< Sull'Atlante
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23. Il prezzo del tradimento
22. Sull'Atlante 24. L'attacco alla corriera

23.

IL PREZZO DEL TRADIMENTO


Una vecchia e pesante corriera, sostenuta da enormi molle che la facevano rullare e beccheggiare come in pieno mare, tirata da quattro bellissimi cavalli dalle criniere lunghissime, divorava le immense pianure del sud algerino.

La scortavano dodici spahis perfettamente equipaggiati e ben montati, mentre un tredicesimo cavalcava presso una delle due portiere, gridando senza posa:

— Sferza dunque, postiglione del malanno, per tutte le centomila code del diavolo zoppo! Si direbbe che anche tu sei alleato dei beduini, dei mori e dei Cabili.

Era Bassot, il feroce sergente dei bleds algerini.

Nell'interno della sgangherata e malsicura carcassa, stava seduto un uomo dai grandi baffi e dall'aria burbera. Teneva fra le labbra una pipa monumentale ma che pareva non volesse funzionare troppo bene, poiché ogni sbuffo di fumo era seguito da una salva di maledizioni contro i coltivatori di tabacco algerino.

Era questo il terribile maresciallo del bled, già rimessosi discretamente dal colpo di pugnale vibratogli dal Raggio dell'Atlante, però non tanto da poter affrontare un viaggio di tre o quattro giorni sul dorso d'un cavallo.

Fortunatamente, almeno in quell'epoca, le corriere non mancavano in Algeria, anzi la Francia aveva regalato tutte quelle che era riuscita a trovare nei suoi dipartimenti, sicché al maresciallo era riuscito facile sequestrarne una che faceva il servizio fra i diversi villaggi del sud algerino e tenersela a sua disposizione.

Diavolo! Gli algerini potevano ben aspettare la posta per cinque o sei giorni e starsene sotto le loro tende, invece di farsi tirare al galoppo di quattro buoni cavalli.

Da tre giorni la corriera, dall'alba al tramonto, correva con qualche breve fermata durante le ore più calde, attraverso quelle sconfinate pianure limitate dall'Atlante, senza aver potuto raggiungere il campo dei beduini.

Non doveva però essere ormai troppo lontano. Bassot, che aveva già percorso quei luoghi, lo aveva assicurato, e perciò il postiglione frustava senza compassione i poveri cavalli grondanti di sudore e coperti di schiuma.

Il sole stava per tramontare fra un oceano di fuoco, e le prime tenebre salivano da levante, invadendo a poco a poco il cielo. Qualche stella cominciava a brillare di già, quando Bassot, che cavalcava sempre presso la portiera di destra della corriera, mandò un grido di allegrezza.

— Maresciallo, — disse — distinguo le colonne di fumo degli accampamenti.

— Era ora, corpo d'una balena! — gridò il baffuto comandante, sbuffando come una foca e tergendosi il sudore che gli inondava il viso. — Sono tre giorni che sto qui dentro a cucinare come una povera pagnotta abbandonata in un forno. Demonio sagrato! Quei due birbanti mi pagheranno anche questo viaggio, se il tuo beduino non li ha lasciati scappare.

— State pur tranquillo, che quell'animale non sarà stato così stupido da lasciarsi scappare dalle mani persone che valgono zecchini sonanti.

— Purché non aumenti le pretese ora! So quanto sono insaziabili quei beduini.

— Allora, mio maresciallo, caricheremo con le sciabole alzate quel branco di banditi e lo cacceremo sull'Atlante. Ribot ha dodici uomini; noi ne abbiamo altrettanti, mentre il capo-carovana non ne ha che una trentina. Voi sapete che dodici spahis non hanno mai avuto paura di lanciarsi alla carica anche contro dei grossi stormi di cavalieri arabi.

— Lo so, lo so; tuttavia preferirei accomodare i miei affari senza storpiare braccia o spaccare teste. Ehi, postiglione dell'inferno, spingi dunque le tue rózze! Sono diventate delle lumache, ora che siamo già sul posto?

Il maresciallo calunniava i quattro cavalli poiché, sebbene fossero sfiniti, trottavano ancora abbastanza rapidamente, imprimendo alla corriera delle scosse così spaventose, da temere che da un momento all'altro quel baraccone si sfasciasse.

