de primi, oltre che in essi sentirá rinnovare la chiara memoria del valore del Signore Giovanni suo padre, il quale se non fusse stato da acerba morte cosí tosto, et nel fiore della gioventú sua rapito, harebbe vivendo pareggiato la gloria dei piú famosi antichi, ma perchè piú degne lodi si convengono alla fortezza, et virtú sua, che le nostre, lasceremo questo ragionamento, et tanto piú volentieri, quanto che et dal nostro Historico, et da altri, è conservato illustre il nome suo, cosí piacesse a Dio, che la nostra etá producesse scrittori simili a quelli, che celebrarono l’opere sue, come ella ha prodotto V. Eccellenza figliuolo suo, pari di valore, et di prudenza a lui, ma tanto superiore di grado, et di fortuna, quanto la grandezza, et la potenza de gli stati suoi, acquistati parte per la spontanea elettione de popoli, parte per giusta forza d’arme a tutto il mondo fanno manifesto, i quali scrivendo fussero bastevoli a spiegare, et a dimostrare alle genti quelle eccellenti virtú di clemenza, di iustitia, di prudenza, et di fortezza, che in lei per un lungo, et continuo corso sono apparite, et hora vie piú che mai appariscono, et risplendono, ma doviamo pure prometterci, essendo il campo cosí ampio, et cosí honorato, che e’ non habbia a mancare in Toscana, et in Firenze particolarmente, madre di tanti belli, et generosi spiriti, sollevati e inanimiti alli studii delle lettere dalla liberalitá di V. Eccellenza chi degnamente possa perpetuare nella memoria de’ posteri l’opere, et la virtú di quella, alla quale noi augurando questa eterna felicitá, vero premio de gli huomini valorosi, poi che altro giovamento non possiamo arrecare alla gloria sua, gli consacriamo, et dedichiamo riverentemente quest’opera, supplicandola, che si degni accettarla con lieta fronte, et pari all’affetto, còl quale io in nome di tutti gliene presento, et li bacio humilmente le mani.

Di Firenze il giorno XX. di Luglio M.D.LXIIII. — Di V. Eccellenza Illustrissima Humiliss. et devotiss. servidore Agnolo Guicciardini.»

Tanto l’edizione del Torrentino quanto quella del Giolito mancano di passi di diversa ampiezza, certo, i piú e piú importanti, soppressi dalla censura. La ragione della soppressione ci vien detta dal contenuto dei passi stessi, di cui però alcuni si riducono a brevissime espressioni. I piú importanti sono quattro, e riguardano rispettivamente Lucrezia Borgia, l’origine del potere temporale dei papi, l’interpretazione di un passo della sacra scrittura e la tirannide sacerdotale. Gli altri sono crude espressioni o giudizi riguardanti credenze religiose o pontefici o prelati o personaggi della casa de’ Medici o altri principi: ed è di qualcuno di questi ultimi luoghi che si può pensare si debba l’esclusione al riguardo per Cosimo de’ Medici a cui la «Storia» veniva dedicata. Del resto, ecco l’elenco di tali passi, con l’indicazione delle pagine ove essi si trovano nella presente edizione.

1. «piú per favore che per ragione»; vol. I, p. 26.

2. «Era medesimamente fama... e impotente al coito»; vol. I, p. 286.

3. «fondandosi in sulle leggi fatte per loro medesimi»; vol. I, p. 300.

4. «Per la dichiarazione della qual cosa... piú ardentemente che non conviene alla legge dell’istoria, traportato»; vol. I, pp. 370381.

5. «e perché Lucrezia era spuria e coperta da molte infamie»; vol. II, p. 28.

6. «Nè solo ha questa navigazione... del nostro emisperio»; vol. II, p. 132.

7. «e poi famoso per l’amore noto di quella madonna»; vol. III, p. 58.

8. «Assai essere stata oppressa... la tirannide sacerdotale»; vol. III, pp. 118119.

9. «le quali cose non avendo in sé né verisimilitudine né autoritá alcuna»; vol. IV, p. 67.

10. «che abbondano piú di semplicitá che di prudenza»; vol. IV, p. 67.

11. «come se lo Spirito Santo... piaceri»; vol. IV, p. 146.

12. «per colore della sua cupiditá»; vol. IV, p. 153.

13. «donde si può facilmente comprendere che da niuna cosa ha l’ambizione de’ pontefici maggiore fomento che da se stessa»; vol. IV, p. 280.

14. «In modo che Alfonso... che aveva avute»; vol. IV, p. 280.

15. «Il medesimo fu deditissimo... non si possono nominare»; vol. IV, p. 328.

16. «Perché in Lione fu di grande lunga piú sufficienza che bontá»; vol. IV, p. 329.

17. «se in qualche cosa errava, procedeva piú presto da volontá che da giudicio»; vol. IV, p. 331.

18. «non era bene sicuro della fede del duca di Urbino... per premio della vittoria»; vol. V, p. 60.

19. «cosa che ebbe molta dilazione... recusava di concederla»; vol. V, p. 72.

20. «Anzi il re di Francia offeriva... o contro al regno di Napoli»; vol. V, p. 72.

21. «né gli bastando i modi ordinari vendeva i beni di molte chiese e luoghi pii»; vol. V, p. 104.

22. «quando era lontano dal pericolo»; vol. V, p. 119.

23. «alla quale difficoltá non voleva porre rimedio col creare nuovi cardinali»; vol. V, p. 120.

24. «e che aveva esercitato il cardinalato... giovane di forma eccellentissima»; vol. V, p. 318.

Si notano inoltre le varianti: «natura pessima» invece di «natura facinorosa», vol. I. p. 135; e «d’una gentildonna amata da ambedue», invece di «di madonna Lucrezia sorella comune», vol. I, p. 286.

Di tutte le edizioni che seguirono nessuna fu condotta su codici, fino a quella detta di Friburgo degli anni 1774-1776: Della Istoria d’Italia di M. Francesco Guicciardini Gentiluomo Fiorentino Libri XX. Friburgo [ma Firenze, Gaetano Cambiagi] appresso Michele Kluch, MDCCLXXIV—LXXVI. L’edizione comprende, per la prima volta, tutti i passi soppressi dalla censura e mancanti nell’editio princeps (due di essi però, cioè quello riguardante Lucrezia Borgia e l’altro intorno all’origine del potere temporale dei papi, erano giá apparsi in un’edizione di Iacopo Stoer a Ginevra nel 1621)1, e l’editore appunto perciò ricorse alla finzione della stampa a Friburgo anziché a Firenze, ed espose i criteri seguiti, in una supposta lettera inviata a un supposto Kluch da un suo corrispondente N. N. da Firenze. Ricorda in essa come per l’edizione del Torrentino il testo sia stato manomesso per opera «di Bartolomeo Concino, celebre segretario del Duca Cosimo I, che diresse quella edizione, e che per servire alle circostanze dei tempi, e forse al genio e alle vedute politiche del Duca suo Padrone, lasciati inediti molti considerabilissimi squarci di queste storie, fecevi di proprio talento assai notabili variazioni». Il testo della «Storia», si dice in questa lettera stessa, fu «pazientemente collazionato, e confrontato parola per parola» col codice Mediceo Palatino dal canonico Bonso Pio Bonsi, non essendogli stato possibile di consultare nella casa Guicciardini l’esemplare donde tale codice era stato trascritto.

E sullo stesso codice fu condotta quella del 1818—1819: «Delle istorie d’Italia di Francesco Guicciardini Libri XX. Firenze, per Nicolò Conti». Ma non fu questa l’edizione che ha avuto miglior fortuna nel sec. XIX. Dopo di essa usciva, nel 1819—1820, l’edizione del Rosini: «Istoria d’Italia di Messer Francesco Guicciardini alla miglior lezione ridotta dal professor Giovanni Rosini. Pisa, presso Nicolò Capurro, co’ caratteri di F. Didot, MDCCCXIX—XX». Questa può dirsi abbia fatto testo fino all’edizione del Gherardi, per quanto del tutto immeritatamente. Ecco, infatti, ciò che di essa dice il Rostagno: «Edizione fatta anzitutto con lo scopo di toglier qualsiasi reputazione alla fiorentina del Conti: né condotta su Mss., e nemmeno precipuamente sull’edizione del Torrentino — come dichiarò il Rosini di essersi proposto di fare, — bensí a volta a volta sull’edizione del Torrentino, su quella cosí detta di Friburgo e su quella stessa del Conti, vale a dire sulle edizioni che ebbero a fondamento il Codice Mediceo, sia pure non proficuamente consultato: che il Rosini senza conoscerlo affermò temerariamente dover riguardarsi come d’ogni altro il peggiore»2. Donde la necessitá, sentita da quanti potevano gustare una forma piú genuina ed un pensiero piú preciso del grande storico del Cinquecento, di una nuova edizione, che, condotta con scrupoloso amore e con acume e con l’aiuto dei codici che della Storia ci rimangono, potesse presentare, con nessuna offesa alla dovuta venerazione pel grande autore, questo capolavoro della letteratura nostra. Tale compito è stato assolto, pressoché un secolo dopo l’edizione del Rosini, dall’amorosa pazienza e dall’ingegno di Alessandro Gherardi, a cui la morte toglieva il gaudio di veder pubblicato il frutto della fatica propria: «La Storia d’Italia di Francesco Guicciardini sugli originali manoscritti a cura di Alessandro Gherardi per volontá ed opera del conte Francesco Guicciardini deputato al Parlamento. Firenze, G. C. Sansoni editore, 1919; voll. quattro».

Ad una seduta del congresso di scienze storiche di Roma, nell’aprile del 1903, lo stesso Gherardi, dando notizia della nuova edizione della Storia d’Italia che andava preparando, diceva: — «Conduco la stampa sull’ultima copia manoscritta in cinque volumi esistenti nella sezione Medicea—Palatina della Biblioteca Laurenziana di Firenze, che ebbe l’ultime correzioni e giunte dell’Autore, quella stessa che serví alle edizioni de’ primi sedici Libri e poi degli ultimi quattro, fatte, rispettivamente, in Firenze e in Venezia, dal Torrentino e dal Giolito nel 1561 e nel 64: e successivamente alle due intere, pur di Firenze, del 1774—76 (Friburgo—Kluch) e del 1818—19 (Conti): le sole tre edizioni, queste, condotte sull’originale. Ma poiché nella privata biblioteca del conte Francesco è il codice originale dell’apografo Laurenziano, e l’originale anche di quello (non ricopiato, come i due successivi, ma scritto a dettatura dell’Autore) tengo via via a riscontro anzi addirittura collaziono col Laurenziano anche questi due codici». Isidoro Del Lungo, presentando l’edizione ai lettori, la chiama: — «finalmente autentica pubblicazione della Storia d’Italia» 3; ed il Carli nell’ampia recensione che di essa pubblicò nel «Giornale Storico della letteratura italiana»4 la disse degna d’essere considerata la vera editio princeps della Storia.

