< Storie (Tacito)
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Publio Cornelio Tacito - Storie (II secolo)
Traduzione dal latino di Bernardo Davanzati (1822)
I
II

DELLE STORIE

DI

G. CORNELIO TACITO

LIBRO PRIMO

sommario


I. Prefazione e Sommario. — IV. Stato di Roma: idee della truppa. — VI. Vizj di Galba e della Corte. — VIlI. Stato di Spagna, Gallia, due Germanie e dell’altre province. — XII. Ribelli le legioni della Germania alta: pensa Galba d’adottarsi un Cesare. — XIII. Discordi su ciò T. Vinio e Cornelio Lacone: speme d’Otone. — . XIV. Adottasi Pisone. — XV. Galba aringa. XVII. Moderazion di Pisone. — XVllI. Galba fuor di loco severo. — XIX. Legati a’ ribelli. — XX. Rescisse le prodighe donazioni di Nerone. — XXI. Macchine d’Otone, animoso corrompitor de’ soldati — XXIV. Balordaggine di Lacone capitan della guardia. — XXV. Due manipolari Procolo e Veturio imprendono di trasferir l’impero, e ’l trasferiscono. — XXVII. Otone riconosciuto Imperadore e portato al campo. — XXIX. Intanto Galba, intesa a religione, gli Dei del non più suo impero assorda, Pisone a fedeltà esorta la coorte del palazzo. - XXXI. Appresta ella le bandiere, altre disertano. — XXXII. Il popolo adulatore e leggiero. Galba balocca, nè sa se starsi o affrontar il periglio. — XXXIV. Vana fama d’Otone spento nel campo. — XXXV. Indi popolo, equestri, Senatori, fanatici per Galba. — XXXVI. Otone in campo parla a’ più accesi soldati. — XXXVIII. Provvedeli d’armi. — XXXIX, Atterrito Pisone dalla crescente sedizione, segue Galba che s’invia al Fóro. Si rattiepidisce la plebe: fuggono i più vicini. — XL. Gli Otoniani, rotta la plebe, calpestano il Senato, sboccano in Fóro. — XLI. Galba presso a fonte Curzio ucciso. — XLII, Strage di Vinio. — XLIII. Singolar fede di Sempronio Denso. Pisone in pezzi. — XLV. Tosto cangiasi Senato e popolo. tutti a venerar Otone. — XLVI. Il soldato arbitro di tutto: varie stragi. — XLVII. Corpi di Pisone Vinio e Galba sepolti: lor indole e vita. — L. Otone e Vitellio odiosi per vizj: di Vespasiano, chi ben, chi mal. — LI. Semi, e cagioni del vitellian tumulto. Vitellio gridato Imperadore da’ Germani eserciti. Suo venire in Italia per inerte lusso e prodighi stravizzi, laido. Duci Alieno Cecina e Fabio Valente. — LXIII, Tra per tema, tra per gioia, giurano a Vitellio i Galli. — LXVII. Strage degli Svizzeri. — LXXI. Prende Otone il carico dell’impero, in parte a decoro della repubblica, nel più contro. — LXXII. Tigellino in rovina. — LXXIII. In sicuro Crispinilla, maestra delle libidini a Nerone. — LXXIV. Con mutue lettere tentan concordia Vitellio e Otone; ma uopo è di guerra per contrarietà de' partiti. — LXXVII. Con regali e sollazzi fa breccia Otone. —LXXÌX. Tra civili bollori, i Rossolani Sarmati invadon la Mesia ; vincitori, poi vinti. —- LXXX. A stento cheta Otone un tumulto in Roma. .— LXXXIII. Sua aringa. — LXXXVI. Prodigj, forieri di stragi imminenti. -— LXXXVII. Consigli di guerra. Duci d' Otone.— LXXXIII. Cornelio Dolabella sequestrato nella colonia d' Aquino. —LXXXIX. Parte Otone, al fratello Saluio Tiziano affidata la pubblica quiete e cura.

Anno di Roma DCCCXXII. Di Cristo 69. C. Str. Sulpiz. Galb. Aug. la II volta e T. Vinio Rufino.

I. Il consolato secondo di Sergio Galba e T. Vinio darà cominciamento alla presente opera, presa da me, vedendo DCCXX anni dal principio di Roma narrati da molti, ( come allora si potea ) con pari eloquenza e libertà. Ma poichè si combattè ad Azzio , e per lo bene della pace convenne ridurre in uno tutta la podestà, que' grandi ingegni mancarono, ed è stata in vari modi storta la verità; prima, per lo non sapere i fatti pubblici, non più nostri ; poscia per l' odiare o adulare i padroni, senza curarsi nè gli offesi, nè gli obbligati , delli avvenire. Ma lo scrittore adulante è agevole riprovare ; l' astioso e maldicente volentier s'ode , perchè l'adulatore si dimostra brutto schiavo, il maligno par libero. Io non riconosco da Galba, Otone e Vitellio , nè bene, nè male. Vespasiano cominciò, Tito accrebbe, Domiziano innalzò la mia riputazione, io nol niego ; ma facendo professione di candida verità , parlerò , senz' amore e senz' odio , di ciascheduno, serbandomi alla vecchiaia, se io v'arriverò, i principati di Nerva e di Traiano ; materia più ampia e sicura per la rara felicità di questi tempi che si può a suo modo intendere , e dir convella s'intende.

II. Io metto mano a un' opera piena di vari casi: atroci battaglie , discordie di parti , crudeltà nella stessa pace. Quattro Imperadori morti di ferro ; tre guerre civili ; molte più straniere e per lo più mescolate : prosperità in Levante ; avversità in Ponente; travagli in Illirio; le Gallie vacillanti; la Britannia conquistata e tosto perduta; genti Sarmate e Sveve sollevate; la Dacia, rinomata per date e tocche sconfitte ; e presso che mosse l armi dei Parti, per la beffa del falso Nerone; Italia, per nuovi o dopo lungo tempo ritornati danni, afflitta ; inghiottite o rovinate città della grassa Terra di Lavoro ; Roma da fuoco guasta, templi antichissimi disfatti : e 'l Campidoglio stesso arso per le mani de'cittadini. Santità profanate ; grandi adulterj ; isole ripiene di confinati; scogli di sangue tinti ; atrocità crudelissime in Roma ; nobiltà, ricchezza, rifiutati onori o esercìtati, eran peccati gravi ; le virtù, rovina certissima; i premj delle spie, abbominevoli quanto i delitti; riportatone , chi sacerdozj e consolati , quasi spoglie opime, chi maneggi e potenza intima, facendo e traendo il tutto a sè , per odio o terrore ; schiavi e liberti corrotti contro ai padroni, a cui mancava nimici, oppressi da amici. Secolo non però tanto di virtù sterile , che qualche buono esempio non producesse.

III. Madri e mogli accompagnanti figliuoli e mariti scacciati, parenti difenditeri, generi costanti; schiavi fedeli e forti a' tormenti ; Grandi ammazzatisi con generosa laude antica. Oltre alli molti casi umani, in Cielo e terra, folgora ammonitrici, segni e prodigi, lieti, tristi, scuri e chiari. Nè mai fu per sì atroci mali del romano popolo, conosciutol sì bene che gli Iddii non cu vano la salute nostra, sì bene i gastighi.

IV. Ma prima che io entri nella proposta muteria, è da mostrare qual fosse lo stato della città ; come animati gli eserciti ; come stessero le province; che valido, che infermo per tutto, per sapere, non pure le cose avvenute le più volte a caso , ma le ragioni e cagioni. La fine di Nerone nel primo impeto lieta, cagionò poi vari risentimenti ne' Padri nel popolo, ne' soldati della città, e in tutti gli eserciti e capitani ; avendo chiarito questo punto , che l'Imperadore poteva esser fatto fuori di Roma. A'Padri e principali cavalieri , avendo principe nuovo e lontano, presa tosto libertà, pareva esalare. Il popolo migliore, e i seguaci de'Grandi, i liberti de' condannati e scacciati, si levarono in speranza: la plebaglia , avvezza agli spettacoli , gli schiavi pessimi, e chi , consumato il suo, campava su i vituperi di Nerone , erano addolorati e avidi di garbugli.

V. I soldati della città, per la lunga divozione ai Cesari, e per aver per arte altrui, non di buona voglia, piantato Nerone, e non veder correre il donativo promesso a nome di Galba, nè riconoscersi nella pace, come nella guerra, i meriti grandi, e che egli era obbligato prima alle legioni che l'avien fatto Imperadore , erano pronti a novità, stimolati dalla malvagità di Ninfidio Sabino, lor Prefetto, che aspirava all' imperio. E benchè fosse il Capo della congiura oppresso sul bel principio , molti si sentivano in colpa ; altri dicevano Galba troppo vecchio e avaro; e quella sua già da' soldati celebrata severità gli addolorava, sfuggendo l'antica disciplina; già per xiiii anni con esso Nerone sì male avvezzi , che così amavano i vizj de' principi , come già rispettavano le virtù. Disse anche Galba una parola, buona per la repubblica , non per lui : » Che sceglieva e non comperava i soldati ; » ma non corrispondeva nell' altre cose.

VI. T. Vinio e Cornelio Lacone, l'uno il peggiore, l'altro il più dappoco uomo del mondo, incaricando il debol vecchio dell' odio delle ribalderie , lo rovinavano col dispregio delle viltà. Il viaggio di Galba a Roma fu tardo e sanguinoso , avendo uccisi Cingonio Varrone, eletto Consolo, come compagno di Ninfidio, e Petronio Turpiliano Consolare, come capitan di Nerone , non uditi, nè difesi , quasi innocenti. L' entrata sua in Roma fu male agurosa per tante migliaia di soldati disarmati, tagliati a pezzi, e spaventosa eziandio agli uccidenti. La città fu piena di soldati non soliti ; venutavi una legione di Spagna , e rimasevi quella che Nerone trasse di mare , oltre alle genti germane, britanne e illirie, dal medesimo Nerone soldate e mandate a chiuder le porte Caspie , per la guerra che egli ordinava contro alli Albani, e poi richiamate per opprimer gli ardimenti di Vindice. Materia grande a far novità, non disposta più a uno che a un altro , ma al primo che ardisse,

VII. E vennero a proposito avvisi come furono ammazzati due, che tumultuavano, Clodio Macro in Affrica da Trebonio Garuciano Procuratore , per ordine di Galba, e Fonteio Capitone in Germania da Cornelio Aquino e Fabio Valente, Legati di legioni, senza aspettar ordine. Credettesi che Capitone, tentato da' Legati a novità, come d' avarizia e libidine sozzo , non acconsentisse : ma gli apponessero tal fellonia , e Galba la corresse; o il fatto, poichè disfar non poteasi, senz' altro cercare, approvasse. L'una e l'altra morte dispiacque ; perchè il principe , già odiato, fa mal ciò che e' fa. Già i liberti potenti vendevano ogni cosa. Li schiavi avidi alle subite occasioni, menavan le mani vedendol vecchio. I difetti della nuova Corte erano i medesimi , ma meno scusati. Al popol, che fa concetto de'principi della presenza e bellezza , avvezzo a veder Nerone giovane le grinze di Galba movevano riso e fastidio.

VIII. Così disposta era tanta moltitudine d' animi in Roma. Quanto alle province , Cluvio Rufo governava la Spagna; bel dicitore: in affari di pace, non di guerra, esercitato. Le Gallie, oltre alla ricordanza di Vindice, ci erano obbligate per lo nuovo dono della cittadinanza romana e tributo alleggerito ; ma le loro città vicine alli eserciti di Germania, rimase addietro , e alcune di confini ristrette , erano da invidia e da ingiuria egualmente percosse. Nelli eserciti germani era superbia e sospetto ( cose pericolosissime in tante forze), per la fresca vittoria, e per aver favorito altri ; lasciarono tardi Nerone ; e Verginio a Galba non corse, forse per torsi l'imperio che i soldati gli offersero , il che fu certo. E della morte di Fonteio Capitone anche quei che non potevan dolersi se ne sdegnavano. Stavansi senza capitano , perchè Verginio , sotto spezie d' amicizia richiamato , e non rimandato ; anzi essere accusato attribuivano a lor difetto.

IX. L' esercito di sopra sprezzava Ordeonio Flacco suo capitano: vecchio, gottoso, leggieri, senza autorità, non atto a maneggiar soldati pacifici, non che quel furore , che per la debolezza del raffrenante più s' infocava. L' esercito della Germania Bassa stette un pezzo senza Consolare. Galba vi mandò Vitellio, di Vitellio Censore, e stato tre volte Consolo, figliuolo, che parve bastasse. Quel di Britannia non s' alterò : nè mai furon legioni per tutte le guerre civili tanto sincere; o per esser lontane e dall'Oceano divise, o avvezze per le spesse battaglie a odiare anzi il nimico. Quel d' Illiria pur quietò , benchè quelle legioni , ch' evano in Italia chiamate da Nerone , sollecitassero per ambascerie Verginio. Ma questi eserciti tra sè lontani ( che meglio per tenergli in fede non è ) , non s' accozzavano insieme con loro mali animi e forze.