I due accampamenti erano ormai vicini. Si distinguevano nettamente i fuochi che ardevano intorno alle vaste tende dei beduini, e quelle che fiammeggiavano presso quelle piccole degli spahis.

— Ohe, Bassot — disse il maresciallo dopo qualche minuto di silenzio. — Fa' segnalare il nostro arrivo.

Uno spahi della scorta imboccò la tromba e lanciò alcuni squilli. Un momento dopo, un'altra tromba rispondeva dal campo di Ribot.

— Quei bravi giovanotti non si sono lasciati spaventare da quelle canaglie — disse il maresciallo. — Stasera avranno doppia razione di tabacco e di grappa. Allunga, postiglione! Dormi di già?

Il pesante veicolo superò finalmente, senza sgangherarsi, l'ultima pianura, e si arrestò dinanzi all'accampamento degli spahis, i quali avevano salutati i camerati con fragorosi evviva.

Ribot aveva subito compreso che cosa poteva contenere la corriera.

— Deve essere lui! — aveva esclamato, comprimendosi con una mano il cuore. — Ecco la fine!

Si avvicinò alla portiera e l'aprì, dicendo con voce un po' tremante:

— Buona sera, maresciallo. Non speravo di vedervi giungere così presto.

— Ah! Ribot! — esclamò il comandante, battendogli sulle spalle. — Sei tu, mio bravo? Tu meriteresti un premio per il servizio straordinario che hai prestato. Un altro filetto d'argento non starà male sopra i gradi, e m'incarico di fartelo avere io dal capitano che giungerà da Costantina fra una dozzina di giorni.

— Troppo buono, maresciallo — rispose Ribot, mentre Bassot invece faceva udire una specie di grugnito.

— Hai veduto i prigionieri? — riprese il maresciallo.

— Il beduino si è rifiutato ostinatamente di mostrarmeli. Anche ieri mattina avevo tentato di entrare nel campo, ed ho trovato tutti quei banditi in armi, pronti a respingermi con la forza.

— Come! — urlò il baffuto comandante prendendo una posa tragica. — Quel mandrillo si è rifiutato di ricevere un sott'ufficiale francese? Corpo di Bacco baccone! Ci sono io, ora, e tengo sottomano abbastanza forze per mandare all'aria lui, i suoi banditi, le sue tende ed i suoi cammelli. Manda qualcuno ad avvertirlo che io l'aspetto, e voi, intanto, giovanotti, preparate la cena perché ho una fame da lupi, e devo rimettermi al più presto del sangue che ho perduto. Nella cassa della corriera vi sono provviste in quantità, ed anche un bel numero di bottiglie che noi vuoteremo prima di domani mattina. Questa sarà una notte di allegria.

Gli spahis, lietissimi del buon umore del terribile maresciallo, alzarono altre dodici tende da campo, ed accesero nuovi fuochi onde preparare la cena.

Stavano mettendo sul fuoco dei quarti di montone discretamente puzzolenti, quando le sentinelle diedero l'allarme.

Il beduino aveva lasciato il suo accampamento seguito dal suo luogotenente, e da una scorta di sei banditi e s'avanzava verso l'accampamento degli spahis. Il maresciallo lo ricevette subito sulla sella d'un cavallo e con la sua monumentale pipa in bocca, sempre ostinata a non funzionare come avrebbe dovuto.

— Salute, maresciallo — disse il beduino facendo un inchino ed aprendo il suo mantellone, forse per far vedere che nella cintura era contenuto un vero arsenale. — Vuoi essere mio ospite?

— Sto meglio qui, fra i miei fedeli spahis — rispose il baffuto comandante, piantandogli gli occhi addosso e salutandolo con un semplice cenno della mano. — Sono sempre nel tuo accampamento i prigionieri?

— Sì, maresciallo.

— Voglio vederli!

— Adagio, signor mio: tu non mi hai ancora versato il premio pattuito.

— Triplice asino! Per chi mi prendi tu? Se l'ho promesso vuol dire che l'ho portato con me, brutto avvoltoio.

El-Madar non aveva badato alle offese. Aveva lanciato, invece, intorno a sé uno sguardo d'inquietudine, contando rapidamente gli spahis che stavano affaccendati a preparare la cena.

— Si cerca di tendermi un agguato, frangi? — chiese poi. — Perché hai condotto con te tanti uomini? Non bastavano quelli che erano già qui?