Quali siano i manoscritti esistenti nell’archivio Guicciardini, e certamente conosciuti tutti dal Gherardi, che di tutti quelli che potevano giovare al compito suo si è valso, riferisce Enrico Rostagno nella recensione critica de’ manoscritti che ha premesso al I volume5; ed è necessario ne parliamo, sia per l’importanza dell’argomento, sia perché a qualcuno di quei manoscritti ci dovemmo, in qualche nota, riferire anche noi per giustificare il nostro discostarci da qualche lezione dell’edizione Gherardi.

I manoscritti riguardanti la Storia d’Italia nell’Archivio Guicciardini sono registrati in un Indice inventario compilato nel 1737 dall’ab. Decio Maria Gallizioli, alla lettera D e cosí distinti:

D 1 (ovv. Di). — Copia della Istoria d’Italia di Francesco Guicciardini riveduta e largamente corretta dall’Autore. È un «codice ms. di n. 28 quaderni o fascicoli l’un dall’altro distinti, ma con un’originaria cartulazione unica a pagine, che va da p. 1 a p. 2524, ricoperti di pergamena, e progressivamente contrassegnati da una lettera». Il testo dell’Istoria è di mano di un copista; abbondano in alcuni quaderni, in altri meno, le cancellature, le aggiunte, i riferimenti e le emendazioni autografe dell’autore. Vi sono compresi tutti i venti libri dell’Istoria, e dopo di essi segue un indice di nomi propri, autografo dell’Autore e quindi una vera selva di note, ricordi storici, sentenze ecc. dell’A. stesso;

D 3 (ovv. Diii): Mss. di n. 16 quaderni l’un dall’altro distinti ma da raggruppare come segue:

a) Quaderni 1—4: contengono correzioni ed aggiunte al testo del D 1 per tutto il libro I e per diversi punti di altri libri;

b) quaderni 5—10: comprendono in copia, ma con correzioni, aggiunte e qualche foglio tutto autografo dell’autore, il testo dal principio del libro I a parte del VI;

c) quaderni 11—12: sono una copia dei due primi libri con aggiunte e correzioni autografe dell’Autore. «È una vera e propria bozza e redazione dell’opera, sebbene in forma assai ristretta, e con molte diversitá di composizione sino alla c. 106: poi, piú che composizione propriamente detta, è uno spoglio di fonti ed una cronaca dei fatti che nel concetto dell’A. dovevano entrare a comporre la sua storia».

d) quaderni 13—16: comprendono il testo della Storia dal principio fino a parte del libro IV; «contengono il principio d’una particolare redazione (non autografa, ma riveduta e corretta largamente dall’A. cosí ne’ margini, come interlinearmente) della Storia, il cui testo prosegue nel Ms. D 4, di cui infra».

D 4 (ovv. Div): Ms. di n. 18 quaderni «Continua... in questo Ms... il testo — non autografo ma largamente ritrattato dall’A. dell’Istoria, costituendo cosí, coi quaderni 13 e 16 del Ms. D 3, citato, un esemplare a sé dell’intiera opera, di n. 22 quaderni complessivamente».

Un rigoroso esame dei Mss. ed un confronto con l’edizione del Gherardi hanno fatto sií che il Rostagno potesse stabilire a quali Mss. dell’archivio Guicciardiniano corrispondono le indicazioni de’ codici fatte dal Gherardi e da lui usate nelle note al testo.

Il Cod. II designa i quaderni 11—12 del fascio o filza D 3;

il Cod. III i quaderni 13—16 del fascio D 3 e insieme i quaderni 1—18 del D 4;

il Cod. IV i quaderni 5—10 del D 3;

il Cod. V i quaderni 1—28 del D 1;

il Cod. V App. i quaderni 1—4 del D 3.

Questi codici servirono al Gherardi per la sua opera di controllo delle lezioni, correzioni, chiarificazione del pensiero dell’autore, opera che non si poteva compiere, talvolta, se non risalendo dalla piú recente alla prima forma in cui un’idea era stata espressa: e talvolta, infatti, il Gherardi preferisce una lezione all’altra risalendo fino al Cod. III. — Anche per il Gherardi, però, base fondamentale del paziente lavoro di ricostruzione dell’Istoria doveva essere ed è stato, come si è visto da lui stesso comunicato al Congresso delle Scienze, il codice Laurenziano Mediceo Palatino 1661, che è stato piú volte illustrato, ed al quale il Gherardi, ne’ suoi richiami, dá l’indicazione di VI; tale codice, come è noto, rappresenta l’ultima redazione manoscritta dell’opera, fatta trascrivere dall’autore, di cui porta in diversi luoghi correzioni ed aggiunte. Questo codice contiene l’opera completa in venti libri, è diviso in cinque volumi rilegati in mezza pelle, con impresso in oro sul dorso il titolo «Istorie del Guicciar.», seguito dall’indicazione del volume. È ricco di correzioni, ed oltre a quelle dell’autore ne abbiamo di mano dell’estensore, e di altri ancora, non poche delle quali correzioni e sostituzioni di vocaboli si devono alla preparazione della prima stampa dell’opera. Dice il Rostagno quasi a conclusione della sua recensione dei Mss.: «Il principal merito dell’edizione del Gherardi sará appunto questo, altissimo: di aver all’Autore restituito sincero e schietto il suo testo». Piú innanzi egli trova legittimo che il Gherardi abbia lasciato del tutto a parte, poiché egli poteva disporre del Laurenziano e degli originali di questo, il Codice Magliabechiano, pervenuto alla Magliabechiana nel 1786 (P. Leopoldi med. munificentia), di provenienza Strozziana. I quattro volumi che lo compongono comprendono il primo (II—III—60) copia dei libri dal I al IV; il secondo (II—III—6r) i libri dal XIII al XVI; il terzo (II—III—62) i libri dal XVII al XX; il quarto (II—III—63) pure i libri dal XVII al XX. Dalla minuta di un’orazione latina, compresa nell’ultimo volume, che doveva pronunziarsi dagli «imbasciadori» del duca Cosimo mandati a Paolo IV in occasione della sua elezione al pontificato, fra i quali era Niccolò Guicciardini, nipote dello storico, vien dimostrato come anche questo codice provenga dall’archivio guicciardiniano. Il Rostagno scrive di poter affermare «essere l’esemplare Magliabechiano, particolarmente quanto al vol. 60, una riproduzione non sempre accurata, anzi talora trascurata, se pur qua e lá mostra l’opera d’un correttore, del Mediceo Laurenziano (giá Palatino), fatta prima che questo fosse ritoccato dal Revisore o dai Revisori» per la stampa; i volumi 61 e 62 essere «una riproduzione non diretta, e parecchio sciatta e trascurata, del testo Mediceo, che sembrerebbe tuttavia sia stato tenuto presente insieme con la stampa, mentre le relazioni di dipendenza dal Mediceo del vol. 63... sono in confronto assai piú deboli, e incerte e mal sicure».— Questo codice sarebbe completato da un quaderno compreso nell’archivio Guicciardini nel fascio D 2, a cui il Gherardi (pensa il Rostagno) deve aver pensato di assegnare, nella sua serie dei codici, il n. 1, e che il Rostagno cosí illustra: «È un quaderno in f.o, senza copertina, di carte modernamente numerate 48 (m. 0.230 x 0.337) tutto autografo con correzioni e giunte interlineari e marginali copiosissime e con intiere pagine cancellate. Contiene il solo primo libro, e non intiero, arrivando a mezzo il discorso di Re Ferdinando di Napoli al popolo di quella cittá». Nota, però, lo stesso Rostagno che la testimonianza del Magliabechiano può aiutare per una piú sicura attribuzione di correzioni del Mediceo piuttosto all’autore che al revisore, e cita, riguardo a ciò, diversi esempi.

E non vogliamo neppure noi tacere, in questa nota, di altri manoscritti riguardanti la Storia. Poiché la prima edizione dell’opera, quella del Torrentino, uscí mutila per i tagli apportatile dalla censura politico—ecclesiastica, che con altri passi, tolse, come s’è giá notato quanto si dice di Lucrezia Borgia, dell’origine temporale e della tirannide sacerdotale, vi fu chi tali passi raccolse. E si trovano in mss. diversi: due nell’Archivio Guicciardiniano, rispettivamente nel quaderno D 9 (ovvero D ix), intitolato: «Nota di quello che non si trova nella Historia di M. Francesco Guicciardini che per qualche buon rispetto non si lasciò mettere a stampa»; e nel fascio miscellaneo D 6 (ovvero D vi) col titolo: «Luogo mutato et manco nel iij libro delle Historie del Guicciardini a carte 180 nella stampa di Venetia del Sansonino (sic) 1562 et nella stampa del Torrentino impressor ducale in Fiorenza 1561 a carte 127 al fine»: il primo della seconda metá ed il secondo della fine del sec. XVI, e di mano diversa; altri mss. riproducenti tali passi soppressi nella prima edizione, ed esistenti nella Biblioteca Nazionale di Firenze, indica il Rostagno.

