< Storia di una capinera
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VIII X

16 Novembre.


Lunedì l’incontrai nel castagneto. Per fortuna Gigi mi accompagnava. Egli aveva il suo schioppo ad armacollo e cantarellava da lontano prima che si fosse accorto di noi. Tu non sai che dolce voce egli abbia! Io lo riconobbi subito: mi sembrava che il cuore mi scappasse dal petto, e avrei voluto allontanarmi, fuggirmene, per quel solito sciocchissimo turbamento.... Il suo cane, Alì, ci vide pel primo, e ci corse dietro latrando e facendoci festa. Bisognava rimaner lì, non è vero?... malgrado che mi fosse fatta di bracie, malgrado che tremassi tutta. Egli si sarà accorto del mio turbamento. Si avvicinò e mi stese la mano; dovetti dargli la mia, perchè qui si usa stringere la mano anche agli uomini, e non mi par bene... poichè egli dovette accorgersi che la mia povera mano tremava....

Per tornare a casa si doveva traversare la parte più fitta del castagneto, e sul limite, ch’è assai roccioso, c’erano molti sterpi e spine. Egli volle accompagnarmi e darmi il braccio. Tremavo talmente ch’egli mi disse: — Appoggiatevi francamente, signorina; voi inciampate ad ogni passo. — Ed era vero. Si fece un bel tratto di strada in silenzio, e camminando io spingevo apposta col piede le foglie secche che coprivano il suolo, per nascondergli il battito del mio cuore. Egli aveva avuto pietà del mio imbarazzo, poichè tentò rompere quel silenzio dicendomi: — Che bella giornata! che bella passeggiata abbiamo fatto! — e sospirava.... Anzi Gigi si lagnò che io gli camminassi sui piedi.... Poi ci mettemmo a sedere su di un muricciuolo accanto alla vigna, e lui mi si pose al fianco. Io non vedevo che il calcio del suo schioppo che disegnava sulle zolle certe bizzarre figure. Alì venne a posare la sua grossa testa sui miei ginocchi sorridendomi con quei suoi begli occhi pieni di vita; io lo accarezzavo ed esso mi ringraziava dimenando la coda. Il suo padrone mi disse: — Vedete come vi vuol bene Alì? Lo amate voi? — Non so perchè quell’innocentissima domanda mi commovesse tutta, e mi parve d’amare immensamente quel povero Alì.... E accarezzò anch’egli il suo cane.... e allora le nostre mani s’incontrarono, e sentii che la mia tremava. Il mio silenzio istesso m’imbarazzava. Cercavo una risposta e non seppi balbettare che: — Come è bello il vostro cane, signore!...

Egli non disse più nulla e sospirò. Perchè sospirava? Sarà anch’egli infelice, poverino! Infatti da qualche giorno m’è parso più malinconico.... ed in quel momento che egli sospirava provavo per lui una gran tenerezza, e non più il solito sgomento, bensì un sentimento tanto amichevole che avrei desiderato essere un uomo come lui, un suo amico, un fratello, per gettargli le braccia al collo e chiedergli che cosa lo affliggesse così, per confortarlo o per dividere almeno con lui le sue pene.

Oh! sì! son peccatacci grossi!... e chi sa quanto dovrò soffrire nel farne la confessione! Poi ne ho sulla coscienza un altro più grosso ancora.... una viva curiosità.... di conoscere che cosa lo rattristasse in quel modo.... Noi altre donne siamo tanto curiose!... Ma capisci benissimo che non osai domandarglielo.

D’allora non lo vidi più che la sera, insieme ai suoi. Non ardisco più uscir sola. Agucchio, agucchio alla mia finestrella, e tutti i giorni allorchè odo la sua voce o il fischio con cui chiama il suo cane, laggiù nel bosco, allorchè mi sembra vedere un’ombra passare rapidamente fra i gruppi lontani degli alberi, il cuore mi batte come quando eravamo rimasti in silenzio, l’uno accanto all’altro, colle mani posate sulla testa di quel bel cane.

Tutte le volte che l’incontro provo lo stesso turbamento, ed è perciò che evito d’incontrarlo. Ma accade delle volte che non posso sfuggirlo, capisci!... che devo dissimulare il mio soffrire e restar lì. Quand’egli mi guarda, il cuore mi balza nel petto, e vorrei morire per nascondere il mio rossore.... Mi pare che tutti gli occhi sieno fissi su di me a domandarmi perchè arrossisco.... ed io, Dio mio!... non saprei dirlo.... non lo so! Pure, appena posso approfittare del primo pretesto, vado a rifuggirmi nella mia cameretta, a nascondere fra i guanciali il viso infuocato, a piangere.... non so.... ma mi pare che il pianto mi faccia bene e che mi alleggerisca di un gran peso!

Frattanto, ieri l’altro, mentre mi asciugavo gli occhi vidi un’ombra alla finestra. Era lui! che appoggiava i gomiti al davanzale e si teneva il volto fra le mani.... Ti lascio immaginare come rimanessi! Anche lui era assai turbato. Volle sorridere e mi parve che piangesse, tanto quel sorriso era triste. Poscia balbettò: — Perchè ci fuggite, signorina? — Avrei desiderato che il suolo si fosse aperto ad inghiottirmi. Per fortuna sopraggiunse mia sorella. Mi fu d’uopo uno sforzo miracoloso per calmarmi o piuttosto per imporre al mio viso di mentire, e andai a raggiungere la comitiva che si sollazzava sulla spianata. Giuditta era accanto a lui, gli parlava, rideva, era tranquilla, non tremava.... lei! Oh! il convento! il convento! Ecco quello che mi abbisogna, che è fatto per me. Al di fuori non c’è che turbamento e sofferenze.

Vedi.... mi crederanno cattiva.... lui pel primo! Dio che mi legge in cuore sa che io non sono tale, che io non ci ho colpa se la mia timidità, le mie abitudini tanto diverse dalle loro mi fanno sembrar cattiva! Ma chi mi crederà?... Ieri mentre tutti rientravano in casa, perchè il fresco della sera era divenuto frizzante, egli mi si accostò, triste, pallido, mi prese la mano, tremavo talmente che non seppi ritirarla, ero sbalordita.... egli mi disse colla sua voce più dolce: — Che vi ho mai fatto, signorina? Perchè mi fuggite?

Mio Dio! Mio Dio! Avrei voluto buttarmi ai suoi piedi, domandargli perdono, dirgli che s’ingannava, che non era colpa mia.... Non so che cosa dissi, non so che cosa balbettai. Sopraggiunse Annetta, mi buttai fra le sue braccia, e mi sfogai in pianto.

Marianna mia, cerca un conforto per me, aiutami!... Anche tu mi abbandoni! Son sola, sono triste, sono infelice!... Prega Iddio che mi faccia presto ritornare alla mia tranquilla esistenza, e che nel silenzio di quei corridoi si estingua il soffio tempestoso che viene dal mondo a turbare la sbigottita anima mia.

Ti ho scritto cogli occhi velati di lagrime; non so nemmeno quello che ho scritto. Perdonami ed amami, chè ho molto bisogno di essere amata.

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