X. L' Oriente non s' era ancor mosso : teneva la Sorìa con quattro legioni Licinio Muoiano, nelle cose prospere e nelle avverse egualmente famoso. Procacciossi da giovane amicizia di Grandi. Dato fondo al suo avere, venne in istato pericoloso. Dubitando dell'ira di Claudio, stette soffitto in Asia; tanto vicino all' esilio, quanto poscia all'Imperio. Dispendio, industrie, piacevolezze, arroganza, buoni e mali modi usava. Nell'ozio piaceri eccessivi, nei bisogni gran virtù. Le sue cose pubbliche loderesti ; le segrete, il contrario. Vassalli, parenti, colleghi si guadagnò con vari artifìzj ; e più potea dar l'imperio, che averlo. A' Giudei facea guerra con tre legioni Flavio Vespasiano eletto da Nerone, a Galba non contrario di parte nè d'animo avendogli mandato Tito suo figlio a servirlo e venerarlo, come dirò a suo luogo. Credemmo , veduta sua grandezza, che occulta legge del fato, segni e oracoli , chiamassero all' impero Vespasiano e i figliuoli.

XI. L' Egitto con le forze , che lo imhrigliano , è stato retto, da Augusto in qua , da Cavalieri Romani in vece di Re ; così gli parve bene che si stesse in casa sua quella provincia di scala malagevole, grassa, superstiziosa, discorde, voltabile, senza legge nè magistrati. Allora lo reggeva Tiberio Alessandro , di quella nazione. L'Affrica e sue legioni, ucciso Clodio Macro , provato minor signore, si contentava di ogni principe. Le due Mauritanie , Rezia, Norico , Tracia, e l'altre province, rette dai procuratori, amavano e odiavano quel che i loro più vicini e potenti eserciti , quasi per male appiccaticcio. Quelle senza eserciti, e principalmente Italia, erano pronte a servire, e darsi a chi vincesse per premio della guerra. In tale stato erano le cose romane nelle calende di gennaio, che Sergio Galba la seconda volta e Tito Vinio entraron Consoli, anno ultimo a loro, e poco meno che alla repubblica.

XII. Pochi giorni appresso venne avviso da Pompeo Propinquo, Procuratore in Fiandra, che le legioni in Germania di sopra, senza rispetto al giuramento, chiedevano altro Imperadore, a scelta (per parer meno ribelle ) del senato e popol romano. Questo fece a Galba sollecitare il suo già co' suoi consultato penniero, d'adottarsi un successore. Nè d'altro in quei mesi per Roma si ragionò, per essere a tali cose le lingue sciolte, e Galba di troppa età. Pochi con senno, nè amore al pubblico , molti per disegni propri, questo o quell'amico o dependente , bociavano che succederebbe ; e ancora per abbassare T. Vinio, che quanto in potenza, tanto in odio cresceva; per chè la dappocaggine di Galba accendeva l'ingordigia de' favoriti, posti in sì gran fortuna ; essendo il mal fare , appresso principe debole e leggieri , di poco rischio e di gran guadagno.

XIII. T. Vinio Consolo e Cornelio Lacone Prefetto del Pretorio, guidavano ogni cosa ; nè meno favorito era Icelo liberto di Galba, che gli diè l'anello dell' oro e chiamavanlo Marziano, nome cavalleresco. Questi non erano d' accordo ; nell' altre cose tirava ciascuno de' tre a' suoi fini ; in questa più importante dello elegger successore, erano divisi in due. Vinio voleva Otone; Lacone e Icelo convenivano nel non voler costui , non curando d' un più ch' un altro. Sapeva Galba dal popolo , che nulla tace, che Vinio voleva rimaritar sua figliuola vedova a Otone smogliato ; quinci era l’ amicizia ; e credo che gl' increscesse della repubblica, invano da Nerone liberata: se cadesse in Otone, stato fanciullo male allevato , giovane sfacciato , grato per la conformità delle libidini a Nerone ; che perciò appresso lui, come a consapevole delle sue disonestà, dipositò Poppea Sabina sua meretrice, fin'a che cacciasse Ottavia sua moglie; poscia, per gelosia della medesima, lo mandò sotto spezie di governo in Portogallo. Governò dolcemente, e fu il primo a passare alla parte di Galba; non si stette: e mentre la guerra durò , compari lo più splendido ; vennegli speranza subitana di farsi adottare, e crescevagli ogni dì; favorivanlo i più dei soldati e la Corte di Nerone , come a lui simile.

XIV. L'avviso del sollevamento in Germania, benchè di Vitellio non ci fosse di certo ancor nulla, mise Galba in gran pensiero, ove quella forza s'avesse a gittare : e non confidandosi nella stessa milizia romana , pensò di creare il successore ; il che stimava unico rimedio; e chiamati, oltre a Vinio e Lacune, Mario Celso, eletto Consolo, e Ducenio Gemino Prefetto di Roma , e dette poche parole della sua vecchiezza , si fece venire Pisene Liciniano ; piaccessegli il suggetto o spintovi, come alcuni vogliono, da Lacone , fattosi di esso Pisone amico, trattando seco in casa Rubellio Plauto; ma s'infingeva ad arte di noi conoscere: e 'l buon nome di Pisone aggiugneva fede al consiglio. Nato era Pisone di Marco Crasso e Scribonia, sangui nobilissimi: di volto e gesti gravi e antichi; secondo i buoni estimatori severo; chi volea dir male, il dicea burbero. Per queste qualità il popolo ne temeva , all' adottante piaceva.

XV. Presolo adunque Galba per mano , dicono che gli parlò in questa sentenza : » Se io privato ti adottassi per la legge curiata dinanzi a' Pontefici , come s' usa , sarebbe e orrevole a me il mettere in casa mia la progenie di Pompeo e di M. Crasso , e glorioso a te l' aggiugnere alla tua nobiltade i Sulpizj e i Lutazj splendori. Ora io per grazia degl'Iddii e degli uomini fatto Imperadore, mosso da' belli indizj di tua bontade e dall'amore alla patria, quell ' imperio che i nostri passati combatteano con armi, da me conquistato per guerra, ti porgo in pace ; 'imitando il divino Augusto , che fece secondo a sè Marcello figliuolo della sorella, poi Agrippa genero, indi i figliuoli della figliuola, in ultimo Tiberio figliastro. Ma Augusto cercò di successore in casa sua, io nella repubblica ; non per mancarmi parenti o amici in guerra, ma perchè io ho l'imperio non con male arti procacciato : e segno dell' animo mio sia il posporre a te non pure i miei congiunti, ma i tuoi. ll fratel tuo è nobile come se' tu , maggior di te, degno di questa fortuna , se tu non ne fussi più degno: tu se'd'un'età fuori de' furori giovenili; di vita, che insiuo a ora non vi ha che riprendere. Tu hai fin' ora avuta fortuna avversa : le prosperità scuopron più le magagna dell' animo, perchè lo corrompono, e le miserie si sofferiscono. Tu manterrai, come prima la fede, la libertà, l'amicizia (virtù sovrane nell'uomo ); ma gli altri con l'adularti le guasteranno; assalirannoti le lusinghe e l'interesse di ciascheduno ; veleno pessimo del vero amore. Tu e io ci favelliamo qui ora sinceramente ; ma gli altri alla nostra fortuna favellano e non a noi. Ritirare il principe al dovere è cosa dura , ma l' adularlo, senza fatica ».

XVI. » Se questo immenso imperio si potesse , senza una reggente mano , tener bilanciato , da chi potea meglio cominciar la repubblica che da me ? Ma la cosa è ora a termine, che al popol romano non può far meglio, nè la mia vecchiezza , che lasciargli un buon successore , nè la tua giovanezza, che esser buon principe. Sotto Tiberio, Caio e Claudio, noi fummo quasi retaggio d' una famiglia. Siaci ora spezie di libertà l' aver cominciato ad esser eletti. Spente le linee de'Giuli e de' Claudi, la adozione scerrà'l migliore; perchè l'esser nato di principe è dono di fortuna , nè più oltre si considera; ma l'elezione dell'adottare, è liberà; e'l giudizio di molti insegna bene eleggere. Specchiati in Nerone, per molta segueuza di Cesari gonfio, lo cui giogo, non Vindice con la disarmata provincia, non io con una legione , ma la sua bestialità e lussuria ci scosse dal collo ; e fu il primo principe sentenziato. Noi eletti in guerra, e da buoni estimatori , saremo ottimi, benchè invidiati ; e tu non ti dei perder d'animo, se due legioni in questo trambusto del Mondo , non si quietano per ancora. Anch' io ebbi che fare; or come s'udirà che tu sii adottato, finirà il dire che io son vecchio ; difetto solo appostomi. Nerone sarà desiderato sempre da' pessimi : facciamo sì, tu e io, ch'e' non sia anche desiderato da'buoni. Non è or tempo da darti lunghi ricordi: e ogni consiglio è compiuto se io ho bene eletto. Vuoi tu proceder bene e non male ? guarda quello che sotto altro principe tu vorresti o no : questa è la regola brevissima e capacissima; perchè questo non è un regno , come nell'altre genti, dove una casa è sempre padrona e tutti gli altri son servi , ma tu comanderai a uomini che non posson soffrire, nè tutta servitù , nè tutta libertà. » Tali cose a Pisone diceva Galba, facendol come principe; e gli altri parlavano come a fatto.

XVII. Dicono che essendosi volti in lui tutti gli occhi, segno veruno di turbamento, nè d'allegrezza non fece; parole al padre e Imperadore riverenti, di sè moderate : non mutò faccia nè gesti, quasi più potesse, che volesse imperare. Consultossi se fusse da adottarlo in ringhiera o in Senato o in campo. Piacque in campo, per far quest' onore a' soldati, il cui favore per danari e pratiche malvagiamente s'acquista; ma per buone arti, non si dee dispregiare. Il popolo stava intorno al palagio, non avendo pazienza che il gran segreto uscisse: e n'accrescevano la fama coloro che di spegnerla con poco senno procuravano.

XVIII. Qnel dì dieci di gennaio, orrenda pioggia, tuoni, saette e minacce da cielo, non rattennero Galba ( benchè gli antichi in cotal dì non creassero magistrati ) dall' ire in campo ; sprezzando tali cose, o come di fortuna , o perchè non si fugge , benchè mostrato, il destino. Parlò a quella adunanza breve e da Imperadore: » Che adottava Pisone, ad esempio d'Augusto e uso di milizia, che uno elegga un altro ; » e per non far creder col tacere il sollevamento maggiore, disse: » Le legioni quarta e diciottesima, soddotte da pochi, non esser passate oltre alle parole e le grida ; e tosto sarieno tornate a segno ». Così secco e senza prometter donativo parlò : nondimeno i Tribuni, Centurioni e soldati, che gli eran presso, gli risposero rallegrandosi: gli altri tacquero attoniti, vedendosi aver perduto nella guerra il donativo , divenuto ormai debito ancor nella pace. Certo è che con ogni poco di liberalità si sarebbe lo scarso vecchio guadagnato quegli animi ; nocquegli il rigore antico, e la troppa severità, insopportabile al dì d' oggi.

XIX. Fecero poi le parole in Senato. Galba non più lunghe nè belle che a' soldati : Pisone amorevoli, e avea la grazia de' Padri ; di molti sviscerata ; di chi non l' arebbe voluto, tiepida; i più si sommetteano per propri fini, senza amor pubblico. Ne' quattro giorni corsi dall' adozione alla morte, Pisone altro non fece nè disse in pubblico. Rinforzando gli avvisi ogni dì dell' esercito di Germania ribellato, ed essendo la città pronta a credere le novelle, massimamente male, parve a' Padri da mandarvi ambasciadori. Trattossi in segreto, se fusse bene che anche Pisone vi andasse, per più riputazione; rappresentando essi l'autorità del Senato, egli la cesarea maestà ; e volevano che gli facesse compagnia Lacone, Prefetto del Pretorio. Pisone contraddisse ; e Galba, in cui rimise il Senato lo eleggere gli ambasciadori, con gran leggerezza ne nominò, scusò, scambiò; secondo che si raccomandavano d'andare o rimanere, per timore o speranza.