Né può farsi, certo, a meno di parlare di altri manoscritti del Guicciardini che si riferiscono al primo periodo di preparazione dell’opera, e che in gran parte ci illuminano intorno alle fonti alle quali il Guicciardini ha attinto. A tal proposito, giá Pasquale Villari nel suo Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, rispondendo al Ranke il quale riguardo alla Storia del Guicciardini aveva scritto che l’autore per i fatti di cui non era stato parte o testimonio oculare aveva copiato largamente e senza citazioni da altri, e per quelli di cui era stato parte o testimonio li aveva narrati con negligenza, continuando a copiare da altri, e spesso alterandoli per maggiormente onorare se stesso, Pasquale Villari, ricordiamo, rispondeva come nell’archivio Guicciardini oltre le copie corrette e ricorrette della Storia esistessero «quattro volumi di Memorie storiche» per cui poteva vedersi che «il fondamento principale della narrazione, cosí pel Guicciardini, come pel Machiavelli e per molti altri degli storici fiorentini piú autorevoli di quel tempo, quando narravano fatti contemporanei, erano le lettere degli ambasciatori e dei commissari alla Signoria ed ai Dieci»6. Diffuse notizie ci dá di questi spogli di lettere, di altri documenti e di opere, il Gherardi nel «Principio di Proemio, e Note (anzi Notizie e tracce per Note) al medesimo» alla p. xlv del vol. I della citata edizione.

Questi spogli sono in dodici quaderni di gran formato contenenti estratti, ora scritti direttamente dal Guicciardini, ora fatti scrivere e probabilmente da lui dettati, dei principali carteggi degli oratori fiorentini dal 1492 al 1530: estratti o da lettere sciolte originali o da minutari o registri di oratori di Milano, di Francia, di Napoli, di Roma, di Spagna, di Germania, di Venezia, di Pisa, di Faenza, di Ferrara, di Perugia, di Bologna, d’Arezzo, ecc. I primi sette libri riguardano gli anni dal 1492 al 1499; i primi 4 e parte del 5° comprendono una prima redazione degli estratti; il resto del 5° ed il 6° una seconda; il 7° una terza, poiché il Guicciardini è andato man mano sempre piú coordinando e fondendo il materiale raccolto. Il quaderno settimo contiene, però, anche altre notizie dal 1495 al 1499, tratte alcune ex Archivio e altre ex Marcello; le prime provenienti cioè dai registri o copialettere dei «Dieci di balia»; le seconde, è da ritenersi, da scrittura, poi smarrita, di messer Marcello di messer Virgilio Adriani, dal 1496 capo della prima cancelleria dei signori. Gli altri cinque quaderni contengono estratti, per gli anni dal 1505 in poi, di scritti di oratori in Francia in Ispagna e a Roma e di altri oratori o commissari presso il viceré di Napoli, a Venezia e nei campi della lega contro Carlo V, nel regno e in Lombardia, presso il Lautrech e il signore di S. Polo, in Inghilterra, a Ferrara, a Cortona, ad Arezzo, al duca d’Urbino. Oltre i carteggi degli oratori fiorentini i quaderni contengono: il primo un estratto latino ex B. Oricellario, cioè del De Bello italico di Bernardo Rucellai; il quarto notizie tratte dalle memorie di Filippo di Comines signore d’Argenton, e oltre a ciò copiosa materia tratta da scritti e da lettere di personaggi del tempo intorno ad argomenti d’importanza somma; il secondo un «Sommario de’ capitoli li più substanziali dell’accordo di Madril» tra Carlo V e Francesco I; il nono un «Estratto de’ capitoli» fatti dal marchese di Saluzzo con gl’imperiali, in Aversa, nel 1528 e un altro di quello della pace tra imperatore e Francia nel 1529, e nel duodecimo una «Copia di lettera scrita da me per buon respecti sotto nome di Borb. a Ant.° di Leva, de 19 d’Ap.le 1527, et data a S. Piero in Bagno»; singolare documento, lo definisce il Gherardi, che si proponeva di parlarne a parte in modo particolare7. Negli stessi quaderni sono anche appunti e ricordi senza indicazione esplicita di fonti a cui si attingessero; né è a meravigliarsi, poiché erano certamente sufficienti per l’autore, mentre stava preparando il materiale su cui ricostruire, anche semplici note che per ogni altro restano solo nuova testimonianza d’uno scrupoloso amore alla veritá nella ricostruzione dei fatti.

Dopo la lunga fatica del Gherardi, noi possediamo l’opera principale del Guicciardini piú corretta e piú genuina ed è indubitato che lo storico fiorentino, poiché dell’attivitá sua nel prepararla e nel comporla, piú sappiamo, ci appare anche piú grande: ne vediamo la massima diligenza nella raccolta del materiale non mai sufficiente, l’acuto esame per vagliare e concordare fonti discordi, lo sforzo per l’esattezza e la chiarezza dell’espressione senza che nulla sia dimenticato, l’incontentabilitá e la ricerca della perfezione. È tutta una mirabile creazione nelle sue diverse fasi: prima espressione del pensiero, correzioni, rifacimenti, completamento dell’idea, aggiunte per bisogno di precisione; nella forma, nei periodi lunghi, complessi, ricchi d’incisi, è riflesso il pensiero poderoso, che nulla ha trascurato di quello che si presentava come materiale sempre piú ricco e piú complesso e necessario; necessario perché rendeva piú intiero il groviglio di cause determinanti gli avvenimenti, piú precisi gli stati d’animo ed i caratteri dei personaggi, gli accidenti che avevano influito sullo svolgimento e sull’esito dei fatti, i risultati e le conseguenze o inaspettate o apparentemente sproporzionate.

Il Rostagno pubblica una pagina del quaderno in cui il Guicciardini poneva a se stesso quesiti d’ortografia (nota a p. xxxiii), e opportunamente osserva: «su coteste pagine, che sono del resto soltanto un frammento acefalo, assistiamo, anzi partecipiamo, alle considerazioni e ai dubbi, agl’impulsi e alle riflessioni, che nel maggior secolo della nostra letteratura, quando la lingua ha conseguita la propria pienezza, muovono e regolano o sospendono e trattengono la penna d’uno scrittore toscano, e quale scrittore!, che sente cosí le influenze umanistiche come le proprietá idiomatiche, e fra queste e quelle interroga se medesimo». Ecco la pagina dei quesiti:

— Se s’ha a scrivere colliso o disteso dove concorrono vocali: o in qual (sic) e molti altri. «Quello che» o «Quel che».

Gli articuli, se per E o per I; cioè II o El, I o E.

Se s’ha a usare la «x» o la «ss» doppia, o semplice, nelle prime e seconde lettere o nel mezo. «Exemplo», «Extravagante», «Expectare», «Explicitamente»: o in tutto secondo e [1] Latino.

Se dove el latino ha el «b» e «s», «observare», e simili, si scriva «osservare»; e cosí dove è el «p» et «s», «Epso» «Epsi». Se el «z» s’ha a raddoppiare, «Polizza», e simili.

«Deliberare», «Delicato», e simili, se per E o per I.

«Deliberato di scrivere» vel «Deliberato scrivere»: e cosí se si exprime in simili modi el segno del caso innanzi a verbi. «Di» «Da», e simili.

«Desiderio» o «Disiderio».

«Prudentia», «Temperanti» «Scientia» «Magnificentia», e simili, se per «z» o per «ti».

«Cominciorono», «Amorono», e simili della prima, se per A o per O nella antepenultima.

Se l’accusativo del plurale s’ha a finire in I sola, o può finire in I e E come usa el latino.

«La potestá» o «la Podestá».

«Denari» o «Danari».

«Incontinente» vel «Incontinenti».

«Autoritá» o «Auctoritá» o «Auttoritá».

«Due» o «Duoi».

Se si scrive molte cose per C e l’o per «tt» doppio, come sempre usa el Bembo.

«Spaventare» o «Ispaventare», e simili, quando hanno innanzi la consonante.

«Io amava», «Faceva», e simili, o «Amavo», «Facevo»; cioè se finiscono in O o in A.

«Dignitá», come el latino, o «Degnitá», come «Degno».

«Laude» o «Loda»: e cosí in tutto el verbo.

«Durabile» o «Durevole»: e cosí in tutte le voci simili.

Non admecte el Bembo tre consonanti insieme: però scrive «Prontezza» non «Promptezza», et simili, «Osceni» non «Obsceni».

«Senza» o «Sanza».

«Potrebbeno» o «Potrebbono», e simili.

«Altramente» vel «Altrimenti».

«Faremo», «Diremo» o «Faremmo», «Diremmo»; come el Bembo per duplex MM.

«Fusse» vel «Fussi» vel «Fosse».

«Infuori», «Infuora».

«Piú tosto» o «Piú presto».

«Sodisfare» o «Satisfare».

«Populare» o «Popolare», perché «Populo» si dice e «Popolo».

«Dubbio» se per duplex B.

«Subditi» o «Sudditi».

«Opinione» o «Openione» o per duplex P.

«Dimostrare» o «Mostrare», et simili.

«Somigliante», «Somiglianza» o «Simile» o «Similitudine».

Usa facilmente questa lingua mutare la I in E, et e converso.

«Apto» e «Inepto» se per P e T, o per due P (sic).

«Almanco» e «Nondimanco», se sono da usare come «Almeno» e «Nondimeno» non usati dal Bembo.

«Diece» o «Dieci».

«Oscuro» vel «Obscuro» vel «Scuro».

«Dispregiare», «Dispregio», «Pregio», et simili; se per G o per Z, doppio o semplice.

«Strumenti» o «Instrumenti».

«Dentro» o «Drento».

Se a doctori e gentili viri s’ha a dare el titolo di M[essere] come fa el Bembo.

«Admirabile», «Admiratione», o «Maraviglioso», «Maraviglia», o «Mirabile».—

A maggiore illustrazione di quanto si è detto, crediamo ancora opportuno riportare dall’ediz. Gherardi (Recens. critica de’ Manoscritti ecc. LXXIII) la lettera con cui Giovanni Corsi, che dall’amico Guicciardini riceveva in esame a quaderni l’opera, dá il proprio giudizio generale sulla Storia: il testo, privo di data, è tolto dalla filza IV delle «Memorie» o «Spogli». — È il primogiudizio; è dato da un amico dell’autore direttamente a lui; è d’un contemporaneo agli avvenimenti e che a questi non è stato estraneo; è, infine, d’un uomo colto del Cinquecento il quale ben sa dirci ciò che al tempo suo si esigesse da chi voleva scrivere di storia.

