< Storia dei Mille
Questo testo è stato riletto e controllato.
A Santo Stefano Di nuovo in mare

Le Armi.


Durante la sosta a Santo Stefano furono distribuite le armi alle compagnie; solenne momento! Faceva pensare a un altro ancor più solenne, quello di quando vicina l’ora della battaglia, i reggimenti d’allora caricavano i fucili con quell’indescrivibile ronzìo di bacchette tutte piantate a un tempo nelle canne, che dava il raccapriccio e il cupo sentimento della morte. Quelle armi erano vecchi fucili di avanti il ’48, trasformati da pietra focaia a percussione, lunghi, pesanti, rugginosi, tetri. Stava legata a ciascun fucile una baionetta nel fodero cucito a un cinturone di cuoio nero, con certa piastra da fermarselo alla vita e certa cartucciera proprio da far malinconia a provarsela. Oggi non se ne vorrebbe servire, per dir così, neppure un bandito. Eppure nessuno se ne lagnò. Insieme con quell’arma, ognuno ricevette venti cartuccie, e se le mise a posto con gran cura. Quelle povere cose erano tutte le risorse di cui Garibaldi poteva disporre. Povero Garibaldi! Nell’ultimo momento che stette in quelle acque, un suo compagno d’altri tempi che lo aveva seguito nei mari della Cina e che poi aveva perduto una gamba combattendo pei liberali del Perù, bel soldato, vivacissimo ingegno, voleva seguirlo così mutilato com’era anche a quella sua bella guerra. Egli dovette supplicarlo di andarsene, e infine comandarglielo. Furono lagrime! Ma Stefano Siccoli dovè ubbidire, discendere, veder da terra salpare l’ancora, stringersi il cuore perchè non gli scoppiasse. Però aveva già il suo proposito bell’e formato: egli avrebbe raggiunto Zambianchi.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.