XX. Vennesi al modo del provveder danari : e tutto sottilizzato, il più giusto parve ritraili onde venia la strettezza. Cinquantacinque milion d'oro aveva Nerone sparnazzato in donare ; citò ognuno a renderli, lasciando loro dieci per cento; che tanti loro non n' eran rimasi, avendo dissipato il loro e quel d'altri , e dato fondo a stabili e mobili ; lasciatosi i più rapaci e pessimi, gli strumenti soli da esercitar vizj. Trenta Cavalieri romani ne furon fatti riscotitori ; uficio nuovo e di molto aggravio, per l'ambizione e gran numero; essendo per tutta la città venditori e offeritori all'incanto; una sola allegrezza vi avea, che non erano men poveri a cui Nerone avea donato , che a cui tolto. Furon cassi in que' dì alcuni Tribuni, due Antoni, Tauro e Nasone Pretoriani, Emilio Pacese delle coorti di Roma, e Giulio Frontone delle guardie di notte. E non furono esempio agli altri; ma principio di paura, di non esser sospetti tutti, e a poco a poco cacciati.

XXI. Otone allora, che non poteva sperare nella quiete, ma tutto nel garbuglio, avea molte passioni; spesa, grave fino a uu principe, povertà intollerabile anche a privato, ira con Galba, invidia a Pisone; e facevasi, per più pugnersi queste paure : » Essere stato a Nerone molto noioso; non poter più aspettare che Portogallo, o altro governo, ricuopra suo esilio; aver sempre chi regna in odio e sospetto il più vicino a succedere. Avergli ciò nociuto col principe vecchio; e più il farebbe col giovane, atroce e per lungo esilio accanito. Può essere Otone ucciso; bisogna mettersi a avventurarsi, ora che l'autorità di Galba cade e di Pisone non è assodata. Fanno pe' gran disegni le mutazioni: e non è da badare, ove la posa più ti rovina che la temerità. Dover tutti egualmente per natura morire; distinguerci ne'futuri secoli l'oblivione e la gloria; e dovendo andarne il buono come il reo, il morire per qualche cosa è da uomo più coraggioso ».

XXII. Non era Otone tenero d'animo, come di corpo; e da'suoi liberti e principali schiavi, avvezzi dissoluti oltre al modo delle case private, gli era detto, che la Corte di Nerone, le pompe, gli adulterj , le nozze, gli altii gusti da Grandi, onde egli era avido, toccherebbero a lui se avesse coraggio ; c dormendo, a un altro; e per isquadri di stelle, gli prometteano in quell'anno un gran chiarore gli strolaghi; gente bugiarda a'Grandi, falsa a chi le crede, cui la città nostra sempre vieterà e terrà. Poppca in segreto ne avea tenuti molti, che furon pessimo strumento dulle sue nozze col principe. Tolomeo tra gli altri, il quale accompagnando Otone in Ispagna, gli predisse che Nerone morrebbe prima di lui, come segui; onde venuto in fede, e già per la vecchiezza di Galba e gioventù d'Otone, congetturandosi e spargendosi, gli fece credere che l'imperio sarebbe suo. Il che Otone pigliava come per rivelata scienza di suo fato; per natura dell'umano ingegno, che volentieri presto fede a suo pro alle cose dubbie; e Tolomeo lo stimolava a scelerato effetto, tra,'l quale e il desiderio, piccolo è il passo.

XXIII. Incerto è se il pensiero del tradimento gli venne allora; ben si era procacciato il favor de'soldati, o per isperanza di successione o per apparecchio di sceleratezza; in cammino, in ordinanza, in guardie, chiamando i più vecchi per nome, e come già soldati di Nerone appellandoli suoi compagni ; quale riconoscendo, qual domandando, e di moneta e di favore, aiutando ; e spesso di Galba parlava male o dubbio; e con altri modi a ciò atti li sollevava. I faticosi cammini, scarsi viveri, rigidi comandari, erano presi alla peggio; essendo in cambio de'laghi di Terra di Lavoro e delle città d'Acaia, ove solevano navigare, strascicati, con l'armi indosso, per li monti Pirenei, Alpi e viaggi senza fine.

XXIV. I già infocati animi de' soldati più infiammò Mevio Pudente, intrinseco di Tigellino ; il quale, adescando i più leggieri di cervello, abbruciati di danari, precipitosi a' garbugli, venne a tale, che ogni volta che Otone convitava Galba, alla coorte sua di guardia dava fiorini due e mezzo d' oro per uno, come per beveraggio; il quale quasi pubblico donativo accresceva Otone con maggior mancia in segreto ; e al corrompere prese tanto animo, che Cocceo Procolo alabardiere, litigando de'confini col vicino, comperò e donogli tutto il podere, per balordaggine del Prefetto, cui eran parimente ignote le cose pubbliche e l' occulte.

XXV. Capo della congiura fece Onomasto liberto, il quale vi tirò Barbio Procolo, che dava il nome alla guardia; e Veturio, sergente in quella, esaminolli; e trovatili astuti e fieri, danari assai loro donò, e promise e lasciò, perchè tentassero altri. Due soldatelli tolsero a travasare l' imperio romano; e'l travasaro. Il disegno loro dissero a pochi, gli altri sollevando e pugnendo con arti varie; i soldati principali con l'esser a sospetto per li beneficj di Ninfidio; gli altri con la collora del tanto prolungato e disperato donativo; alcuni con la memoria di Nerone e desiderio di quella licenza ; tutti con lo spavento dell' aver a mutar milizia.

XXVI. Questo morbo s'appiccò ancora ai soldati nostri e degli aiuti, poichè si seppe per tutto, l'esercito di Germania esser di dubbia fede. E sì pronti furono a levare in capo i corrotti, e i buoni a lasciarli fare; che alli quattordici di gennaio, tornando Otone da cena, furon per levarlo di peso; ma i pericoli della notte, i soldati alloggiati per tutta Roma, il poter male quelli ubriachi accordarsene, li ritennero; non per carità della repubblica, cui essi digiuni trattavano di macchiar col sangue del proprio principe, ma ciò, presentandosi al buio, un altro a' soldati di Pannonia o di Germania non fusse eletto in cambio d'Otone. Di questa sedizione scoppiarono molti indizj ; e furono oppressi da' consapevoli : a Galba ne pervennero alcuni ; e Lacone Generale, tutto al buio degli animi de'soldati, nimico di ogni consiglio non suo, benchè buono, caparbio contra i più saggi, gli fe' svanire.

XXVII. Alli quindici di gennaio, sagriflcando Galba dinanzi al tempio d'Apolline, Umbricio indovino vi conobbe male interiora, vicino tradimento, nimico in casa; ascoltante Otone, ivi presente e rallegratesi che tutto faceva per lui. Poco stette a venire Onomasto a dirgli che l'architetto e i capomaestri l'aspettavano; voleva dire, secondo s' erano indettati, che i soldati e tutta la congiura era in punto. Egli disse quivi, che comperava alcune case vecchie e per ciò volea farle vedere : e appoggiato a colui passò per casa Tiberio al Velabro; indi al Miglio d' Oro., sotto il tempio di Saturno. ove il salutarono Imperadore ventitre alabardieri: e lui del poco numero spaventato, levano in sedia ratti con le punte basse ; per la via s' accompagnano circa altrettanti , de' quali chi sa il fatto, chi stupisce, chi grida, chi sguaina , chi tace, per tenere da chi vincesse.

XXVIII. Giulio Marziale Tribuno non si mosse del campo della sua guardia per lo subitano caso:. o temesse non fosse tutto il campo corrotto, e d'esservi, se si opponeva, ammazzato; onde fu creduto consapevole. Ancora gli altri Tribuni e Centurioni anteposero all'onesto e incerto, la pessima sceleratezza presente, ardita da pochi, voluta da molti, patita da tutti.

XXIX. Attendendo Galba, di tutto al buio, a sagrificare e affaticare gl'Iddii dell'imperio, ormai d'altri, sentì romore, che a furia era portato nel campo un Senatore ; poscia , che egli era Otone. Correva Roma da ogni banda a dirgli, chi più del vero, chi meno, adulandolo pur ancora. Fatto consiglio, fu risoluto che si tentasse l'animo della coorte che guardava il palagio, non da Galba, per serbare all' ultimo la somma autorità; ma da Pisone, il quale, chiamatili dinanzi alle scalèe, disse: » Oggi è il sesto giorno, compagni miei, che io fui fatto Cesare, senza sapere quel che dovesse seguire, nè se tal nome da bramar fusse o da temere: che ciò sia rovina o ventura di casa nostra o della repubblica, in voi sta. Non lo dico per me, che nutrito nelle cose avverse, so bene che le prospere corrono non men pericoli ; ma del mio padre e del Senato e dell' imperio, mi scoppia il cuore, se oggi ci è necessario esser uccisi, o ( quello che a' buoni è pari miseria ) uccidere altrui. Consolavaci nel preterito movimento , che le cose cran passate nella città senza sangue e d' accordo ; con l'avermi adottato , pareva proveduto che dopo Galba non ci fusse cagion di guerra ».

XXX. » Non mi do vanto di nobiltà, nè di modestia, che non deon venire in bilancio le virtù coi vizj d' Otone, de' quali soli si gloria : e rovinarono l ' imperio insin quando era amico dell' Imperadore. Quelle veste, quell'andatura, quelli ornamenti da femmina, meritano imperio? S'inganna chi lo scialacquatore tiene per liberale: sa gittar via, ma non. donare ; lussurie, ebrezze, ritrovi di femmine, ha ora nel cuore: stima i frutti dell'imperio, onde egli solo tragga piaceri e sollazzi ; gli altri tutti rossori ed infamie. Perciocchè imperio male acquistato mai niuno esercitò con bontade. Il consenso del Mondo fe' Cesare Galba ; me Galba col vostro. Se la repubblica e'l Senato e'l popolo ci son per niente, tocca a voi, o compagni, provvedere che Imperadore non si faccia da scelerati. Essersi levate legioni contro al lor capitano s'è udito; ma la fede e la fama vostra sono insino a oggi senza macchia ; nè voi abbandonaste Nerone, ma egli voi. Meno di trenta truffatori e traditori, che niuno comporterebbe che s'eleggessero Centurione o Tribuno, assegneranno lo imperio ? Ammetterete voi questo esempio ? Farete, con lo starvene, il peccato comune? Impareranno a ribellarsi i vassalli ; e sopra di noi poserà il pericolo de' tradimenti ; eopra di voi quel delle guerre. Nè più si dona all'ucciditore del principe , che all'innocente: e il donativo che vi farebbe altri per la sceleratezza vi faremo noi per la fede », XXXI. Gli alabardieri sbrancarono: agli altri della coorte non dispiacque il parladore; e come ne'garbugli si fa, mettonsi in arme per timore, e buon fine per ancora; ma poi fu creduto par infinta ed inganno. Fu mandato Mario Celso a fermare gli eletti dell'esercito d'Illiria, attendati nella loggia di Vipsanio, e Amulio Sereno e Domizio Sabino di primefìle, a chiamar dal tempio della libertà i soldati di Germania. Della legion di mare non si fidava ; odiandolo per quel che Galba ne aveva a prima giunta tagliati a pezzi. Vannone in campo Cerio Severo, Subrio Destro, Pompeo Longino, Tribuni dei pretoriani, per veder di stornar l'incominciata sollevazione, per ancora non gagliarda. Voltansi a Subrio e Cerio con le minacce: mettono a Longino le mani addosso, e disarmanlo; perchè non come soldato, ma come amico di Galba era tenuto fedele al principe, però più sospetto ai sollevati. Co' Pretoriani la legion di mare corre a congiugnersi : gli eletti di Schiavonia, co' lanciotti caccian via Celso : i Germani di corpi ancora infermi, e placati d'animi, perchè Galba trovatili mal conci dal mare tornando d'Alessandria, ove Nerone li mandò, li faceva curar con molta sollecitudine, la tentennarono.

XXXII. Già empiva il palagio tutta la plebe e schiavi mescolati, gridando ( come quando nel cerchio o nel teatro si chiede qualche giuoco): » Muoia Otone: caccimi i congiurati ; » non per giudicio, nè volontà, dacchè il contrario gridaron poi lo stesso dì, ma per usato e vano applaudere a qualsivoglia principe. In tanto Galba si stava tra due contrari consigli. Tito Vinio lodava il tenersi in casa; difenderla con gli schiavi; fortificare le porte; non incontrare gli adirati ; dar tempo a' rei a pentirsi, ai buoni a confermarsi. Le sceleratezze amar furia ; le buone deliberazioni tempo. L' affrontare , se pur fia bene, stare a posta sua ; il ritirarsi d' altrui ».