«Tria in omni dicendi vel scribendi genere consideranda sunt: Persona scilicet, Res, Auditor. Personam scribentis tu quidem supra ceteros omnes cumulatissime imples cum ob egregias animi tui dotes, tum ob res domi et foris abs te praeclarissime gestas. Nani si perditae famae homo orationem habeat aut historiam scribat, id quamquam docte et sapienter, quis ea legat aut audiat sine nausea aut animi perturbatione? Id quod olim in senatu Lacedaemoniorum ferunt contigisse; cum pessimus omnium civis optimam et saluberrimam super ancipiti re sententiam protulisset, sentenza ipsa probata est, turpis vero auctor reprobatus, optimo viro eandem sententiam pronuntiante, ne scilicet tam turpe nomen in comentariis referretur. Et de persona satis. — In eo autem quod dicitur aut scribitur valde laborandum est. Propterea ars adinventa cuius finis est persuadere: id quod omnium difficillimum est: nam cum auditor ipse male natura dispositus sit, vel plerumque depravatus, ut verbo Aristotelis utar, ideo arte et afTectibus utendum est, nec non enthymematibus, exemplis, et aliis artificiosís probationibus. Nam si auditor animum habuisset ab omni perturbatione vacuum, nullis opus esset Aristoteleis pigmentis, ut Cicero ait, sed simplici tantum enarratione. Et haec quidem prooemii loco satis sint. — Ceterum quod ad historiam attinet, non est in animo in praesentia referre quid historia sit: quid Comentaria; quid Annales, et quid inter se differant: nam memini me alias apud te Pontani Aegidio plura loqui, ubi multa de historiae lege enarrantur, praesertimque Livii, Salustii ac Caesaris scripta enucleantur. Nec praeter rem fuerit epistulam Ciceronis perlegere ad Luceium in L. Epist. famil. — Quod vero ad rem tuam attinet explicabo paucis. Nam memini me hac aestate scribere ad te de Neapoletana Pontani historia quid sentirem uno scilicet dumtaxat argumento. Contriaria prope nunc mihi dicenda videntur de tua Historia: quam ego simillimam facio illi mulieri, qua nec pulchriorem ullam nec venustiorem mille fere abhinc annis Italia vidit, sed neque auro neque gemmis neque vestium sumptu pro sua pulchritudine satis ornatam. Et sic nuda tamen pulcherrima omnium est. Nam si Historiae tuae exactissimam rerum omnium quae nostra aetate contigerunt cognitionem spectes, omnes procul dubio quotquot historiam scripserunt longe superas. Si vero stilum inspexeris semper gravem, cultum semper, similem semper, tuum semper, pauca admodum possunt a iusto rerum aestimatore ultra desiderari. Conciones vero ipsae et obliquae orationes elaboratae quidem, cultae et doctae, moventes et afficientes ut prae se ferant Livianam illam ubertatem et eloquentiam. — In delectu tamen verborum atque orationis cultu nimis interdum a senatu recedis et ad forum declinas: adeo ut quandoque nimiam illam nostram (ut ita dicam) florentinitatem sapere videaris. Nam cum omnia fere iisdem verborum figuris eodemque orationis ductu referas, videris magnis maiestatem suam non dedisse, mediocribus elegantiam, minimis lenitatem illam et dulcitudinem. Pigmenta vero figurarum pauca admodum aut metaphoras in Historia tua invenias, quae quidem in oratione sunt tamquam in pictura coloramenta (ut ait Aristoteles). Sed in dicendo semper gravis deprehenderis, semper intentus, nunquam languidus aut ociosus. Cupiebam pluribus ad te scribere. Sed dolore impedior: alias cumulatius. Vale.»

Giovanni Corsi, che era succeduto al Guicciardini quale oratore fiorentino in Ispagna, e che, quindi, dal Guicciardini stesso era stato presentato a Ferdinando il cattolico, presso il quale doveva fermarsi fino al 1525, e che è ricordato nel libro XV cap. XII della «Storia» non fu avaro di osservazioni, anche particolari, all’amico da cui, come s’è detto, riceveva in esame il manoscritto. Suggerisce qualche aggiunta di particolari a lui noti, ma piú spesso suggerisce correzioni di forma, e talvolta, lo dichiara apertamente, vorrebbe che si sostituissero vocaboli ed espressioni che egli trova troppo plebee. È insomma quella fiorentinitas di cui parla nella lettera che non può approvare, perché vuole anche la bella opera d’arte, come si vede, ad esempio, dal suggerimento che dá al punto del libro XVII, cap. XIII ove si parla del pontefice che, addolorato dai buoni successi de’ turchi, chiama in concistorio i cardinali: «Fortasse hoc loco non absurdum inducere pontificem habentem ad cardinales concionem. Sunt enim omnes tuae conciones efficaces et historiam hanc tuam maxime illustrantes». — Le aggiunte principali da lui suggerite sono le seguenti: 1a In una pagina comprendente il passo del 1. XVI c. VII dalle parole «Roses porto della Catalogna...» alle altre «et da confini di Francia», vol. IV p. 304. «Hoc loco non pretermittendum E 1 re di Francia a Barzalona avere auto piú di febre per el disagio del navigare. Considerandum etiam hoc loco che se e’ partí el 7° di da Genova, non poteva lo 8° di condursi a Roses per la distantia grande. Narrandum etiam. Come a Terracona gli Hisp.ni delle galee si amutinorono et scaricorono piú archibusi per ammazare el Vicere et mancò poco non ammazassino el re di Francia. Non pretermittendum etiam che subito che el Vicere arrivò in Hisp.a fece intendere alla sorella di Ces. che non pensassi piú a Borbone perché arebbe in ogni modo per marito el re di Francia».— 2a A proposito de’ dubbi sorti sulla sinceritá della «espedizione» data da Carlo V a Lopes Urtado (1. XVI c. VIII voi IV p. 313) «fortasse non obmittendum hoc loco che in questo tempo apunto partendosi Giovanni Corsi orator fior. di Hisp.a et parlato prima con Sua M.tá quella gli dixe: — Ambasciatore, voi direte da parte nostra a Sua S.tá che per cosa alcuna grande che S. S.tá facci contro di me io sarò sempre obediente figliuolo alla sedia apostolica. Ma quando S. S.tá fará cosa che sia pernitiosa alla Christianitá ditegli che al mondo non hará el maggiore inimico di me. — Di poi tornando l’ultimo dí della partita el predetto G. Corsi a baciare la mano per ultima partenza a Sua M.tá, quella gli replicò le medesime parole apunto aggiugnendo che assai lo pregava facessi questo officio con Sua S.tá. Rispondendo G. Corsi che andrebbe con lungo spatio di tempo per non essere di corpo apto alla fatica, rispose Sua M.tá: — Non importa, io gle le ho facto intendere anche per altri; ma voglio che ancora voi gle le diciate». — 3a A proposito della malattia di Francesco I durante la prigionia nella rocca di Madrid (1. XVI c. IX, vol. IV pp. 314-315): «Madama Dalanson stette 14 nocte continue a dormire nella camera del re, la quale mi disse che el re non voleva piú pigliare nulla et che omnino voleva morire, et se non fussi stato lei che certamente egli moriva. Le parole prime del re a Ces. furono «ecco el vostro servo, ecco el vostro stiavo». El Cardinale Salviati arrivò allo Corte a di 29 di settembre8».

II

Nella presente edizione della Storia d’Italia è stato naturalmente seguito, sebbene non ricalcato, il testo del Gherardi, per le ragioni che abbiamo detto e ripetuto. Se si tien conto di tutto il lavoro dal Gherardi compiuto sui manoscritti fino a lui in parte rimasti al buio ed in parte non studiati compiutamente né con sufficiente senso di devoto rispetto all’espressione dell’Autore, dell’amorosa cura che egli ha posto nella revisione e nel confronto delle lezioni diverse e principalmente della prudenza sua nel rendere la lezione definitiva con la fedeltá piú grande ai manoscritti e col non aggiungere o togliere o mutare se non ciò che per lui era strettamente necessario e che gli sembrava involontaria offesa alla sintassi del periodo per piccole cause (cancellazioni imperfette, scorsi di penna, dimenticanza di congiunzioni o di preposizioni, e cosí via) che l’autore certo avrebbe tolto in una ulteriore revisione, se di tutto ciò, diciamo, si tien conto, possiamo certo considerare l’edizione sua la piú affine nella forma a quella definitiva redazione dell’opera che avremmo avuto se la morte non avesse spento troppo presto la preziosissima attivitá dello storico. In alcuni punti, soltanto, ce ne siamo allontanati, e per diversi di essi abbiamo tenuto conto delle osservazioni che nell’ampia e giá citata recensione dell’edizione del Gherardi fece il Carli sul «Giornale Storico della Letteratura Italiana». In generale, però, ci siamo tenuti anche piú rigorosamente alla genuina lezione dei codici; ciò tanto nella parte che possiamo ritenere piú vicina alla redazione definitiva quanto nell’altra, che piú manifesta una spontanea e naturale imperfezione formale d’una prima e non ancora rielaborata espressione del pensiero. Dice il Rostagno nella sua ripetutamente citata Recensione, a pag. xci: «Questi ultimi quattro libri appaiono assai meno dei precedenti ritoccati dail’A., e anche dal Revisore che li apparecchiò per le stampe». Ed il Carli, richiamato questo stesso punto della Recensione del Rostagno, in una nota all’inizio delle sue osservazioni alle varianti portate dal Gherardi dal 1. XVII, dice: «La filza delle varianti citate dal Gher. va perciò aumentando considerevolmente verso il termine dell’opera, il che dimostra che il lavoro degli editori fu piú intenso, certamente perché nel testo originale appariva sempre piú il carattere di appunti quasi affatto privi di elaborazione. E tuttavia qualche tratto v’è pure a cui il G. sembra aver dedicato una maggior cura: per es. la descrizione dell’assedio di Firenze»9. Certo, la scrupolosa diligenza del Guicciardini ci si rivela nello stesso numero dei rifacimenti che dei primi libri dell’opera particolarmente ci rimangono; poi s’incominciano a trovare, col XV libro, passi che si staccano, per caratteri formali dalle precedenti parti della Storia: sono del Guicciardini, ma rivelano un periodo ancora incompiuto di rielaborazione dell’opera che ci è rimasta non quale, certo, l’Autore avrebbe voluto presentarla: l’abbiamo giá notato altrove a proposito della descrizione della battaglia di Pavia. Qui la mano di chi la rivedeva per la stampa è stata decisa e franca: ha cassato, ha aggiunto ed ha rifatto, per cui nelle edizioni precedenti quella del Gherardi ne è uscita una del tutto arbitraria lezione riassuntiva, con la quale il revisore ha cercato di mantenere il carattere precedente della Storia, sopprimendo citazioni di fonti, confronto di esse, particolari che ha ritenuto meno importanti. Tutto ciò non cancella la colpa dell’arbitraria modificazione portata dal revisore ad una pagina di tanta opera: ci dice solo che anche il revisore ha notato il brusco passaggio da una forma di narrazione ad un’altra fino allora dall’Autore non seguita. E tanto meglio ha fatto il Gherardi dandoci il passo guicciardiniano genuino, anche se evidentemente destinato ad una ulteriore rielaborazione. Triste fatalitá quella d’una incompiuta revisione di tutta l’opera, dovuta all’immatura morte del Guicciardini, che ci ha lasciato anche tre punti vuoti, rispettivamente nel libro XVIII dove doveva essere l’orazione di Niccolò Capponi, alla fine del XVIII dove egli avrebbe voluto descrivere il sito della cittá di Napoli e del paese circostante, e nel XIX dove si proponeva l’autore di spiegare ampiamente gli avvenimenti di Firenze e la resistenza eroica dei suoi concittadini al pontefice e all’imperatore, e di parlar del sito della cittá.