— Corpo d'una balena! — urlò il maresciallo soffiando in viso al beduino una nuvola di fumo, la prima veramente che usciva dalla sua pipa monumentale.

— Che cosa importa a te che io abbia con me dieci o cinquanta spahis, quando sono venuto a pagare il tuo tradimento? Tagliamo corto, amico, perché io domattina intendo ripartire pel bled. Quanti sono i prigionieri?

— Tre: due frangi ed una donna mora.

— Farai condurre la mora sotto una tenda perché io debbo parlarle.

— Prima...

— Lo so: il premio, vecchio avvoltoio diffidente. Bassot, porta qui la mia valigia.

Il sergente che assisteva al colloquio, divertendosi un mondo, si cacciò nella sgangherata corriera e prese una vecchia valigia di pelle gialla che doveva aver fatta perfino la campagna del Messico, a giudicarla dal suo stato miserando.

Il maresciallo se la cacciò fra le gambe, l'aprì, e tolse una grossa borsa facendola saltare, con una certa compiacenza, da una mano all'altra.

— Conta, vecchio avvoltoio! — disse poi scaraventandola addosso a El-Madar. — Ti avverto però, che se tu mi dirai che manca un solo zecchino, ti farò tagliare gli orecchi e condurre al bled come un bandito pericoloso.

Le pezze d'oro passarono tre volte attraverso le dita adunche del rapace figlio del deserto.

— Hai finito? — chiese il maresciallo, che si divertiva ad affumicarlo.

— Sì, frangi.

— Allora i prigionieri sono miei.

— Quando vorrai, mandali a prendere.

— Lasciali nel tuo campo fino a domattina, perché dopo cena verrò a vederli e farai condurre, come già ti ho detto, la fanciulla in una tenda isolata.

— Come vuoi, frangi.

— Ti avverto però, che i miei spahis questa notte sorveglieranno il tuo campo. Non si sa mai quello che può succedere. Ora vattene, e lasciami cenare in pace. Bassot, siamo a buon punto col montone?

— Non aspetta che voi, maresciallo.

— Hai levato dalla cassa delle bottiglie?

— Tutte quelle che ho trovate.

— Le vuoteremo ai begli occhi del Raggio dell'Atlante e del suo colpo di pugnale. Ah! Birbona! Il giuoco però è finito in mio favore, e non mi lagno di quanto è accaduto.

Gli spahis avevano stesa, presso un falò, una tenda da campo, coprendola di ampie foglie di palmizio, destinate a servire da piatto.

Il maresciallo che godeva un appetito invidiabile, specialmente dopo quella cavata di sangue, non tardò a dare l'ordine dell'attacco, il quale fu così abilmente condotto da quei bravi spahis, che dopo dieci minuti non rimanevano che pochi ossami dei quarti d'agnello sapientemente arrostiti dal postiglione, ch'era un moro.

Seguirono prosciutti, salati e formaggi pure terribilmente salati, e frutta in abbondanza, poiché il degno maresciallo si era ben provvisto al bled per festeggiare con un banchetto la presa dei due fuggiaschi e soprattutto la cattura di Afza.

— Ora, all'assalto della Casbah d'Algeri — disse il comandante indicando il gruppo di bottiglie. — Mi permetto il lusso di offrirvi del Bordeaux e del Borgogna. Ciascuno corra alla carica anche senza baionetta in canna.

Quel secondo assalto fu più meravigliosamente condotto del primo. Gli spahis, messi di buon umore, facevano saltare con le sciabole il collo alle bottiglie, e finché vi era dentro una goccia non staccavano le labbra.

Quel Bordeaux, come tutto quello che si smercia nell'interno dell'Algeria, poteva gareggiare coi migliori aceti, però gli spahis non erano uomini da badare a simili inezie.

Il maresciallo, la cui allegria aumentava, avendo serbato per sé il Borgogna che sapeva essere il migliore, aveva fatto portare alcune bottiglie di assenzio per finire degnamente la festicciuola, quando El-Madar si presentò nuovamente dicendo:

— La fanciulla è nella tenda.

Il baffuto comandante si era alzato con un'agilità incredibile per una persona così massiccia e pesante, diventando prima pallido come un cadavere, poi rosso come la cresta d'un gallo.

— È sola? — chiese.

— Sola.

— Camerati, vuotate pure queste bottiglie e poi circondate il campo di questo beduino.