XXXIII. A tutti gli altri pareva da sollecitare: alla congiura ancor di pochi e debole, tagliar la strada; » perderebbesi d' animo ancora Otone, che ascosamente partitosi, condotto fra' non consapevoli del trattato ; ora dall' inresoluzione e viltà di chi perde tempo, piglierà cuore a fare il principe. Non doversi lasciarli accomodare il campo, pigliar la piazza, entrare in Campidoglio in su gli occhi a Galba, mentre il valente Imperadore co' suoi prodi amici si chiuderà in casa molto bene, per regger l'assedio; e grande aiuto gli daranno li schiavi, se il consenso e 'l primo sdegno ( che ha gran forza ) di tanta moltitudine si raffredda. Viltà non esser sicura ; doversi, se morir si dee, affrontar il pericolo. Ciò darebbe a Otone più carico, a loro più onore ». Vinio replicò : Lacone il minacciò, stimolato da Icelo, che per izza privata guastava il ben pubblico.

XXXIV. Galba senza indugio s' attenne al consiglio più onorevole. Mandaron però innanzi Pisone al campo, come giovane di gran nome, di novello favore, nimico di Vinio: .o fosse vero, come più si credeva, o perchè così lo bramassero gli adirati. Appena era fuor di casa Pisone, che uscì voce confusa, che Otone in campo era stato ucciso; alcuni affermavano , ( come delle gran bugie si fa ) di veduta, e d'esservi intervenuti ; credendo l' uomo quello che ha caro o non gli preme. Molti queste false grida diceano stratagemma delli Otoniani, già in ordine, perchè Galba uscisse fuori. XXXV. Allora non pure il popolo e la plebe ignorante, ma i Cavalieri e' Senatori, quasi tutti folleggiano, per mostrare a Galba allegrezza e amore. Rovinano, come sicuri, le porte del palagio, per entrare e farglisi vedere, dolendosi che altri prima di loro avesser fatta la vendetta. I più codardi (chiariti poi al bisogno ) più sparate faceano, e più feroci ; niuno il fatto sapeva, ognuno l'affermava ; di maniera che Galba, per non saper il vero, e vinto dall' errore di tanti, si mise il corsaletto : e non potendo stare, vecchio e debole, in quella calca, fu levato in seggiola. Riscontrandolo in palagio Giulio Attico alabardiere gridò : » Con questa spada » ( e la mostrò sanguinosa ) » ho ucciso Otone. » E Galba a lui: » Compagno, chi te l'ha comandato? » Sì era al frenar le licenze soldatesche animoso, di minacce non pauroso, da lusinghe non corrotto.

XXXVI. In campo già eran tutti risoluti e sì accesi , che non contenti d' aver circondato Otone, lo posero in rialto, in mezzo a tutte l'insegne e bandiere , ove era stata la statua d' oro di Galba. Nè Tribuni, nè Centurioni poteano accostarglisi, volendo i privati soldati guardarlo anche da' loro superiori. Era ogni cosa pieno di grida e tumulto : davansi lutti animo, non con adulazione vana e plebea, ma ogni soldato che compariva, prendevan per mano, abbracciavan con l' armi, menavanlo da Otone : dettavangli il giuramento: ora ai soldati l' Imperadore, ora loro a lui raccomandavano. Nè mancava esso di stender le mani, adorar quella turba, lanciar baci, far lo schiavo, per esser fatto padrone. Quando tutta la legion di mare ebbe giurato ; parendogli averne buono, e da accendere tutti insieme que' che egli avea riscaldati dapersè, dinanzi alla trincea così cominciò :

XXXVII. » Che personaggio io mi faccia qui, compagni miei, non so. Privato non mi voglio dire, avendomi voi nominato principe ; e principe non sono ove altri comanda. Voi ancora non avrete nome certo , mentre non si saprà se voi tenete in campo l' Impcradore o pure il nimico del popolo romano. Udite voi come sia chiesta la mia morte e 1 vostro gastigo? Sete voi chiari che voi e io abbiamo a campare o morire insieme ? E forse Galba ce F ha giurato : sì vano è; poichè tagliò a pezzi a sproposito tante migliaia di soldati innocentissimi. Mi si arricciano i capelli a ricordarmi di quella orrenda entrata, e sola vittoria di Galba, quando que'poverelli, datisi, raccomandatisi, ricevuti in fede, volle decimare su gli occhi della città. Con tale agurio entrato in Roma, che gloria portò al principato , se non d' aver uccisi Obultronio Sabino, Cornelio Marcello in Ispagna, Vettio Chilone in Gallia, Fouteo Capitone in Germania, Clodio Macro in Affrica, Cingonio in viaggio , Turpiliano in Roma, Ninfldio in campo ì Qual provincia, qual campo non ha egli insanguinato, infettato, e, a detto suo, racconcio e corretto? perchè egli chiama rimedi quei che gli altri sceleratezze : e con falsi nomi appella severità la crudeltà, parsimonia l'avarizia, disciplina i vostri supplizj e oltraggi. In questi sette mesi poichè Nerone è morto, ha già più rubato Jcelo, che Policleto, Elio e Vatinio, non ragunarono. Vinio stesso se fusse stato Imperadore, non poteva andar più a roba di tuti' uomo. Ora ci comanda come suoi e strapazza come furbi e strani. t)i sua casa sola può trarsi il donativo rinfacciatovi ogni dì, e dato non mai.

XXXVIII. » E perchè non si speri nè anche nel successore, Galba n'ha chiamato dall'esilio uno avaro e fantastico al par di lui. Vedeste, compagni, anche gl'Iddii con quella grossa tempesta abborrire la sciagurata adozione. Il Senato e il popol romano sono del medesimo animo. Senza la vostra virtù non si può fare ; i buoni consigli prendon forza da voi : e senza voi ogni impresa, benchè nobile, è nulla. Non vi chiamo a battaglia nè a pericolo: tutti i soldati son per noi: e quella sola guardia di palagio, che è in toga, non difende mica Galba, ma lo ci serba. Quando ella vi vedrà, quando io le darò il segno, contenderete solo a chi più m' esalti. Non date tempo a quel consiglio che non si può lodare se non eseguito ». Tosto fece aprir l'armerìa: furon l'armi senza ordine, o modo di milizia, rapite, non date a' Pretoriani, o legionari le proprie, per riconoscersij con essi mescolati gli aiuti per le medesime celate e scudi, non Tribuno o Centurione esortava ; ciascun gridava e spronava sè stesso : il veder i buoni addolorati , più che altro accendeva i pessimi.

XXXIX. Pisone dal furibondo crescer della sedizione, e dalle voci risonanti sino a Roma, spaventato , raggiunse Galba vicino al Foro. Tornò Mario Celso con male nuove. Chi consigliava a tornare in palagio, chi salire al Campidoglio , altri pigliar la ringhiera, ad altri bastava Contraddire ; e, come nei Cattivi partiti avviene, quello pareva ottimo che non era più a tempo. Dicesi che Lacone trattò senza saputa di Galba d'uccider T. Vinto; o per addolcire i soldati con la pena di lui , 0 per «reder che egli si intendesse con Otone, o pur per odioi Ritennelo il tempo e 'l luogo. Mettendosi mano al sangue, mal si poteva fermare: e bisognò pensare ad altro ; venendo sempre peggiori av/isi, fuggendosi molti, discostandosi tutti, che prima mostrarono tanta fede e coraggio.

XL. Galba era abburattato qua e là , secondo che la turba ondeggiava. Palagi e tempj pieni, con vista lagrimevole ; stavano la plebe e 'l popolo attoniti , ammutoliti, in orecchia ogni strepito; non v'era tumulto, non quiete: silenzio , quale è nelle gran paure e ire. Nondimeno essendo detto a Otone che la plebe s'armava, fece correre a riparare al pericolo. Vanno i soldati romani, quasi avessero a cacciar Vologese o Pacoro dell' antico trono arsacido , e non tagliar a pezzi il loro Imperadore disarmato e vecchio : la plebe sbaragliano, il Senato calpestano : con minacciose armi , feroci a corsa di cavalli si spingono nel Foro : senza riguardar a Campidoglio , a religion di templi, a maestà di principi passati e futuri, commisero l'eccesso, che qualunque succede gastiga.

XLI. Vedute appressatesi l' armate schiere , l' Alfiere della coorte, che accompagnava Galba ( dicono che fu Attilio Vergilione ) tirò giù l' effigie di esso, e la battè in terra. A quel segno tutti i soldati si scopersero per Otone : il popolo fuggi di piazza : erano a chi la pensava, voltate le punte. Galba presso a fonte Curzio, tremando le gambe a' portatori della seggiola, gittato per terra e voltolatolo ;F ultime sue parole, chi l'odiò, disse che furono: » Che ho io fatto? il donativo verrà tra pochi di: vi supplico di questo tempo ; » chi l’ ammirò, e i più, vogliono che egli porgesse la gola alli ucciditori, dicendo : » Che facessero, ferissero, se così pareva bene per la repubblica. » Non attesero quel dicesse: non è chiaro chi l' uccidesse : alcuni dicono Terenzio Evocato > altri Lccanio , i più, che Camurio, soldato ilcl'a legion quindicesima, lo scannò: gli altri gli minuzzarono braccia e gambe (perchè il busto era armato ) al quale, già tronco, tiraron bestiali colpi e molti.

XLII. Assalsero T. Vinio; di cui ancora si dubita, se per la paura gli cascò il fiato, o pur gridò; » Non esser da Otone la sua morte stata commessa. » Facesscgliel dire la paura, o'I confessasse, come sciente della congiura: la vita e fama sua voglion più tosto che ei fusse consapevol di quella sceleratezza di cui era- cagione. Dinanzi al tempio del divino Giulio spirò: la prima ferifa ebbe sotto il ginocchio ; poi da Giulio Caro, soldato di legione, ne'fianchi fu passato fuor fnora.

XLlII. Vide l'età nostra quel giorno un memorevole uomo: Sempronio Denso, di Centurione di coorte pretoria, assegnato da Galba alla guardia di Pisone, sfoderato il pugnale, s'avventò alli armati, e chiamandoli traditori, e in sè rivoltandoli; e con le mani e con la voce sì fece, che Pisone, benchè ferito, fuggi nel tempio di Vesta, e da uno di quei ministri per misericordia ricevuto, s'allungava la morte, non con la religione, ma con l' aqquattarsi. Eccoti venir difilati a posta, mandati da Otone per lui ammazzare, Sulpizio Floro delle coorti britanniche, fatto poco innanzi cittadino da Galba, Stazio Murco alabardiere: dai quali Pisone fu tratto fuori e fattone pezzi in su la porta del tempio.

XLIV. Di niuna morte dicono avere Otone fatto tale allegrezza: niuua testa sì minuto squadrata coli Occhi insaziabili; o cominciando allora, scarico d'ogni pensiero a perdersi nell'allegrezza, o pur restato confuso quell' animo, benchè crudele, per rimembranza della maestà di Galba, e amicizia di Tito Vinio, gli pareva dover della morte di Pisone, suo nimico e concorrente, far allegrezza. Portavano in su le picche le teste tra le insegne delle coorti, allato all' aquila della legione ; mostrando per fatto egregio a gara le mani sanguinose que'che gli aveano Uccisi o vi s'eran trovati : vero o non vero. Cento venti, o più, suppliche di chiedenti premio d'opere fatte quel giorno trovò poi Vitellio: e tutti li fe' pigliare e morire; non per onor diGalba, ma all'usanza de' principi, per assicurarsi di quelli e insegnare agli altri.

XLV. Non pareva il Senato quel desso, nè il popolo; ognuno al campo : s' azzuffavano per passarsi innanzi, maladivano Galba, benedivano il giudicio de' soldati: baciavano la mano a Otone; e quanto più Ante l' apparenze erano, più ne facevano. Egli dava pasto a ognuno ; temperava, con voce e volto , i soldati avidi e minaccianti ; eglino nimicavano, quasi male arti, l'industria e bontà di Mario Celso disegnato Consolo, e a Galba fino all'ultimo fedele amico, e chiedevanlo al supplizio. Vedevasi che si cercava occasione di cominciare a far sangue e bottini, e tor via i migliori. Ma Otone non poteva per ancora proibire il mal fare, ma ben comandarlo. Mostrandoglisi adunque pien d'ira comandò che 'l legassero, dicendo che bene il gastigherebbe ; e così dal pericolo lo sottrasse.