Diamo i passi in cui ci siamo allontanati dall’edizione Gherardi, indicando la pagina di questa edizione e quelle della nostra, coll’intento precipuo che il lettore possa aver presenti le lezioni diverse e scegliere quella che crede la migliore.

Gher., I, 4, 8—9. Nota il Carli che l’‘allora’ dal Gherardi lasciato fra «erano» e «piú» fu aggiunto dall’autore nel cod. VI e che si doveva, quindi, mantenere.

Presente ed. I, 2. Viene da noi mantenuto ’allora’ appunto perché nella Rec. crit. (XCII) il Rostagno afferma: — P. II del cod. (VI) «erano piú liete»; l’A. interlineamente fra «erano» e «piú» inserí «allora».—

Gher., I, 4, 36. Nota il Carli che per la medesima ragione, di cui all’osservazione precedente, si sarebbe dovuto leggere qui ‘avendosi egli nuovamente congiunto con parentado...’ e non come dice il Gher. «E avendosi egli congiunto con parentado nuovo».

Pres. ed. I, 2. È giusta l’osservazione del Carli; infatti il Rostagno (Rec. crit. XCII, P. VI del cod. VI) dice: «havendosegli congiunto con parentado nuovo»; l’A., cassato ‘havendos’, dove con una sbarretta aveva giá staccata questa parte dall’‘egli’ inseritovi anche un giorno nel margine sostituí ‘havendosi’, e cassato pure ‘nuovo’, vi sostituí interlinearmente ‘nuovamente’ da inserire fra ‘egli’ e ‘congiunto’.

Gher., I, 55, 35—36 e n.: «Che dunque dovere fare [se non correre] a una vittoria, a uno trionfo giá preparato e manifesto?». Il Gh., riportando in nota la lezione del revisore del cod. VI quale appare nelle precedenti edizioni ‘Che dunque tardare’, scrive: «Cosí fu da altra mano emendato in VI, 1, iii, dove proprio diceva: ‘Che dunque dovere fare a una vittoria’ ecc. Anche V App. 88 ha questa lezione, certo manchevole, né i codici precedenti danno il modo di compierla. Meglio tuttavia mi penso aver fatto io ad aggiungere quelle parole che il revisore del cod. VI a cassare e sostituire».

Pres. ed. I, 2. Lasciamo immutata la lezione dei codici, per le stesse ragioni che dice il Carli nella sua recensione, e cioè ché la stessa lezione ricorre tanto in VI quanto in V App. e perché non ci sembra manchevole, ma, anzi, nella sua concisione, piú efficace.

Gher., I, 160, 17 e n.: «... premii tanto grandi e tanto degni che né piú grandi né piú degni n’aremmo saputo noi medesimi desiderare». In nota il Gh., riportata la lezione ‘saputo’ delle precedenti edizioni e ad essa riferendosi, dice: «Cosí veramente anche i codici eccetto III (116), la cui lezione m’è parso dover preferire».

Pres. ed. I, 199. Preferiamo la lezione ‘saputo’ dei codici successivi al III, e che hanno di esso maggiore autoritá. Anche il Carli nota «... si poteva e forse si doveva mantenere la lezione ‘saputo’ che ci offre un costrutto non alieno dall’uso cinquecentesco...».

Gher., I, 192, 30—31 e n. 1: «e essendo uscito fuora della [terra di] Porcina Mariano Savello...». Il Gh., riportata la lezione delle precedenti edizioni ‘fuori di Porcina’ e riferendosi ad essa, dice in nota: «Cosí corretto, non di mano dell’autore in VI, 1, 4.01». A me è parso meglio supporre esser rimasto nella penna all’autore (V App. 156) quel ‘terra di’ e l’ho aggiunto.

Pres. ed., I, 237. A noi pare che la lezione di V App. ‘e essendo uscito fuora della Porcina Mariano Savello...’ possa stare, e perché dell’A. crediamo di doverla mantenere.

Gher., I, 272, 9—10 e n. 2: ‘per la diversitá del sangue e de’ costumi Franzesi da quegli degli Italiani’. Annota il Gher., riportando l’altra lezione ‘Franzesi con gl’italiani’: «Lezione dei Codd. IV—VI». Io ho adottato quella di III (197), autografa. Il Carli si domanda: «Ma non potrebbe l’A. stesso aver voluto correggere la lezione di III per toglier di mezzo i troppi genitivi e per evitare lo spiacevole omeotileuton, ‘quegli degli’ sostituendo uno scorcio piú libero e non disforme dall’uso comune?».

Pres. ed., I, 334. Da noi è preferita la lezione di IV—VI, perché ci sembra quasi spontanea la modificazione della lezione precedente (di III), e quindi riferibile all’A. stesso.

Gher., I, 276, 32 e n. 2: ‘e se bene gli fussino proposti disegni di qualche diversione, e giá in Valdibagno fusse data qualche molestia alle terre de’ Fiorentini, non fece, per questo, movimento alcuno’. E, riferendosi alla lezione ‘momento’, dice il Gher: «Cosi il Cod. IV e i successivi». Io ho corretto in ‘movimento’ supponendo che male intendesse lo scrittore di esso Cod. IV che stava a dettatura; tanto piú che in III (200), nel passo corrispondente a questo, si legge ‘non fece effetto alcuno’. Anche D10 annotò: ‘forse deve leggersi movimento’. — Il Carli si domanda: «Ma non pensa che l’errore di IV, se errore fosse stato, diffícilmente sarebbe sfuggito all’A. nella revisione e che, in ogni modo, dalla lezione di III viene, se mai, chiarita e avvalorata proprio la forma ‘momento’ per il significato della quale si può veder l’uso che altrove ne fa il Guicc. stesso?».

Pres. ed., I, 339. E proprio per quest’ultima ragione detta dal Carli, vale a dire, perché il Guicciardini in diversi altri punti l’adopera nel significato con cui l’usa qui, noi preferiamo la lezione ‘momento’ all’altra ‘movimento’.

Gher., II, 26, 30 e segg. e n. 4: «ritornò il cardinale in Francia, con speranza quasi certa che le cose trattate avessino ad avere presto perfezione: la quale si augumentò...». Il Gher., richiamata la lezione delle edizioni precedenti ‘in Francia, presupponendosi quasi per certo’, nota: «Cosí veramente mutò l’autore in V, 534. Ma per il relativo ‘la quale’ ecc. che viene appresso (cui egli certo non badò) è forza attenersi alla prima lezione». Il Carli osserva: «Forse sarebbe stato meglio accogliere l’ultima lezione dell’A., in cui non era la ripetizione della parola ‘speranza’ (e non senza ragione ché speranza d’introdurre forma ecc. aveva il cardinale, ma il giudizio sulla probabilitá della riuscita piú o meno sollecita non poteva né doveva esser solamente sua) e aggiungere congetturalmente quella stessa parola fra ‘la quale’ e ‘si augumentò’».

Pres. ed., II, 30. Noi, per la stessa ragione detta dal Carli e perché è correzione fatta dall’autore stesso, seguiamo l’ultima lezione di V, aggiungendo «speranza» fra «la quale» e «si augumentò».

Gher., II, 41, 30 e segg. e n. ‘... e si aggiugneva che contro a Giampaolo Vitellozzo e gli Orsini aveva sdegno particolare perché tutti aveano disprezzato i comandamenti suoi di levarsi dalle offese de’ fiorentini; e Vitellozzo specialmente avea recusato restituire l’artiglierie occupate in Arezzo...’ In nota il Gher. dice: «In VI, il, 759 ‘restituire’ è aggiunto d’altra mano; e io l’ho conservato, non tanto per il senso quanto perché in V, 557, diceva originariamente ‘tutti aveano ecc. né restituito Vitellozzo le artiglierie’. Si vede bene che all’Autore, cassando e riscrivendo, restò, come suol dirsi, nella penna». Il Carli osserva: «Poiché il senso corre ugualmente, sarebbe stato più prudente attenersi all’ultima redazione autografa. L’aggiunta del revisore appare una chiosa forse non del tutto inutile, ma non certo strettamente necessaria».

Pres. ed. II, 48. Noi omettiamo ‘restituire’ appunto perché nell’ultima redazione autografa non c’è, e non è indispensabile.

Gher., II, 100, 17 e sgg. e n.: «perché Consalvo, intento a impedirgli piú con l’occasione della vernata che con le forze, si era fermato a Cintura, casale posto in luogo alquanto eminente lontano dal fiume poco piú di un miglio». Il Gher. in una nota al «di» scrive: — Aggiunto d’altra mano questo «di» in VI, II, 872, manca (credo per iscorso di penna) anche in V (644) dove prima diceva «un milio e mezo», e l’A. cassò «e mezo» e sostituí «poco piú». Il Carli ritiene debba leggersi «un milio, poco piú».