Con le mani si spazzolò la polvere che copriva la sua divisa, si torse e ritorse i baffi sbuffando come una foca, si mise il berretto sulle ventiquattro, e dopo di aver salutato i suoi soldati con un largo gesto della mano, seguì il beduino il quale questa volta era venuto senza scorta.

— Fammi vedere prima i prigionieri — disse a El-Madar. — Desidererei però che per ora non mi vedessero. Che cosa fanno?

— Sembrano due bestie feroci.

— E perché? Ti sei permesso forse di maltrattarli?

— No, frangi, anzi avevo fatto servire a loro una cena più copiosa del solito e l'hanno scaraventata sul viso delle sentinelle. Sono diventati idrofobi dopo che io mi sono impadronito con la forza della fanciulla.

— Ah! Capisco! — disse il maresciallo. — Sarà allora meglio che li veda domattina, quando li farò caricare sulla corriera ben legati, mani e piedi. Guidami dalla fanciulla.

Entrarono nell'accampamento passando fra le numerose tende rizzate fra i cammelli, i mahari, i cavalli e le balle di mercanzia.

Pareva che ad una delle estremità fosse scoppiata una violentissima rissa; poiché si udivano bestemmie, urla, minacce pronunciate in lingua araba ed in lingua francese.

— Senti? — chiese El-Madar al maresciallo.

— Sono i miei prigionieri, non è vero?

— Dovresti levarmeli dai piedi e portarteli al tuo campo.

— Domani — rispose il maresciallo. — Ora ho altro da fare.

— Come vuoi, frangi.

— È legata la donna?

— E me lo domandi? Quella è una piccola jena che io non vorrei avere per moglie.

— Ed io, invece, sì — disse il maresciallo.

— Questione di gusti — rispose il beduino crollando il capo.

Erano giunti dinanzi ad un'ampia tenda di feltro bruno, illuminata discretamente da una lampadina di rame ad olio.

Dinanzi vegliavano due beduini di aspetto feroce.

— Entra, frangi, — disse El-Madar con un sorriso un po' malizioso, — e cerca di domare quella piccola jena. Bada che ha denti ed unghie.

— La conosco — rispose il maresciallo.

— Devo fare ritirare le sentinelle?

— Non mi sono necessarie per ora, quindi puoi mandarle a riposarsi.

— Buona fortuna, frangi.

Il maresciallo attese che i tre beduini si fossero allontanati, e poi entrò nella tenda.

Afza stava legata al palo centrale, mezzo coricata.

Vedendo entrare il comandante del bled, ebbe uno scatto così violento da far oscillar tutta la tenda. I suoi grandi occhi neri, pieni di minaccia, si erano fissati su di lui, ferocemente.

— Non mi aspettavi, non è vero, Afza? — chiese il maresciallo prendendo una posa tragica. — Che cosa vuoi, fanciulla mia? Qualche volta i morti tornano dal mondo di là.

— Eppure il colpo l'avevo misurato giusto — rispose freddamente Afza senza guardarlo in viso.

— Le tue mani sono troppo piccole per adoprare i pugnali, fanciulla mia. Non ti serbo però alcun rancore di quello che hai fatto, quantunque quella pugnalata avrebbe potuto costarmi la vita, perché io mi ero condotto verso di te come un vero bruto.

Afza aveva alzato il capo, fissandolo con un certo stupore.

Il maresciallo si guardò intorno, ed avendo scorto in un angolo una balla di tessuti, la portò di fronte alla giovane donna sedendovisi sopra.

— Discorriamo, piccina mia — disse torcendosi i giganteschi baffi. — Mi preme dirti innanzi tutto che io non vengo come nemico, bensì come un buon amico.

— Ah! — fece semplicemente Afza.

— Sì, perché anche dopo quel colpo di pugnale, il mio cuore non ha mai cessato di battere per te.

— Mentre io, vedi, frangi, avrei odiato intensamente la donna che avesse cercato di sopprimermi.

— Io non ho sangue moro nelle vene — rispose il maresciallo con molto sussiego. — Io sono un francese.

— Che cosa vuoi dunque da me? — chiese il Raggio dell'Atlante.

— Fare di te la mia donna.

— E se io non ti amassi?

— Ah! È sempre l'altro che tu ami, quel maledetto conte che vorrei vedere fatto a pezzi! — gridò il maresciallo furioso.