XLVI. Ogn'altra cosa poi andò a voglia dei solI dati. S'elessero i Prefetti del pretorio a lor modo > cioè Plozio Firmo, già soldatello, allora Capo di scolte , e quando Galba era in piè, tenne da Otone: e Licinio Procolo, d' Otone famigliarissimo e sospetto d'averlo favorito. Della città fecero Prefetto Flavio Sabino, col giudicio di Nerone, che già gli diede tal grado : e molti riguardavano in lui Vespasiano suo fratello. Fu chiesto, che a'Centurioni si levasse la rigaglia, già diventata tributo, di farsi pagare da'soldatelli privati i risquitti dalle fatiche e da'lavori ; perchè i poveri per le tende , per le vie del campo si davano a rubare, assassinare, ad ogni gran fatica, ad ogni viltà ; per poter comperare il soldatesco riposo : il facoltoso era più crudamente angariato, per farlo uscire a comperarlo; onde misero e fiacco, di ricco e fiero, se ne tornava al padiglione: e così l'uno dopo l'altro, per povertà e licenza arrabbiati, precipitavano in discordie, sedizioni e guerre civili. Otone, per non si torre i Centurioni, largheggiando co' soldati, promise che il fisco farebbe ogn' anno quei pagamenti ; cosa utile e da principi buoni, sempre poi osservata per regola di milizia. In nome con-" fino in Isola Lacone lo Generale, e mandò innanzi Evocato ad ammazzarlo. Icelo fu giustiziato in pubblico per liberto.

XLVII. Alle sceleratezze di quel giorno già finito mancava questa del fare allegrezza. Il Pretor di Roma chiama il Senato ; il quale con gli altri magistrati fanno a chi più adula. I Padri corrono, decretano a Otone la podestà tribunesca , il nome di Augusto, e tutti gli onori de'principi ; sforzandosi tutti di non parer quei dessi, che dianzi tanti oltraggi li dissero, e così laidi: e niuno vide che gli rimanesser nell' animo. Se li perdonò o ripose , fu incerto per lo corto imperio. Esso ( ancor fumicando di sangue la piazza ), portato su per le morte cprpora in Campidoglio, indi in palagio, permise che elle fussero arse e sepolte. Pisone fu sepolto da Verania sua moglie e da Scriboniano suo fratello: il cadavero di T. Vinio, da Crispina sua figliuola, cercate e ricomperate le teste , di cui li ucciditori fecero incetta.

XLVIII. Pisone visse anni trentuno, buono più che felice. Gli furono ammazzati i fratelli, Magno da Claudio, Crasso da Nerone : fu bandito lungo tempo: adottato in caccia e'n furia: fu Cesare quattro dì : avanzò il fratel maggiore di questo, d' essere ammazzato prima. T. Vinio visse anni quaranzette , con costumi diversi. Fu suo padre di famiglia pretoria ; l'avol materno de'ribelli. Militò prima con infamia sotto Calviso Sabino Legato : la moglie vogliolosa di vedere come stesse il campo, entratavi di notte travestita da soldato e viste le sentinelle e gli altri ufici, ardì ancora nelle stesse principia romper vergogna: e Vinio ne fu reo: e fatto incatenare da C. Cesare; lasciato poi per li tempi mutati: corse per gli onori senza intoppo : fatto Pretore, dopo Tribuno d' una legione, si portò bene. Vituperossi poi col rubar, mangiando con Claudio un bicchier d'oro ; onde Claudio l' altro giorno fece lui solo servire in stoviglie di terra. Proconsolo nella Gallia Narbonese resse con severa bontà : tirandolo Y amicizia di Galba a rompere il collo, divenne audace, pronto, astuto e a sua posta buono e cattivo sommamente. Il testamento di Vinio non fu eseguito per le troppe ricchezze ; quel di Pisone sì fu per la povertà.

XLIX. Il corpo di Galba lasciato il dì in abbandono, poi per licenza della notte variamente schernito , Argio, schiavo suo favorito e dispensiere, ricoperse con poca terra nel suo orto privato; la testa da' saccomanni «difilzata e guasta : finalmente dinanzi al sepolcro di Patrobio liberto di Nerone, punito già da Galba, fu lo dì seguente trovata, e con l'altro suo corpo, già arso riposta. Tal fine fece Galba di settantatre anni: grande sotto cinqne principi; felice nell' imperio altrui, più che nel suo ; di famiglia nobile antica ; gran ricchezza ; ingegno mezzano ; più senza vizi che con virtù; amator di gloria, non di boria; di quel d'altri non cupido; del suo parco 5 del pubblico avaro : agli amici e liberti buoni, senza biasimo condonava ; a' contrari, ancor con sua colpa, chiudeva gli occhi. Lo splendore del suo sangue e la paura di que'tempi, fecer tenere la sua freddezza, prudenza. Nell' età vigorosa militò in Germania con gloria: resse l'Affrica Viceconsolo con modestia: più attempato la Spagna di qua, con pari giustizia. Parve mentre fu uomo privato , più che privato, e a tutti, all' imperio atto, se ei non l" avesse avuto.

L. Roma, spaventata d'Otone, per lo presente fatto atroce, e sbigottita per li suoi passati costumi, atterrì al nuovo avviso di Vitellio , eletto Imperadore in Germania, frodato innanzi alla morte di Galba , col far credere non v' esser altro , che abbottinato l'esercito di sopra. Caddero le braccia non pure ai Senatori e Cavalieri, che hanno qualche parte e cura della repubblica, ma a tutto il popojazzo; che due i più disonesti, dappochi e sciacquanti dell'universo^ si fussero scelli per fatto a disperdere questo imperio. Nè solo ricordavano gli «sempi freschi della sanguinosa pace, ma le antiche guerre civili; la tante volte presa Roma da'cittadini ; l'Italia deserta ; le. province saccheggiate; Farsaglia, Filippi, Perugia, Modana dolenti nomi di nostre sconfitte ; » esser ito quasi sozzopra il Mondo, quando dcla1rincipato contesero anche i buoni ; ma per le viuorie di Giulio e d' Augusto, l'imperio stette in piede : e sotto Pompeo e Bruto saria stata in piè la repubblica; ora correremo noi a'tempj ad empiamente pregare che vinca la guerra Otone o Vitellio, sapendo sol questo, che quel de' due che vincerà, sarà il più scelerato ? » Ebbevi chi pensò a Vespasiano, armato in Oriente, più atto di tutti ; ma una guerra in terzo e nuova mortalità, spaventava: e anche non era Vespasiano in buon concetto. Fu il primo che, fatto principe, migliorò.

LI. Ora dirò della mossa di Vitellio i principj e le cagioni. Ucciso Giulio Vindice con tutta sua gente, l' esercito, per sì ricca e agevol vittoria senza sangue , inferocito, voleva imprese e non ozio; premj e non paghe; avendo tollerato milizia lunga, magra e aspra, per lo cielo e sito, e severa per li ordini che nella pace non si' perdonano : nelle civili discordie vanno a monte; essendo chi corrompe , chi tradisce , senza pena da ogni banda. Gente, arme e cavalli gli avanzava per uso e per mostra ; ma innanzi a quella guerra ciascheduno esercito conosceva sue centurie , sue bande : distinguevangli le province Ov' eran posti alle frontiere : allora contro a Vindice si confusero; e avendo fatto sperienza di sè e dei Galli, cercavano uuove armi e risse ; e non li chiamavano più compagni, ma unnici e vinti ; e la parie de' Galli. abitante in su il Reno stata della stessa fazione, era contro ai GalLiani ( che così appellavano per dispregio la parte di Vindice), crudelissima aizzatrice. Fecero adunque i nostri assegnamento sopra i Sequani e gli Edui: di sforzar le loro migliori città, votar le case, guastar i contadi, per avarizia e. arroganza: difetti di chi più ne può: accaniti ancora da'Galli, che si vantavano che Galba a onta dell'esercito gli aveva sgravati del quarto del tributo , e fatto loro pubblico donativo; e da una voce, astutamente mandata e scioccamente creduta , che le legioni s'avevano a decimare e licenziare i Centurioni migliori. Atroci nuove comparivano da ogni banda; da Roma sinistre; era la colonia Lionese avversa, e nella fede a Nerone ostinata e camera di novelle, ma erano nelli stessi alloggiamenti le materie da farle credere e comporre; cioè odio, paura; e vedendosi gagliardissimi, sicurezza.

LII. Il passato anno ali' entrare di dicembre , A. Vitellio nella Germania di sotto, visitò gli alloggiamenti nostri con molta diligenza; a molti rendè i lor gradi, scancellò la vergogna, ad altri l'alleviò : le più cose per guadagnar favore, alcune per ragione; come nel mutare in tutto i carichi di milizia che per brutture e danari aveva Fonteio Capitone dati o tolti; nè eran prese le sue azioni come di Legato Consolare, ma più- Era da'savi stimato vile • da chi lo favoriva , detto cortese e buono; per dare senza misura ,-senza giudicio il suo, largir l'altrui; e per cupidigia di comandare, agli stessi vizj davano nome di virtù. Erano nell' uno e nell' altro esercito de'modcsti e quieti; de'm.alvagi e valenti. Avidi & temerari sopra modo erano i Legati Alieno Cecina e Fabio Valente ; costui nimico a Galba, statogli ingrato dell' avere scoperto il baloccar di Verginio e rotto i disegni a Capitone, stigava Vitellio all'imperio, mostrandogli l'ardore de'soldati, la sua gran fama : » Ordeonio Flacco vi conerebbe; Britannia bramarlo: seguiterienla i Germani aiuti; esser mal fedeli i vassalli; tener l'imperio un vecchio accattato per poclii di ; aprisse il grembo , andasse incontro alla vegnente fortuna. Cagion di dubitare aver ben avuto Verginio, nato Cavaliere , di padre non conosciuto, non atto a regger l'imperio, più sicuro a ricusarlo. Vitellio coronano di già tre consolati di suo padre, la censura, la compagnia di Cesare: e torgli il potere più vivere privato e sicuro. » Da tali ragioni dibattuto quel freddo animo , ne rimase con più voglia che speranza.

LUI. Cecina, l'altro Legato in Germania di sopra, bel giovane, grande di corpo, dismisurato d'animo, parlar presto, andare intero, innamorò i soldati. Galba a questo giovane, Questore nella Betica, tosto dichiaratosi dalla sua, diede carica d' una legione. Trovatosi poi, che egli aveva rubato il pubblico, il fe'citare. Cecina, per eclissar la vergogna sua nei danni pubblici, deliberò ingarbugliare ogni cosa; e non mancavano semi di discordie in quell' esercito , andato tutto contro a Vindice ; non tornato a Galba se non morto iNerone: non datogli il giuramento, se non dopo a quel della Germauia di sotto ; i Treviri e Lingoni e gli altri comuni, sbalorditi da Galba per atroci bandi o stremati confini, con le guarnigioni vicine discredendosi, facevano scandolosi discorsi: corrompevansi tra que' paesani i soldati , o voltavasi in Vergi alo il favor che doveva giovare ad ogni altro.

LIV. I Lungoni mandarono alle legioni Yusato dono delle due destre, antico segnale d'amicizia. Gli ambasciadori mesti e squallidi per le principia e peile tende, lamentandosi, era delle ingiurie loro, ora de' premi a' vicini ; e vedendosi uditi volentieri dei pericoli e scorni di quell'esercito stesso, accendevano gli animi. E stando per sollevarsi , Ordeonio Flacco comandò alli ambasciadori che andasser via , e di notte, per più celare lor partita. Nacque romore atroce che e' russero stati uccisi; e che, se non pensavano a'casi loro, lo stesso avverrebbe a'più coraggiosi e a chi dispiacevano i presenti mali. Dannosi fede segreta le legioni: aggiungonsi li aiuti, stati da principio sospetti di volerle circondare e tradire, poi dello stesso volere; accordandosi più i malvagi a far guerra, che a stare uniti in pace.

LV. Con tutto ciò le legioni di Germania di sotto, il primo di gennaio diedono giuramento solenne a Galba, le prime file molto adagio e con parole stentate , gli altri alla mutola: ciascuno aspettando che chi gli era allato rompesse la pazienza ; per la natura de' mortali di tosto eseguire quello che niuno vuol cominciare. Ma le stesse legioni erano diverse d' animi ; la prima e la quinta sì rabbiose, che alcuni tiraron sassi all' immagine di Galba. La quindicesima e la sedicesima non ardirono che fremere e minacciare, gualcandosi intorno, e cercando principio di sollevazione. Ma nell' esercito di sopra, la quarta e la diciottesima insieme alloggiate, il medesimo dì, primo di gennaio spezzano le immagini di Galba: la quarta a furia, l' altra adagio: poi d' ao cordo; e per non parere ribelle all'Imperio, giurarono l'ubbidienza a' nomi già spenti del Senato e popol romano ; niuno Legato , nè Tribuno per Galba contrastante; e alcuni facevano per quel tumulto maggiore schiamazzo, senza però aringare , non essendo ancora risoluti dove gittarsi.