Pres. ed. II, 119. Ed infatti, se le due parole aggiunte dall’A. «poco piú» devono sostituire le altre due da lui stesso cassate «e mezo», non rimane che attenerci alla lezione suggerita dal Carli.

Gher., II, 175, 24 e n.: «chi la diligenza e l’efficacia di legare gli animi degli uomini». Il Gher., in nota, dice, richiamando «degli»: «Cosi fu corretto d’altra mano in VI (II, 1015) invece di «gli», come hanno pure i codici precedenti. Ma potrebbe anch’essere che o «gli animi» o «gli uomini» fosse dimenticato di cassare nel primo codice (iii, 320) che in questo luogo è di mano dell’autore». Ed il Carli nota: «Ma poiché il Gher. stesso ammette che il G. possa aver dimenticato nel cod. III, dove il passo citato è autografo, di cancellare gli animi o gli uomini, non sarebbe stato piú giusto sopprimere l’una o l’altra di queste forme? E forse si sarebbe andati men lontani dal vero sopprimendo la prima, se dimenticanza veramente ci fu».

Pres. ed. 210. La lezione dei codici è «chi la diligenza e l’efficacia di legare gli animi gli uomini, con la quale». Anche se si vuol vedere in essa una pura ripetizione, noi non crediamo che sia necessario allontanarcene.

Gher., II, 291, 30 e segg. e n. 3: «... ma trovato che le barche condotte da lui non erano pari alla larghezza del fiume, fermò l’esercito appresso al fiume, all’opposito di Lignago, e di lá dall’Adice, fece passare in sulle barche il capitano Molardo». Il Gher., riferendosi alla lezione ‘fermato’, nota: «L’autore corresse ‘fermato l’esercito’ (V, 957) da ‘alloggiò con tutto l’esercito’. IO stampo ‘fermò’ per sanare la sintassi, e perché credo che l’autore o avrebbe dovuto scriver cosí, o seguitare a correggere in conformitá». Ed il Carli osserva: «Se il Guicciardini corresse di sua mano in V come rileva il Gher., la frase ‘alloggiò con tutto l’esercito’ in ‘fermato l’esercito appresso al fiume all’opposito di Lignago e di lá dall’Adice’ sarebbe stato piú prudente sopprimere la ‘e’ dinanzi a ‘di lá’ argomentando che l’A. non avesse, per dimenticanza, completato la correzione, che trasformare il ‘fermato’ in ‘fermò,’ come fece il nuovo editore».

Pres. ed., III, 16. Noi sopprimiamo appunto la ‘e’, perché in tal modo non veniamo a modificare una correzione fatta dall’autore stesso né ci sembra troppo ardita la supposizione che, fatta la correzione, l’autore abbia dimenticato di cancellare la ‘e’.

Gher., II, 367, 19 e n.: «perché (come spesso le cose piccole non hanno minori difficoltá né ’ sono ’ meno difficili a esplicarsi che le grandissime». Il Gher. nota: «Manca veramente il verbo in VI e nel suo originale, in questo luogo autografo (V, 1082), ma certo per error di penna, e si aggiunge per il senso». Ed il Carli si domanda: «Ma se il Guicc. avesse voluto dir proprio ’difficoltá non meno difficili?».

Pres. ed., Ili, in. Noi non aggiungiamo «sono» perché ci sembra che anche senza di esso il senso ci sia, e per rispettare la lezione dei codici.

Gher., II, 414, 18 e n.: «Dette [queste] parole, cominciò, pre cedendo i fanti agli uomini d’arme, a uscire del castello; all’uscita del quale avendo trovati alcuni fanti che con artiglierie tentorno di impedirgli l’andare innanzi, avendo fatti facilmente ritirare scese ferocemente». Il Gher., richiamandosi alla lezione «ma avendogli», nota: — Si omette il ’ ma * per amor della sintassi. La lezione precedente (V, 1151) era: «Havevano nello uscire dalla fortezza trovata qualche opposizione di fanti con alcuni pezi di artiglieria, ma hauendo facto piegare i primi si spinsero a basso in su la piaza». Ed il Carli si domanda: «Era proprio necessario sopprimere come il Gher. ha fatto, contro l’autoritá dei codici e ‘per amor della sintassi’ il ‘ma’ dinanzi ad ‘avendogli’ nella frase ecc.?».

Pres. ed., III, 169. Noi non leviamo il ‘ma’ dato dai codici, anche perché la lezione precedente riportata in nota dal Gher. conferma, ci sembra, che l’A. voleva dare proprio un senso avversativo alla frase, e perché altri costrutti come questo si trovano nella Storia.

Gher., II, 416, 16 e n.: «Perché da Roma si intendeva essere finalmente arrivato, con lungo circuito marittimo, lo instrumento della ratificazione alla lega fatta». Il Gher., riferendosi alla lezione «arrivato l’instrumento» dice in nota: «L’ultima redazione autografa (V, 1154 in margine) ha qui veramente ‘...si intendeva essere venuto, con lungo circuito marittimo, essere finalmente arrivato lo instrumento ecc. E cosí ha anche il codice VI (iii, 396), e il revisore cercò di racconciare, sopprimendo da ‘essere’ a ‘marittimo’ inclusive. Ma io penso aver trovato la vera lezione (proprio quella che avrebbe voluto l’autore, se la penna o l’attenzione non gli falliva), aiutandomi con la redazione precedente (V, loc. cit.), che è questa: «perché si intendeva a Roma essere arrivata la sua ratificazione alla lega facta, essendo con lungo circuito andata per mare in Spagna, e poi di Spagna in Italia». — Il Carli osserva: «Tenendo conto dell’ultima redazione autografa di V, riferita nella nota si poteva leggere ‘si intendeva con lungo circuito marittimo essere finalmente arrivato lo instrumento’ ecc. La trasposizione dell’inciso ‘con lungo circuito marittimo’ eseguita dal Gher. non mi pare giustificata neppure dal confronto con la lezione anteriore».

Pres. ed. III, 171. Nella lezione di V. le parole ‘essere venuto’ o le altre ‘essere... arrivato’ saranno magari superflue, per quanto l’inciso ‘con lungo circuito marittimo’ dopo le prime, e l’avverbio ‘finalmente’ fra le seconde, facciano sí che non ci sia una pura e semplice ripetizione; ad ogni modo sono l’ultima redazione autografa dell’autore ed a noi non sembra indispensabile mutarla. Diremo di più: la redazione autografa ci soddisfa maggiormente anche perché ci sembra che rappresenti quasi il sospiro d’una lunga attesa, mentre piú fredde ci sembrano l’espressione del Gher. e quella del Carli.

Gher., II, 429, 6 e n: 1: «Da queste parole [inanimiti], risonando l’aria di suoni di trombe e di tamburi e di allegrissimi gridi di tutto l’esercito cominciarono» ecc. Il Gher nota: «Manca ne’ codici ‘inanimiti’ o altro simile participio, che mi par necessario alla sintassi». — Il Carli osserva: «io non m’arrischierei d’allontanarmi dall’unanime lezione dei codici, potendosi benissimo ricavare da essa un senso, quando al’ da’ si desse, in modo non disforme dall’uso del tempo il valore di ‘dopo’ (quasi «da» queste parole «in poi») ecc.».

Pres. ed. III, 186. Anche noi preferiamo non allontanarci dai codici perché la frase ha lo stesso un senso compiuto.

Gher., II, 429, 15 e n. 2: «i quali alloggiati distesi in su la riva del fiume che era loro da mano sinistra, e fatto innanzi a sé uno fosso tanto profondo quanto la brevitá del tempo aveva permesso (che girando da mano destra cigneva tutto lo alloggiamento), lasciato aperto per potere uscire co’ cavalli a scaramucciare in su la fronte del fosso uno spazio di venti braccia, come sentirno i franzesi cominciare a passare il fiume» ecc. Il Gher., riportando la lezione ‘braccia, dentro al quale alloggiamento’, nota: «è evidente che le parole ‘dentro’ ecc. guastano la sintassi, e doverono essere dimenticate di cassare dall’autore». Il Carli crede che: «siccome l’anacoluto che ne risulta non è poi tanto strano né inconsueto sarebbe forse stato meglio rispettar la lezione dei manoscritti, pur esprimendo nella nota il dubbio circa la dimenticanza del G.».

Pres. ed. III, 186187. A noi sembra che sia bene mantenere la lezione dei codici anche perché essa difatto chiarisce meglio il senso della espressione, per non dire, senz’altro, che le parole dal Gher. omesse, per il senso sono necessarie. E forse per questo il Guicciardini non poteva pensare a cassarle.

Gher., II, 446, 34 e n. 2: «Erasi ne’ dí medesimi alienata da’ Franzesi la cittá di Bergamo, perché avendo La Palissa richiamate le genti che vi erano per unirle all’esercito, entrativi, subito che quelle furno partite, alcuni fuorusciti, furno causa si ribellasse». Il Gher., riportata la lezione delle precedenti edizioni: «era venuta, ne’ dí medesimi alienata da’ Franzesi, in potere de’ Collegati», dice in nota: «il cod. VI (in, 450) ha originariamente ‘era venuta ne’ di medesimi alienata da’ Franzesi’ e le parole ‘in potestá de’ collegati’ furono aggiunte in margine d’altra mano. Anche il cod. precedente (V, 1208) ha la medesima lezione e, per di più, di mano dell’autore. Senonché in esso tra ‘di medesimi’ e ‘alienata’ vi sono le parole «in potestá de’» cancellate; segno che l’A. stesso volle esprimersi in altro modo, e dimenticò di correggere addietro in conformitá: verosimilmente come ho corretto io.

Pres. ed. 207. Il fatto che la lezione di VI sia anche quella del codice precedente (V) ci consiglia a non modificarla, e solo trascuriamo le parole che furono aggiunte da altra mano, delle quali però, non è forse inutile notarlo, le prime ‘in potestá de’, come dice il Gher., erano state prima scritte dal Guicciardini stesso.

Gher., III, 13, 26 e n.: «...rispondeva (ma co’ fatti contrari alle parole)». Il Gher. nota: «L’inciso ‘ma coi fatti ecc.’ è una aggiunta marginale dell’autore in V, 1230, e sebbene il richiamo porterebbe ad anteporlo a ‘rispondeva’ (come fece l’amanuense di VI) m’è parso piú conveniente collocarlo dopo». Il Carli trova che la ragione addotta dal Gher. «è troppo debole per andar contro l’espressa volontá dell’A.».