LVI. Stavasi a maugiunte a contemplarli Ordeonio Flacco, Legato Consolare, senza opporsi alli infuriati, ritenere i dubbi, innanimire i buoni ; ma pigr0, spaurito , innocente , per dappocaggine. Quattro Centurioni della diciottesima , Nonio Recetto., Donazio Valente , Romilio Marcello , Calpurnio Repentino , volendo difender le immagini di Galba , furono con soldatesco empito rapiti e legati. Nè vi ebbe più fede, nè memoria del primo giuramento ; ma tutti, come si fa ne'tumulti, n'andaron co'più. La notte seguente alle calende di gennaio, l'Alfiere della legion quarta'porta nuova in Colonia Agrippina a Vitellio che mangiava, che le legioni quarta e diciottesima, abbattute le immagini di Galba, hanno giurato ubbidienza al Senato e popol romano. Parvegli tal giuramento vano; e doversi la fortuna vacillante incontrare e offerirsi Iroperadore. Mandò a dire alle legioni e Legati, come l'esercito di sopra s' era ribellato da Galba : e conveniva, volendo pace , combatterlo , o fare un altro Imperadore ; e potevasi con meno pericolo eleggere , che cercarne.

LVII. Lra la legion prima la più presso alloggiata e Fabio Valente lo più destro Legato. Costui il giorno seguente con la cavalleria di quella legione e delli aiuti, entrò in Colonia, e salutaron Vitellio Imperadore. L' altre legioni di sotto seguitaron a gara. L'esercito di sopra , lasciati li nomi pomposi del Senato e popol romano , a' tre di gennaio s' accostò a Yitellio : di qui si può vedere che capitale n' avrebbe due dì innanzi potuto far la repubblica. Pareggiavano l'ardore delli eserciti i Coloniesi, Treviri, Lingoni , offerendo fanti, cavalli, armi e danari, quanto potrebbe ciascuno con la vita, con le facultà e «con l'ingegno. Nè pure i primi delle colonie e delli eserciti , pieni ora di ricchezze e di grandi speranze nella vittoria ; ma ogni soldatello ancora , in vece di danari, presentavano a Vitellio lor viveri , cinture, arredi, anni ricche argentate ; per volontà, per impeto, per avarizia.

LVI1I. Egli lodata la prontezza de' soldati, distribuì a' Cavalieri gli uffici soliti darsi a' liberti : pagò del fisco'a' Centurioni i risquitti de' soldati : concedè loro molti domandati ai supplizj ; e parte ne sottrasse sotto spezie di incarcerarli. Pompeo Propinquo, procuratore della Belgica, fu subitamente morto : Giulio Burdone , Prefetto dell' armata germana, con arte levato all'esercito, invelenito della querela e poscia insidie poste a Fonteio Capitone , di cara memoria; e potevasi con quelli infuriati ammazzare liberamente, ma non perdonare, se non per inganno. Così Giulio tenuto in carcere , fu dopo la vittoria finalmente, straccata loro ira, lasciato, e dato come vittima Crispino Centurione, imbrattatosi del sangue di Capitone ; perù chiesto con maggior ressa, e dato con minor cura ;

LIX. e' levato dal pericolo Giulio civile, potentissimo tra i Batavi, per non si provocare col supplizio di lui quella feroce nazione, di cui erano nei Lingoni otto coorti, aiuti della legione quattordicesima, e da lei per le discordie di que' tempi part i tisi ; forze di gran momento ad averle contro o in làvore. Fece morire li detti quattro Centurioni, Nonio, Donazio, Romilio e Calpurnio, dannati per fede osservata a Galba; peccato gravissimo nelle ribellioni. Vennero da questa parte Valerio Asiatico , Legato della Belgica, il quale poi Vitellio si fe'genero; e Giunio Bleso governatore della Gallia Lionese, con la legione detta Italica e banda Taurina, attendatevi. Non tardarono a congiugnersi le forze che erano nella Rezia. Non dubitò Y esercito d'Inghilterra,

LX. governato da Trebellio Massimo, avuto per avarizia e sordidezza in dispregio e odio ; accrescevalo Roscio Celio Legato della legion ventesima, già poco d' accordo , poi per occasioni dell' armi civili, unnicissimi. Trebellio tassava Celio di sedizioso e guastatore de'buoni ordini; e Celio lui, dell' avere spogliate le povere legioni; e mentre bruttamente i Capi contendono, l'esercito insolentì; e a tal discordia venne, che i usino a'fanti e'cavalli d'aiuto s'uniron con Celio, scacciato e svillaneggiato Trebellio. Rimase la provincia , benchè senza Capo , quieta , retta da' Legati delle legioni , pari d' autorità ; ma Celio , per ardire più potente.

LXL Per l' acquisto dell' esercito d'Inghilterra , fattosi Vitellio grande e possente, destinò al far la guerra due cammini e due Capitani. Fabio Valente, il quale le Gallie facesse amiche, o, ricusando, guastasse : e per l'Alpi Coziane scendesse in Italia ; e Cecina più vicino passasse per li Monti Penini. Diede a Valente con l'aquila della legion quinta quarantamila tra fanti, e, cavalli dell' esercito di sotto ; a Cecina trentamila del di sopra; de'quali la legion ventunesima fu il nerbo; e a ciascuno ; aiuti germani 5 de' quali rifornì Vitellio ancora la sua gente, per venire appresso con tutto il pondo della guerra.

LXII. Maravigliosa fu la diversità tra l'esercito e l'Imperadore. Sollecitano i soldati, chieggono che si venga all' armi : » Ora che le Gallie tremano, le Spagne non si risolvono ; non impedisce il verno ; non vi è trattamento di pace ; assaltisi Italia, piglisi Roma ; le discordie civili voler prestezza ; fatti e non consigli. » Vitellio, per contro, dormiva: la grandezza del principato preveniva con infingarde morbidezze e prodighe cene; ubbriaco a mezzo di, pesante e grasso; e nondimeno l'ardore e la forza de' soldati faceva l'uficio del capitano, come vi fusse presente Imperadore, a fare animo o paura, ai valorosi o poltroni. Ordinati, e tutti pronti, chieggono il segno del marciare , aggiugnendo a Vitellio il nome di Gin-manico. Il titolo di Cesare non volle nè anche vincitore. Lo di che Fabio Valente mosse col suo esercito , un'aquila gli volò innanzi, adagio secondo quel passo, per lungo spazio ; quasi gli mostrasse il cammino, e quieta e sicura , con sì allegre grida de' soldati, che fu aguro certo di gran successo e di prospero.

LXIII. Entrarono tutti sicuri ne'Treveri, come collegati ; e benchè cortesemente ricevuti in Divoduro, terra de'Mediomatrici, presi da subita paura, si voltano con l'armi contro a quella terra innocente, non per volerla saccheggiare, ma per rabbioso furore , senza sapersi perchè ; perciò meno rimediabile : pure il capitano tanto pregò, che - non la distrussero; avendovi morto da quattromila persone ; e missono in (ìallia tanto spavento , che tutte le città, quando -, ««onctovonn, «l'i"-—'-""ann in pricissione co" ma gistrati ; e le donne , e i fanciulli prostrati raccomandandosi con tutti gli altri placamenti di nimica ira , per aver pace da chi non facea guerra.

LXIV. Fabio Valente ne' Leuci ebbe la nuova, come Galba era ucciso, e Otone Imperadore; i soldati senz' averne allegrezza o paura, pensavano a ogni modo alla guerra. A' Galli, fu tolto allora ogni dubbio. Otone e Vilellio parimente odiavano : ma Vitellio temevano. Venuti ne' Lingoni, più vicini e fedeli a lor parte, vi furono bene adagiati, ed essi altrettanto modesti. Ma poco durò l'allegrezza, per la fastidiosaggine di quelli aiuti batavi, partitisi dalla legione quattordicesima e ricevuti da Valente nel suo esercito, come detto è; i quali vennero co'legionari prima a parole, indi alle contese; favorendo chi questi chi quelli, s'azzuffavano tutti, se Valente col gastigo di pochi non ricordava a' Batavi l' ubbidienza. Cercossi occasione per attaccarla con gli Edui , se non porgevano tante armi e danari- ma essi vi aggiunsero vettovaglie in dono. Questo , che gli Edui per paura , fecero i Lionesi per allegrezza. Ma furo sgravati della legione italica e de'cavalli taurini; lasciatovi la solita guardia della coorte diciottesima. Manlio Valente , che comandava la detta italica, assai per Vitellio fece; e non fu aggradito; avendonegli Fabio de"tto ogni male in segreto; e per più ingannarlo, ogni bene in pubblico.

LXV. Aveva la passata guerra l'antiche izze tra Lionesi e Viennesi, raccese, per più danni fattisi; e maggiori che non avrieno per Nerone e Galba semplicemente. Galba incollerito co'Lionesi, confiscò loro tutte l'entrate; i Viennesi, per lo contrario, molto onorò; onde fu gara e invidia: e intr'arabi dal Suine, staccati, attaccato odio. Aizzavano a'Lionesi ogni soldato a distruggere i Viennesi , assediatori della colonia loro, aiutatori de'disegni di Vindice, ragunatori di nuova gente per difender Galba. Mostravano , dopo le cagioni dell' odio, la preda grande. Nè in segreto gli confortavano, ma gli pregavano in pubblico : » Andassono a gastigarli ; sperperassero quel nido di guerra gallica, fatto di stranieri tutti, nimici tutti. Sè esser colonia roraaua, parte dell' esercito , compagni al bene e al male. Non si lasciassono , in caso di rea fortuna , in bocca ai cani. »

LXVI. Con queste e simili parole, misero l'esercito in tanta rabbia , che i Legati e Capi di parte credettero non poterla spegnere. Il qual pericolo vedendo i Viennesi, con loro veli e sagre bende, ove i soldati passavano , gli addolcirono ; abbracciando loro armi e ginocchia e piedi ; e Valente donando fiorini sette e mezzo d' oro per uno. Allora l' antichità e degnità di quella colonia, e le parole di Fabio, raccomandante la salvezza de'Viennesi, valsero loro. Nondimeno al pubblico furon tolte l' armi ; e con private facoltà d'ogni sorta, rinfrescarono i soldati ; ma e' si disse pe# cosa certa che Valente fu comperato gran danaio. Di sempre mendico , subito arricchito, non coperse la mutata fortuna; le voglie accese per lungo patimento da giovane meschino, vecchio prodigo aon temperò. L'esercito marciò per li Allobrogi e Voconti a passo lento , mercatando il Generale bruttamente co' magistrati delle città e coi padroni de'campi, a un tanto per lo cammino scausato, per l'alloggiare risparmiato ; con tali minacce che a Luco , buona terra de' Voconti, accostò le fascine per arderla, se non veniva la moneta; e quando non ve n' era lo quietavano con dargli da sfogar sua

libidine. Così giunsero all' Alpi.

LXVIL Più preda e sangue fe' Cecina ; avendo provocato quell' animo travagliante gli Elvezi, gente gallica, già per armi e uomini, poi per le storie chiara; i quali non sapevan che fusse morto Galba; e non volevano ubbidire a Vitellio. Principio al combatter diede l'avarizia e la fretta della legion ventunesima che rubò certe paghe che gli Llvezi mandavano alle guardie d'una loro Fortezza. Di che sdegnati, ritennero un Centurione con alcuni soldati; intercette le lettere del germanico esercito alle legioni di Pannonia. Cecina bramoso di guerra, non dava lor tempo di pentirsi per gastigarli. Subito "mosse il campo ; diede il guasto al contado : saccheggiò quel luogo, per lunga pace fatto come una città , ameno e frequentato per salutiferi bagni. Mandò a dire alli aiuti retini , che dessero alle spalle agli Elvezi rivoltati contro alla legione.

LXVIII. Essi innanzi al pericolo feroci, in su 'l fatto codardi, se ben fecero nel principio lor Capo Claudio Severo, non conoscevano armi, nè ordini . nè eran d' accordo. Combattendo con pratichissimi, andavano al macello; pericoloso era l'assedio dentro a mura vecchie scassinate; di qua era Cecina con forte esercito, di là i Reti, fanti e cavalli, armigera e ben' istruita gioventù : sacco e sangue per tutto : onde essi così rinchiusi y confusi e parte feriti, fuggirono , gittate giù l'armi, al monte Vocezio. Cacciq,mcli una coorte di Traci mandatavi : Germani e Reti tenner lor dietro; e per le selve e tane ne tagliarono a pezzi molte migliaia, e molte vendero alla tromba: e ogni cosa spogliato, tirando alla; volta di Aveutico, loro metropoli, furon mandate e accettate le chiavi. Cecina uccise Giulio Alpino , come sommovitore della guerra; gli altri rimise alla discrezione di Vitellio.