Pres. ed. 224. Noi collochiamo l’aggiunta prima di ‘rispondeva’, perché sembra che il Guicciardini abbia voluto che cosí fosse; noteremo anche che, a giudizio nostro, l’espressione, in tal caso, non perde certo di efficacia.

Gher.. III, 31, 32 e n.: «avendovi il re d’Aragona... voltate le genti». Il Gher., richiamando la lezione ‘voltatevi’ nota: «Cosí proprio, e di mano dell’autore, in V, 1256, in margine. Ma nella redazione precedente (ivi) si legge ‘havendovi il re catholico voltato le genti sue’. Il Carli osserva che «un pleonasmo come ‘avendovi il re d’Aragona... voltatevi le genti’ non è cosí inconsueto da non doversi rispettare, specialmente quando abbia per sé, come in questo caso, l’autoritá di un autografo».

Pres. ed. 245. Noi manteniamo la lezione che è di mano dell’autore.

Gher., III, 48, 16 e n.: «Ma piú che alcuna di queste cose rendeva sospetto il pontefice». Nota il Gher.: «Il cod. VI (111, 544) ha ‘di alcuna’ perché cosí, e di mano dell’autore, ha anche il cod. V (1288); ma certo per error di penna». Il Carli si domanda: «Chi sa? All’uso popolare de’ toscani moderni non repugnerebbe».

Pres. ed. III, 266. Noi manteniamo ‘di alcuna’ perché è lezione di mano dell’autore e non ci sembra indispensabile correggerla.

Gher., III, 242, 31 e n.: «fussino preparate farine». In nota, riferendosi alla lezione delle precedenti edizioni ‘fussino preparate pane e farine’, il Gher. dice: «Cosí veramente e di mano dell’autore, in V, 1631; ma sembra che o erroneamente scrivesse, o dimenticasse di cancellare ‘pane’. Oltreché è a notarsi che questa è una correzione, e innanzi avea scritto ‘preparate le vettovaglie’.

Pres. ed. IV, 98. Non crediamo indispensabile mutare la lezione che ha per sé l’autoritá dei codici, e che è, per di piú, di mano dell’autore, il quale, anche correggendo, può darsi abbia pensato al termine piú generico ed ultimo ‘farine’ con cui concorda il participio.

Gher., III, 268, 31 e seg. e n. 2: «con la quale erano stati conceduti». In nota il Gher. dice: «Tutti i codici, nel primo de’ quali (III, 744) è pur di mano dell’autore, invece di ‘con’ leggono ‘contro’, che pare un controsenso». Ed il Carli osserva: «Può parere, ma forse non è! perché il Guicc. potrebbe aver voluto dire che i fanti erano stati concessi dagli svizzeri ‘contro la convenzione’ (‘contro la promessa’, ‘a patto’ insomma) che non ‘fussino proceduti contro al re di Francia’ come è detto di sopra».

Pres. ed. IV, 130. Ed anche noi crediamo, col Carli e per la ragione da lui detta, che si debba rispettare la lezione dei codici, non sostituendo ‘contro’.

Gher., III, 316, 9 e n: «... pagassino all’arciduca in otto anni per conto di antiche differenze e [della] concordia fatta a Vuormazia, dugentomila ducati». — Il Gher., richiamata la lezione delle altre edizioni ‘e per la concordia’ nota: «I codici hanno ‘e concordia’ invece che ‘per la’ mi è parso meglio supplire ‘della’». La lezione anteriore (III, 781) era ‘per conto di antiche controversie et accordi fatti’. Il Carli dice che non v’è bisogno di mettere innanzi a ‘concordia’ né un ‘della’ né un ‘per la’ e aggiunge: «par qui riprodotta la forma notarile di un trattato». Ad ogni modo, delle due preposizioni preferirebbe «se l’una o l’altra si dovesse proprio aggiungere... ‘per la’ dovendo ‘concordia’ coordinarsi con ‘per conto’ e non con ‘antiche differenze’».

Pres. ed. IV, 186. Anche qui seguiamo senza mutarla, poiché non v’è bisogno, la lezione dei codici.

Gher., III, 325, 39-40: «l’aveva insegnato la memoria». Il Gher. in nota dice: «In V, 1780 (e di mano dell’autore) ‘in memoria’, pare error di penna».

Pres. ed. IV, 199. Noi ci atteniamo alla lezione del cod. V tanto piú che è di mano dell’autore: ed il soggetto di ‘l’aveva insegnato’ crediamo si possa ricavare da ciò che precede, e sia ‘l’uno e l’altro dominio’ o meglio ‘l’aver provato l’uno e l’altro dominio’ o ‘la prova dell’uno e dell’altro dominio’. E crediamo possa intendersi ‘in memoria’ nel senso di ‘in modo che ne rimanesse la memoria’, cosí, cioè, che non potevano essersene dimenticati.

Gher., III, 330, 22 e n.: «Alla quale difficoltá cercando di provedere per molte vie, trall’altre Prospero... avea... cominciato a trattare». Il Gher. riportando la lezione delle precedenti edizioni ‘ma tra l’altre’, nota: «Si omette il ‘ma’ che è pure nei codici, per sanare la sintassi. Altro modo di sanarla sarebbe mutare sopra ‘cercando’ in ‘cercavano’. Il Carli si domanda se è proprio necessario sempre sanare la sintassi o se non è anche questo un modo di «sguicciardinare il Guicciardini».

Pres. ed. IV, 204. Anche qui noi manteniamo la lezione dei codici per le ragioni dette alla nota, III, 169.

Gher., III, 353, 30 e n.: «... de’ ripari, non avendo alcuno atteso a conservargli». Il Gher., riferendosi in nota alla lezione ‘alcuni’ delle precedenti edizioni dice: «Cosí veramente l’amanuense di VI (iv, 319), che esattamente trascrisse da V App., 334. Ma sembra error di penna». Ed il Carli osserva: «Io sospetto che possa essere una forma di singolare, analoga al popolaresco ‘nissuni’ tuttora vivo, come singolare, in qualche parlata di Toscana, e in questo sospetto mi conferma il fatto che l’identica forma si trova anche piú oltre (Gher., 433, 39) ‘a fare cose maggiori che mai avesse fatte alcuni di coloro’, dove il Gher. corresse al modo medesimo in ‘alcuno’, mentre gli altri editori misero ‘avessino’ o ‘avessero’ in luogo di ‘avesse’».

Pres. ed., IV, 232. Il sospetto del Carli è indubbiamente ben fondato, ed anche a noi sembra che non sia necessario mutare la lezione dei codici, che ricorre uguale in due punti.

Gher., III, 423, 8 e segg. e n. 1: «Era intratanto il Cardinal Salviati, legato apostolico, arrivato alla corte». Il Gher., riportando la lezione delle precedenti edizioni: «Arrivò in questo tempo il cardinale de’ Salviati legato del pontefice» nota: «Cosí fu corretto d’altra mano in VI, iv, 444, che aveva (come i precedenti) «Arrivò adunque il Cardinale alla corte» ecc., lezione certo inamissibile perché non consequenziale (come vorrebb’essere) a quel che precede: il che dipende dall’aver l’autore cancellato e riscritto tutto questo brano (III, 857-858) fino al seguente capoverso. Noi, valendoci della prima redazione, abbiamo corretto altrimenti dal revisore del cod. VI».

Pres. ed., IV, 316. È certo che la lezione dei codici non è consequenziale a ciò che precede immediatamente, e la ragione sará certo quella che indica il Gher. Ma non ci pare che sia opportuna qui una correzione; ci atteniamo ai codici, ritenendo solo doveroso ricordare che della missione del Cardinal Salviati si parla alcune pagine prima.

Gher., III, 426, 2 e n. 1: «Nel qual luogo, andato il Marchese proprio a esaminarlo... messe in processo» ecc. Il Gher., riferendosi alla lezione delle edizioni precedenti ‘andò’ dice in nota: «Cosí veramente i codici, e noi abbiamo corretto valendoci della lezione originaria, poi cancellata (III, 858), che era ‘nel castello di Pavia’; e quivi, esaminato dal Marchese proprio ecc. messe ecc.». Il Carli si domanda se non sarebbe bastato «se mai, mettere due punti invece che virgola» prima di ‘messe’.

Pres. ed., IV, 319. Anche qui noi rispettiamo la lezione dei codici.

Gher., III, 433, 39 e n.: «...avesse fatte alcuno». In nota, richiamata la lezione delle precedenti edizioni «avessero fatte alcuni» dice il Gher.: «Scrisse veramente ‘alcuni’ l’amanuense del cod. III (864); e cosí hanno anche gli altri. Ma ci è sembrato meglio correggere ‘alcuno’ che mutare ‘avesse’ (chiaro in tutti i codici) in ‘avessino’.

Pres. ed., IV, 329. Vedi la nota IV, 232.

Gher., IV, 42, 2 e n. 1 e 2: «avessino anche in parte a mitigarsi tante gravezze e acerbitá». Il Gher., riferendosi alla lezione delle precedenti edizioni ‘avessi’, nota: «Cosi anche i codici, per error di scrittura nel primo (III, 908)». E ancora: «Nel primo codice (III, 908) si legge ‘havessi anche in parte a mitigarsi’ e il suo copiatore (V, 2098) corresse ‘mitigare’, evidentemente per accordarlo con ‘avessi’ riferito al duca. A me invece, anche per il contesto, è parsa piú ovvia e migliore la correzione di ‘avessi’ in ‘avessino’». Il Carli pensa che la lezione dei codici «potrebbe spiegarsi come una costruzione libera dell’uso, potendo benissimo aversi un predicato singolare, quando il soggetto composto lo segna».

Pres. ed. V, 46. Ci atteniamo alla lezione dei codici, anche per la ragione esposta dal Carli.

Gher., IV, 50, 27 e n.: «dessingli salvacondotto per potere personalmente andare a Cesare». Nota il Gher.: «Cosí (e pare ragionevolmente) fu corretto in VI, v, 589; dove diceva ‘dessigli’, come ne’ due codici precedenti». Il Carli dice che il Gher. «non pensò forse che chi doveva dare il salvacondotto al duca di Milano era il duca di Borbone», ed aggiunge altre osservazioni a favore della lezione dei codici.