LXIX. Non sarebbe agevole a dire se gli ambasciadori elvezi trovassero più invelenito l'Imperadore o i soldati ; che chiedendo lo sterminio di quella città, con le mani e con l'armi vanno in su'l viso alli ambasciatlori: e \ itellio raffibbiava parole e minacce ; ma Claudio Cosso, uno di essi , famoso dicitore , con accorta natura velando sua arte , però più creduto, mitigò i soldati; i quali, come fa il volgo, che tosto mutandosi, corre alla misericordia, quanto s'era versato nell'ira; con molte lagrime, e migliori e più costanti domande, ottennero a quella città mercede e salute.

LXX. Cecina trattenendosi negli Elvezi pochi giorni, per saper l’ animo di Vitellio e ordinarsi al passar l'Alpi, ebbe d'Italia buone nuove; i cavalli sillani in su'l Po aver dato il giuramento a Vitellio, che li comandò Viceconsolo in Affrica. Nerone avendoli fatti venire per mandare in Egitto, li ritenne per la guerra di Vindice; e allora essendo in Italia da' loro capitani persuasi che a Vitellio obbligati , non conoscevano Otone , e alzavano a cielo la fama del forte esercito di Germania che s'appressava, presero quella parte ; e tiraronvi, come per un presente al nuovo principe , Milano, Novara , Ivrea e Verzelli forti città de'paesi di là dal Po: queste n'avvisarono Cecina. E non potendo una banda di cavalli sola guardare tanto spazio d'Italia, avviò gli aiuti galli, portoghesi, inghilesi e germani; e con la banda dei cavalli petrini ristette alquanto a pensare , se voleva per la montagna di Rezia voltare in Norico contro a Petronio che v'era procuratore, che con chiamare aiuti e romper ponti a'fiumi, si mostrava fedele a Otone ; ma temendo non perdere lè forze avviate, e parendogli più gloria l'avere Italia, e che Norico, dovunque si combattesse , sarebbe con ogni cosa di chi vincesse, passò la gente leggiera e le legioni di grave armadura per le nevi ancor alte l'Alpe Penina.

LXXI. Otone intanto fuor d'ogni aspettazione non dormiva : messo da banda delizie agi e piaceri, faceva ogni cosa degna d'imperio ; tanto più facevan paura le sue virtù false e i vizi che tornerieno. Per darsi nome di clemente perdonando a un Grande. contrario a sua parte, si fe'venire in Campidoglio Mario Celso, eletto Consolo, levato già alla furia dei soldati, sotto ombra di carcerarlo. Celso arditamente confessò il delitto d' aver servito Galba con somma fede ; affermando che il medesimo avrebbe fatto per lui. Otone, come se non avesse bisogno di perdono, tosto lo ricevè tra gl'intimi, e'l fe'uno de"Capi della guerra per tor via ogni sospetto di finta riconciliazione ; e Celso anche a Otone mantenne, quasi per suo fato, fede intera e sventurata. Piacque a' Grandi la salute di Celso ; il popolo la celebrò: a'soldati , che quella virtù odiavano e ammiravano, non fu discara.

LXXII. Pari allegrezza per contrarie cagioni fu fatta, dall'impetrata rovina di Sofonio Tigellino, vilmente nato, disonesto fanciullo, vituperoso vecchio; il quale avendo acquistato la prefettura delle guardie di notte e del pretorio , e altri onori dovuti a virtù , per mezzo de' vizj , che è la più corta , esercitò da prima le crudeltà, poi l'avarizie e solenni sceleratezze ; indotto Nerone ad ogni ribalderia ; » molte ne fe' che non seppe ; al fine lo piantò e tradì ; onde ninno fu chiesto al supplizio con tanta rabbia, e dalli odiatori di Nerone e dalli amatori. Appresso Galba lo difese la potenza di Vinio, a cui salvò la figliuola, non per pietà. avendone tanti uccisi, ma per avere dove ricorrere : come fa ogni malvagio , che vedendosi venire addosso la piena dell'odio pubblico, si procaccia favor privato per fuggir pena , non colpa. Ma il popolo , per lo nuovo odio di Vinio rincappellato sovra il vecchio di Tigellino, tanto più ostinatamente il chiedea; correndo tutta Roma al palagio, alle piazze , al cerchio , ai teatri, ove ha più licenza. Là onde Tigellino a'bagni di Sessa avuto il comandamento di morire, tra le sue concubine , tra baci, e brutte dimore , segatasi con rasoio la gola, l'infame vita macchiò anche con tardo fine e con disonesto.

LXXI1I. Nel medesimo tempo Galvia Crispinilla , chiesta al supplizio, se n' uscì per varie gretole, con biasimo del principe, che chiuse gli occhi. Fu maestra delle libidini di Nerone ; passò in Affrica per istigare Clodio Macro a ribellione : cercò alla scoperta d' affamar Roma: di poi maritatasi a un Consolare , racquistò la grazia della città : sotto Galba , Otone e Vitellio fu sicura : rimase poi danarosa e senza reda ; cose che hanno forza a' tempi buoni e a' rei.

LXXlV. Otone in questo tempo mandava spesso lettere a Yitellio lusinghevoli, offerendogli danari, faAori, e vita larga e quieta, ovunque ei volesse ; il medesimo a lui faceva Vitellio : dolcemente da prima , e con brutta e «ciocca finzione dell'uno e dell'altro; poi vennero a mordersi e rinfacciarsi lor malvagità e brutture troppo vere. Otone richiamò gli ambasciadori che mandò Galba ne'due eserciti di Germania ; e sotto nome del Senato ne mandò altri a'medesimi e alla legione italica e alle forze tenute in Lione ; che rimasero con Vitellio sì volentieri, che non parvero ritenuti. I Pretoriani, mandati da Otone ad accompagnarli, quasi per onoranza, furono rimandati prima che praticassero co' legionari ; e Fabio Valente scrisse in nome del germano esercito a' soldati pretoriani e romani, magnificando le forze di quella parte ; offerendo pace ; biasimandoli del Voltaire a Otone l'imperio, già dato tanto innanzi a Vitellio. Così con minacce e promesse li tentò, che facendo guerra, sarieno inferiori; e nel far pace, niente perderieno. JNon cangiaron fede perciò i pretoriani.

LXXV. Mandaronsi ammazzatori , Otone in Germania, e Vitellio a Roma, indarno. Questi tra tanta moltitudine non furon osservati: gli Otoniani, visi nuovi , tra tutti conoscentisi, furon presi. Vitellio scrisse a Tiziano fratel d' Otone , che se non faceva riguardare sua madre e figliuoli , farebbe ammazzar lui e '1 figliuolo. L' una e l'altra casa fu salvata; da Otone forse per paura; da Vitellio vincitore, con sua gloria.

LXXVI. La prima speranza d' Otone fu l'avviso d'Illiria, che le legioni di Dalmazia, Pannonia e Mesia, gli avevan dato il giuramento; il medesimo venne di Spagna. € Invio Rufo ne fu lo'dato per bando; e tosto s'intese rivolta a Vitellio. Poco tenne fede l'Aquitania ; fatta giurare a Otone da Giulio Cordo. Nè fede nè amore era in luogo alcuno; voi-1 - lavagli qua e là nicistà e paura. Questa rivoltò la Provenza a Vitellio ; passandosi al più forte e vicino agevolmente. Le province lontane e tutte l'anni oltre mare, erano per Otone; non per amor suo, ma perchè quel nome di Roma e quell'ombra di Senato facevano un gran che; e già s'erano alle prime nuove acconci gli animi. A Otone fece giurare Vespasiano l'esercito di Giudea, Muoiano quello di Sona. A suo nome si teuevitno l' Egitto e tutte le province volte a Oriente , e l' Affrica , cominciatasi da Cartagine ; ove , senza aspettar ordine di Vipsanio Aproniano Viceconsolo, Crescente liberto di Nerone (che ne'mali tempi s' ingerì anch' egli nelle cose pubbliche ) per l" allegrezza di questo nuovo Imperadore , pasteggiò la plebe , che a furia fece l' altre dimostrazioni. Seguitarono Cartagine l'altre città. Stando iu questa guisa divisi gli eserciti e vassalli, a Vitellio per pigliar il possesso dell' imperio conveniva far guerra.

LXXV1I. Otone lo governava come in gran pace parte con degnita , parte abborracciando senza decoro , secondo che il tempo chiedea. Stette Consolo con Tiziano suo fratello, gennaio e febbraio: li due seguenti mesi concedette a Virginio ( per un poco addolcire il germano esercito), e a Poppeo Vopisco, come a suo amico vecchio; molti dicevano per onorare i Viennesi : e confermò Celio e Flavio Sabini destinati da Nerone per maggio e giugno : e Ario Antonino e Mario Celso, da Galba, per luglio e agosto ; nè Vitellio vincitore tolse loro tal dignità. Molti vecchi, già d' onor carichi , Otone colmò di pontefìcati, agurati ; e molti nobili giovani tornati d'esilio riconfortò, rendendo loro i sacerdozj antichi di lor famiglie. Fu renduto il grado di Senatori a Cadio Rufo, a Pcdio Bleso, a Sevio Pontino; per


I

eluto sotto Claudio e Neron e, per pubbliche storsioni. Piacque a chi perdonò , che quel che fu avarizia , cambiato nome, apparisse offesa maestà; perlo cui odio allora , le leggi anche buone perivano.

LXXVIII. Prese con simile larghezza gli animi delle eiltà e province. Ispali ed Emerita, colonie, rifornì di famiglie. Tutti i Lingoni fece cittadini romani : donò le città dei Mauri alla Provincia betica ; leggi nuove alla Gappadocia e all'Affrica • più per mostra che di durata ; cose allora necessarie e scusate. Nè in que' gran pensieri gli uscì del capo il ruzzo degli amori: e fece rimettere per decreto del Senato le statue a Poppea. E credesi che, per guadagnarsi il popolo, trattasse di celebrar la memoria di Nerone. E fu chi gli rimise le statue, e gridarono alcuni giorni il popolo e i soldati, Viva Nero.xe Otone • quasi raddoppiandoli novello splendore , peritossi a proibirlo e vergognossi d' accettarlo.

LXXIX. A questa guerra civile, si voltarono tutti gli animi ; e le cose di fuori si trascuravano ; onde novemila cavalli rossolani, gente sarmata, lo verno avanti ardirono, uccise due coorti, assaltarla Mesia con grandi speranze ; e per la ferocità e successo più intesi a rubare che a combattere ; onde la legion terza coi suoi aiuti, e con tutti gli ordini per combattere , gl'investì subitamente. Sparsi e senza pensiero, e. non potendo i cavalli carichi di fardelli per quelle vie sdrucciolanti correre , erano come pecore macellati , essendo gran cosa, che il tutto podere de' Sarmati sia , come dir , fuor di loro. A piede niente vagliono ; a cavallo una torma non la terrebbe un esercito • ma quel dì, essendo molliccio e didiacciato , le loro pertiche e spadoni a due mani fur di sutili ; tracollando i cavalli per lo peso degli uomini d' arme ( questi eran principi o signori coperti di piastre di ferro o duro cuoio da tutta botta, ma gettati per terra da urto di nimici, non si potevau rizzare ) ; o nella neve alta e tenera affogando ; là dove il soldato romano in corazza arrendevole , con dardi o lance , o alle mani con la spada leggieri 7 avventandosi forava lo ignudo Sarmata, che non usa scudo. Pochi avanzati alla battaglia si nascosero per le paludi; e vi periron per lo freddo e per le ferite. Quando queste cose si seppero in Roma , M. Aponio che reggeva la Mesia , ebbe la statua trionfale ; Fulvio Aurelio, Giuliano Tisio e Nimisio Lupo, Legati di legioni , le insegne Consolari ; rallegrandosi Otone e gloriandosi d' avere con sua felice guerra , e suoi capitani ed eserciti accresciuto lo Stato;

LXXX. quando da picciola cagione, onde meno s'aspettava, nacque sollevamento, che ebbe a rovinar la città. Otone ordinò che la coorte diciassette-, sima, tenuta in Ostia, venisse in Roma. Vario Crispino Tribuno pretoriano, che ebbe la cura d'armarla, per meno confusione , dormente il campo , all' una ora di notte aperse l'armeria e cominciò a caricare. L' ora fu a sospetto : la cagione presa per colpa ; e la procurata quiete levò rumore ; e vedute l'armi, venne voglia a quelli ubbriachi d' adoperarle. Sbuffano i soldati; chiamano traditori i Centurioni, come se armassero le famiglie de' Senatori contro a Otone; alcuni senza saper altro , scaldati dal vino . i peggiori per occasion di rubare , il volgo vago al solito d'innovare ; e non lasciava il buio ubbidire i migliori ; ammazzano un Tribuno, che alla sedizion sì opponeva e i più severi Centurioni; danno di piglio all' armi ; montano a cavallo , con le spaile ignude :

entrano in Roma , in palagio ,

LXXXI. ove Otone faceva nobil convito a principali donne e uomini, i quali andaron tutti sozzopra; non sapendo se ciò era proprio furor di soldati o tradimento d' Otone : se peggio lasciarsi pigliare o fuggire , or faceano il costante, or gli scopria la paura , e guardavanlo in viso. Esso, come fanno gli insospettiti , spaurito , impauriva : e temendo del pericolo de'Senatori, più che del suo, mandò Capi pretoriani a raddolcire i soldati : e licenziò incontanente il convito. Vedresti i graduati, gittate le insegne via, schifata ogni comitiva di schiavi e d'amici , vecchi e donne , di notte correre per le strade : pochi alle lor case; ma appiattarsi in quelle di lor amici e partigiani i più minuali.

LXXXTl. I soldati sforzano la porta del palagiocorrono all' apparecchio : domandano dove è Otone; fediscono Giulio Marziale Tribuno e Vitellio Saturnino Capo di legioni, paratisi avanti alla furia: tutto è arme e minacce a'Centurioni , a'Tribuni, a tutto'l Senato. Pazzi per sospetto e ciechi, non potendo aver collera con alcun particolare, la voleano sfogar con tutti. Otone, contro alla dignita dell'imperio, si rizzò in su'l letto, e con preghi e lagrime li raffrenò affatica ; e tornaronsi malvolentieri al campo , e non senza aver fatto del male. Lo dì vegnente, come fusse la città presa, erano serrate le case , le vie vote, la plebe mesta, i soldati guardavano in terra, pensierosi più che pentiti. Parlarono a ogni squadra Licinio Procolo e Plozio Firmo Prefetti ; ciascuno secondo sua natura , o brusco o dolce. La conchiusion fu, che si contasse fiorini centoventicinque per testa. All'ora Otonc s'ardì d'entrare in campo : Centurioni e Tribuni gli fanno cerchio ; e gittate loro armi in terra, chieggono riposo e salute. I soldati conobbero

l0 scandalo : e disposti a ubbidire , chiedevano essi gli autori della sollevazione al supplizio.

LXXXIII. Otone , benchè in tanto travaglio e diversità d'animo de'soldati, chiedenti i migliori il gastig0 di questa insolenza: e il volgo, e i più (come chi gode delle sedizioni e gareggiamenti dell' imperio ) stimolati per garbugli e rapine a guerra civile, stimando ancora non potersi un principato di mal acquisto, con subita modestia e antica gravità ritenere ; e dubitando d'un sacco in Roma, e del pericolo del Senato, finalmente così parlò: » Non vengo io, compagni miei, per accendere in voi affetto verso di me , nè coraggio a virtù , - che troppo vi abbondano ; ma per pregarvi che nell'uno e nell' altro vi moderiate. Moveste il passato tumulto, non per cupidigia o per odio ( che hanno messo molti eserciti in discordia ), nè per fuggire o temer pericoli, ma per bontà soverchia, meno considerata che pronta ; seguendo spesso a ottime cagioni , se non adopri il giudicio , pessimi effetti. Noi andiamo alla guerra . vuol' egli il dovere, o le occasioni che fuggono, che tutti gli avvisi si leggano, tutti i consigli si trattino in presenza di tutti ? E' così bene, i soldati non sapere alcune cose, come saperle. L'autorità dei Capi,

1l rigor degli ordini, vuole molte cose commettersi a'Tribuni e Centurioni in segreto. Se ogni fante ha da sapere il perchè, si perderà l'ubbidienza e l'imperio dietrole. Darassi per questo all' arme di mezza notte ? imbratterassi le mani uno o due sgraziati e briachi, nel saujue del suo Centurione e Tribuno / ( che più non credo inalberassero nel passato spavento ). Sforzerà il padiglione del suo Imperadore ì LXXXIV. Oh, voi il faceste per me. Si: ma quel soqquadro e buio , e confusion d? ogni cosa , poteva voltarsi contra di me. Che posson Vitellio e le sue lance chiedere a lingua più che mali animi e menti, e sedizioni e discordie tra noi ? che il soldato non ubbidisca al Centurione, nè questi al Tribuno: e tutti confusi, cavalli e fanti, precipitiamo. Ubbidienza, compagni miei, fa buon soldati, non cmiosità : e quello esercito nella prova è fortissimo, che innanzi alla prova sta quietissimo. Abbiate voi armi e cuore; lasciate a me il consiglio e'1 maneggio della vostra virtù. Pochi peccarono ; due ne punirò ; dimenticatevi tutti voi altri quella bruttissima notte. Niuno. esercito senta già mai quelle voci contro al Senato ; chiedere al gastigo il Capo dell' imperio, lo splendor di tutti i vassalli ? non l' ardirebbero que' Germani che Vitellio più che altri ci spigne contro ; e chiederanno i veri Italiani e la gioventù romana il sangue e la morte di quei venerandi, con la cui luce e gloria noi abbagliamo l' oscurità e l'infamia della parte vitelliana ? Vitellio ha qualche nazian dalla sua ; ha di esercito qualche immagine ; e noi abbiamo il Senato dal nostro ; che vuol dire che qui stila repubblica e colà i suoi nimici. Credete voi che questa bellissima città consista nelle case e tetta, e pietre ammassate? Queste non hanno sentimento nè anima: si guastano e racconciano: l'eternità dell'imperio , la pace del Mondo, la salute mia e vostra, pende da quella del Senato. Ei fu criato a buona stella del Padre e fondator della nostra città : da' Re a' principi sempre continuò ; rendiamolo anche noi, come ci fu consegnato, immortale; perchè di voi si fanno i Senatori, e de'Senatori i principi ».

LXXXV. Punse e addolcì questo accomodato parlare i soldati: e piacque la poca rigidezza del punirne due soli; e posaronsi per allora quei che non poteano esser frenati. Non era già riposo in Roma; ma strepito d'armi e faccia di guerra, perchè i soldati, benchè in pubblico niente movessero , con tutto ciò, sparsi per le case , travestiti codiavano tutti coloro che nobiltà, ricchezza o altro splendore , esponeva a' pericoli : e credevasi esservi gente di Vitellio a spiare gli animi de' partigiani ; onde ogni cosa era sospetta, insino alle segrete camere ; ma fuora, ad ogni nuova buona o ria, si cambiava animo e volto, per non mostrare , o dottanza o poca allegrezza. A mali partiti erano in Senato i Padri ; convenendo tacere e parlare con le seste; e l'adulare era troppo noto a Otone, stato pur or cortigiano. Variavansi adunque ne' pareri : e di qua e di là gli storcevano, chiamando Vitellio nimico e parricida. Chi più cervello aveva, ne diceva mali comuni ; chi meno i veri ; ma tra le grida però, e quando le voci di molti, o essi Padri con l' affoltarsi, nascondevano le parole.

LXXXVI. Spaventosi segni oltre a ciò erano rapportati. Cadute le briglie alla carretta ov' era la Vittoria all' entrare di Campidoglio : uscita della cappella di Giunone un' ombra d' uomo maggior che naturale : rivoltatasi di mezzo dì sereno e quieto , la statua del divin Giulio nell' isola del Tevere, da Ponente a Levante: un bue in Toscana aver favellato: più mostri natiT e altre ubbìe, osservate nei rozzi secoli ancor nella pace, oggi a pena vi si bada nelle paure. Portò bene danno presente e spavento di futuro , il subito allagamento del Tevere , che alzato a dismisura rovinò il ponte Sublicio: e per quella maceria tenendo in collo , cavalcò non pure i luoghi bassi e piani della città , ma i non più allagati ; molta gente colta allo scoperto , ne menò o affogò nelle caso e botteghe ; la plebe affamò; non trovando da vivere nè da lavorare ; I' acqua ferma intenerìo le fondamenta : scolando quella , rovinavan le case. Otone , come prima si rispirò dal pericolo , s' ordinò per partire alla guerra : e trovato, per cagioni di for* tuna o di natura , chiuso Campo Marzio e la via Flamina , onde doveva passare , fu preso per segno di futura rovina.

LXXXVII. Purgò con sagrificj la città: e fatto consiglio della guerra, perchè i Vitelliani tenevano l'Alpi Penine e Cozie, e gli altri passi in Gallia , deliberò assaltare la Gallia Narbonese con forte armata e fedele ; per aver fatti soldati legionari gli avanzati al macello di Pontemolle e tenuti in carcere da Galba, e promesso agli altri soldo più onorato. Rinforzò l'armata di coorti romane e de' più de' pretoriani, nerbo e fior di tutto l'esercito: alli stessi Capi guardia e consiglio. La cura dell' impresa diede a Antonio Novello, Svedio Clemente primopilari, e a Emilio Pacense, cui avea renduto il tribunato , toltogli da Galba : confidò l' armata ad Osco suo liberto, perchè'avesse l'occhio alla fedeltà dei principali ; la fanteria e cavalleria commise a Svetonio Paulino, Mario Celso, Annio GaUo- Sopra tutti confidò in Licinio Proculo Prefetto de'Pretoriani. Costui nella milizia di Roma yalente, alle guerre non pratico, col mordere ( che agevole è) l'autorità di Paulino, il vigore di Celso, la prudeuza di Gallo , maligno e astuto, scavallava j buoni e mpdesti. LXXXVltL Riposto fu in que' dì nella colonia di Aquino Cornelio Dolabella in prigionia nè stretta, nè dubbia; non per peccato alcuno, ma per essere id listra de' gran casati e parente di Galba. Menò seco Otone molti di Magistrato, gran parte de'Consolari, non per aiuti o ministri della guerra, ma sotto pre» testo di compagnia; tra gli altri L. Vitellio, stimato come gli altri , nè da fratello d'Imperadore , nè da nimico. In tanto sollevamento , ognuno era in pensiero e pericolo: vecchi, e nella lunga pace annigh itti ti i primi Senatori, infingardi e scordati di gnorIre i nobili, non soldati i cavalieri, più timidi , quanto meno si mostravano ; altri , per ambizioni sciocche spendevano in belle armi, nobili cavalli ; altri in grandi apparecchi di conviti , lascivi incitamenti y come questi fossero solenni stromenti da guerra. I «aggi bramavano pace e ben pubblico ; i leggeri e male accorti, gonfiavano di vana speranza: molti nella pace falliti, voleano garbuglio, nel pericolo godeano sicuri.

LXXXIX. La plebe e 'l popolo incapace" de' pensieri pubblici, per lor grandezza, cominciava a sentir i frutti della guerra; essendo ne' soldati colato tutto il danaio , rincarati i viveri: il movimento di Vindice distrusse meno : la città non corse pericolo; e la guerra fatta fuora tra le legioni e la Gallia fu, quasi forestiera; Dappoichè il divino Augusto fermò lo stato de' Cesari , il popol romano non fece guerre se non discosto a rischio e gloria d'un solo: sotto Tiberio e Caio si patì solo per la pace : Scriboniano contro a Claudio fu fuoco di paglia: Nerone fu cacciato con le grida anzi che con l' armi ; dove allotta le legioni s le armate, G quel che di rado avvenne, la guardia del principe e quella di Roma; si condussero a battaglie: il Levante e'l Ponente con loro forze a tergo , se avessero avuti altri Capi, erano materia da guerreggiare un gran pezzo. Avendo alcuno fatto scrupolo a Otone del partirsi prima che gli Ancili fussero riposti, non ne volle udir, nulla ; perchè la rovina di Nerone fu il baloccare) e Cecina già sceso dall'Alpi il cacciava.

XC. A' quattordici di marzo Otone raccomandò a' Padri la repubblica ; e fece a' ritornati da' confini di tutte le neronesche condennagioni ancor non pagate , dono giustissimo, in apparenza magnifico , in effetto magro . perchè i fiscali non le avevan lasciate freddare : chiamò a parlamento , e al cielo alzò la maestà di Roma , e l' unione del Senato e del popolo , nello eleggerlo ; della parte contraria parlò riserbato ; dicendoli ingannati , anzi che contumaci) senza nominar mai Vitellio , o per sua modestia, o pur non volle dirne male in quella diceria, per paura di sè Galerio Tracalo, che la compose; maneggiando le cose civili d' Otone , come Paulino e Celso le militari ; e fu riconosciuto lo stile per le molte cause difese, pien di parole e gran rumore, come piace al popolo. Levò il popolo grida e sconce laudi , solite, adulatrici e false; quasi per Cesare lo Dettatore o per Augusto lo Imperadore, facevano a gaia a mostrar affetto e divozione; non per paura, nè per amore, ma per un istinto servile, come avvien fra gli schiavi, che ciascuno ha il suo fine particolare , poco curando l ' onor del pubblico. Otone partì, lasciato Salvio Tiziano suo fratello al governo della città e dell' imperio.

FINE DEL LIBRO PRIMO.

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