Pres. ed. V, 55. Noi manteniamo la lezione dei codici perché può intendersi soggetto, qui non espresso, di ‘dessigli’ il duca di Borbone.

Gher., IV, 81, 9 e seg.: «... se aveva a passare Po o no, passato il fiume della Secchia, si volseno». Il Gher. riferendosi alla lezione ‘Po o no. Ma i tedeschi passato’, nota: «Cosí tutti i codici, non badando l’autore che al ‘no’ il periodo restava sospeso, e che o non bisognava scrivere ‘Ma i tedeschi’, o dopo scritto bisognava cassarlo».

Pres. ed. V, 93. Il periodo resta si sospeso, ma anche in questo luogo come in altri simili non crediamo di allontanarci, per ciò solo, dalla lezione dei codici.

Gher., IV, 91, 15 e n. 2: «con qualche numero di fanti italiani sotto Lodovico da Belgioioso e altri capi, restavano i fanti spagliuoli, i quali...». Il Gher., riferendosi alla lezione di precedenti edizioni ‘e altri capi, e forse con qualche parte di fanti tedeschi, restavano i fanti spagnuoli; i quali...’ nota: «Anche i codici hanno il membretto ‘e forse con qualche parte dei fanti tedeschi’, ma l’omettiamo perché oltre a implicare contradizione con quello ch’è detto sopra, che tutti i fanti tedeschi, non una parte sola, dovean rimanere, crediamo che l’autore, intendendo sostituirvi l’altro ‘e con qualche numero di fanti italiani sotto Lodovico di Beigioioso e altri capi’ da lui medesimo aggiunto sopra, dopo ‘spagnuoli’ (III, 938), dimenticasse di cassarlo».

Pres. ed. V, 101. Noi non osiamo omettere senz’altro il menibretto che nei codici non è cassato, perché potrebbe darsi che la contraddizione rilevata dal Gher. non ci fosse: il Guicciardini non dice sopra semplicemente ‘con tutti i fanti tedeschi’, ma li indica aggiungendo ‘che prima vi erano (nella sostentazione de’ quali si erano consumati tutti i danari raccolti da’ milanesi, e quegli riscossi per virtú delle lettere che aveva portato di Spagna)’, e può pensarsi che con l’espressione che vien dopo ‘e forse con qualche parte de’ fanti tedeschi’ egli si riferisca non piú ai primi ma ad altri ‘fanti tedeschi’ a quelli, cioè, venuti dopo; ci pare che questo dubbio sia confermato dalla stessa incertezza espressa dal ‘forse’ in contrasto con la sicurezza con cui si afferma prima che quei tali ‘fanti tedeschi’ si fermassero tutti a Milano.

Gher., IV, 135, 13 e n. 1: «dove avendo di poi inteso una parte dell’esercito imperiale essere uscita di Roma». Nota il Gher.: «Nei codici si legge ‘uscito’, per error di penna dell’autore nel primo di essi (III, 967)». Ed il Carli osserva: «Non era forse il caso di correggere ‘uscito’ in ‘uscita’... perché potrebbe darsi che l’A. avesse voluto fare una concordanza un po’ libera di quel participio con ‘esercito imperiale’.

Pres. ed. V, 153. Forse la concordanza del participio con ‘esercito imperiale’ che appena lo precede cadde quasi spontanea dalla penna dell’autore, e noi, attenendoci alla lezione dei codici, non cambiamo ‘uscito’ in ‘uscita’.

Gher., IV, 154, 26 e n. 3: «Al quale, ne’ primi che arrivò a Orvieto, essendo andati a congratularsi...». Il Gher., richiamata la lezione delle precedenti edizioni ‘andati a lui’, nota: «Si omette ‘a lui’ sfuggito, come sembra, dalla penna dell’autore (III, 980), che non si ricordò di aver sopra scritto ‘Al quale’. Il Carli osserva: «Dato che pur si volesse racconciare la sintassi, era forse piú naturale pensare che il relativo fosse stato attratto al dativo dal dimostrativo seguente, che non supporre, come fa il Gher., che ‘a lui’ fosse sfuggito all’A. dimentico d’aver scritto sopra (molto vicino!) ‘al quale’. Non espungerei pertanto ‘a lui’... ma, tutt’al piú, correggerei ‘Al quale’ in ‘Il quale’.

Pres. ed. V, 176. Anche qui noi preferiamo mantenere la lezione dei codici.

Gher., IV, 188, 7 e n. 1: «Brunsvich... aveva, il decimo dí di maggio, passato l’Adice con l’esercito, nel quale erano... e quattrocento moschetti; e ributtato». Il Gher., riportata la lezione di edizioni precedenti ‘... e quattrocento moschetti con le zatte, e ributtato...’, dice: «I codici V e VI, v, 833 hanno veramente ‘moschetti con le zatte’ perché il cod. III (1000) leggeva originariamente ‘haveva a’ dieci di passato l’Adice con le zatte, et ributtato’. Ma avendo poi l’autore cassato ‘a’ dieci passato l’Adice’, e sostituito e aggiunto ‘il decimo di di maggio’ ecc., doveva anche (mi sembra) cassare ‘con le zatte’». Il Carli osserva: «A me pare che basti mettere una virgola dopo ‘moschetti’, e che tutto torni bene».

Pres. ed. V, 211. Noi manteniamo intiera la lezione dei codici, compreso ‘con le zatte’, che il Guicciardini non ha cassato.

Gher., IV, 216, 1 e n. 1: «rotto». Il Carli giustamente osserva che ‘roppe’ qui significa ‘naufragò’.

Pres. ed. V, 243. Manteniamo la lezione dei codici ‘che roppe’.

Gher., IV, 266, 19 e n. 2: «il contrario, che se bene». In nota il Gherardi riporta la lezione dei codici ‘il che se bene’ e ritiene che ‘il’ si debba ad error di penna. Il Carli non è di tale parere.

Pres. ed. V, 301. Manteniamo immutata la lezione dei codici.

C. P.


L’editore, il curatore dell’edizione e la direzione degli «Scrittori d’Italia», giungendo al termine di questa lunga fatica, ringraziano l’illustrissimo sig. conte Paolo Guicciardini per la liberale concessione a loro fatta di valersi, secondo i peculiari criteri di questa collezione, del testo originale della Storia d’Italia pubblicato da Alessandro Gherardi sotto il patrocinio e la proprietá letteraria di casa Guicciardini.



  1. Occorre però notare che questi stessi due luoghi erano giá stati stampati dapprima a sé nel 1569, sotto il titolo: «Francisci Guicciardini: Loci duo, ob rerum quas continent gravitatem cognitione dignissimi, qui ex ipsius Historiarum libris tcrtio et quarto, dolo maio detracti, in exemplaribus hactenus impressis non leguntur. — Basileae» [s. a. et s. n. t.]; e poi ancora nel 1602 con altri scritti tutti di carattere antipapale: «Francisci Guicciardini Patricii fiorentini loci duo, ob rerum, quas continent, gravitatem cognitione dignissimi: qui ex ipsius Historiarum libris III. et IIII. dolo male detracti, in exemplaribus hactenus impressis non leguntur. Nunc tandem ab interitu vindicati, et Latine Italice Galliceque editi. Scorsum accesserunt Francisci Petrarchae Fiorentini Canonici Patavini et Archidiaconi Parmensis, viri omnium sui temporis doctissimi, Epistolae XVI. — Quibus piane testatum reliquit, quid de Pontificatu, et de Rom. Curia senserit — Item, pontificia Maximi Clementis VIII, anno MDXCVIII. Ferrariam petentis et ingredientis Apparatus et Pompa [Auctore A. Rocca], — Luc. 12 Nihil occultum quod non reveletur. — S. l. et s. t. — [Genevae?] Anno MDCII». È questa la prima pubblicazione contenente passi della Storia del Guicciardini condannata dall’autoritá ecclesiastica (Decr. S. Off. 21 iul. 1603). Fu poi condannata dall’autoritá ecclesiastica l’edizione dello Stoer (Decr. 7 ian. 1627). I «due luoghi» sopra accennati erano poi stati stampati anche nel 1609a Francofurti.
  2. La Storia d’Italia di Francesco Guicciardini sugli originali manoscritti a cura di Alessandro Gherardi, per volontá ed opera del conte Francesco Guicciardini deputato al Parlamento (Firenze, G. C. Sansoni, 1919): vol. I, Indice delle edizioni, CLXXX.
  3. Ib., vol. I, Il Guicciardini in questa edizione della Storia d’Italia (ai lettori), VII.
  4. Vol. LXXVI, (fasc. 3)— 1920.
  5. Enrico Rostagno, La Storia d’Italia di Francesco Guicciardini nei Manoscritti originali e nella presente edizione (op. cit.).
  6. P. Villari, Niccolò Machiavelli e i suoi tempi, vol. III, Nota al cap. XIV.
  7. Poiché il documento è realmente interessante e si ricollega a fatti e condizioni di cui il Guicciardini parla nel libro XVIII della storia, lo riportiamo anche noi integralmente: «Copia di lettera scrita (corr. da facta) da me per buon respecti sotto nome di Borb. a Ant. di Leua de 19 d’Apr. 1527 et data a San Piero in Bagno. Sono arriuato a S. Piero in Bagno con questo felicissimo exercito, ne perderò una hora di tempo di marchare sperando trouare buone occasione, perche per lo accordo iacto col nostro buon Vicere gli Inimici si trouano improuisti ne credo possino esser a tempo a prouedersi. La difficulta del uiuere che patisce questo exercito non si potrebbe dire, ma tutto sopporta uolentieri parendo loro ogni hora 1000 anni, di essere a quel benedecto sacco di Fir. Noi cammineremo diritto a quella uolta, et ui terrò auisati del successo confortandoui a fare qualche effecto di la».
  8. E. Rostagno, Recensione critica de ’ manoscritti, ecc., cit., pp. lxix—lxxi.
  9. Giornale St. della Lett. It., cit., p. 335.
  10. Con D il Gher. si riferisce, nelle citazioni delle edizioni, a quella del Rosini.
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