— E se così fosse? — chiese Afza colla sua solita voce pacata.

— Corpo di una balena! Saprei odiarti!

— Anche non avendo nelle tue vene sangue arabo? — chiese la giovane con voce beffarda.

Il maresciallo imbarazzato a dare una risposta, si era alzato mettendosi a passeggiare nervosamente per la tenda. Non sapendo con chi prendersela, scagliava pedate alle balle di mercanzia accumulate negli angoli, disperdendole in tutte le direzioni.

Calmatosi un po', riprese il suo posto di fronte ad Afza, che conservava la sua calma meravigliosa.

— Perché ami quell'uomo? — le chiese.

— Perché mi ha salvata la vita.

— Bell'affare! Io te la salverei non una, bensì dieci, cento volte.

— Finora però tu non mi hai dato nessuna prova del tuo amore.

— Ventre di foca! Vorresti che io andassi ora a cercarti qualche leone fra le foreste dell'Atlante per deporlo ai tuoi piedi? Queste more sono delle strane creature!

— Dammi allora qualche altra prova.

— Non hai che da parlare.

— Metti in libertà i due prigionieri.

Il maresciallo aveva fatto un soprassalto.

— Hai detto? — chiese.

— Di lasciarli andare.

— Ma tu sei pazza. Quei bricconi ormai appartengono al Consiglio di guerra, ed io spero che fra quindici giorni non se ne parlerà più.

Afza era diventata spaventosamente pallida, ed un sordo singhiozzo, a malapena frenato, le uscì dalle labbra.

— Che cosa credevi tu, che si conducessero al bled per far loro assaggiare semplicemente qualche mese di cella di rigore? — riprese il maresciallo. — Hanno una ribellione ed una fuga sul loro conto ed altre gravi circostanze ed il Consiglio di guerra non è mai stato tenero coi disciplinari, i quali, in fondo non sono che dei pessimi soldati che bisogna, in un modo od in un altro, togliere dalla Legione.

— Lasciali andare — ripetè Afza con voce lamentosa.

— E dopo? Non sai che perderei i miei galloni di maresciallo e che passerei anch'io sotto il Consiglio?

— Darai la colpa ai beduini.

— Io non tratto di questi affari, bella mia!

— Allora io non sarò mai tua.

— Adagio, fanciulla mia: pare che tu ti sia scordata che hai un buon conto da regolare colla giustizia francese.

— Quale?

— Ventre di foca! Il colpo di pugnale che mi hai dato. Ti manderanno ai lavori forzati, se non ti fucileranno.

— Ebbene, mi fucilino coi prigionieri — disse Afza.

— È questo che io non voglio. Se tu vuoi sfuggire all'una o all'altra pena, non hai che una sola scappatoia: diventare mia moglie.

— Lascia prima andare i prigionieri — ripetè per la terza volta la giovane donna.

— No, mai!

— Ed io non diverrò mai tua moglie.

— Saprò costringerti, ostinata ragazza! — gridò il maresciallo che cominciava ad esaltarsi. — Infine, non sei che una miserabile mora, ed io ti faccio troppo onore ad abbassarmi fino a te.

— E come farai ad obbligarmi?

— Impiegherò tutti i mezzi, anche la forza, se sarà necessaria.

— Allora ti dirò, frangi, — disse Afza scattando — che io sono la sposa del conte.

Un fulmine che fosse scoppiato sotto la tenda non avrebbe prodotto maggior effetto sul maresciallo.

Era balzato in piedi coi lineamenti alterati, gli occhi schizzanti dalle orbite, il volto congestionato.

— Tu sposata! — gridò. — Ah! Miserabile! E da tanti mesi forse mi hai giuocato!

— Sposami ora — disse il Raggio dell'Atlante.

Il maresciallo era rimasto a bocca aperta, incapace di pronunciare una parola.

— Sposami ora — ripetè Afza.

La risposta fu una scarica di bestemmie.

— Siete perduti tutti! — urlò finalmente il maresciallo. — Tuo marito fucilato e tu ai lavori forzati per aver tentato di assassinare un graduato! Ventre di balena! Non m'aspettavo una simile sorpresa! Birbanti! Ingannare me, un maresciallo, in questo modo! Se prima ti amavo, ora ti odio, Afza. Domani ti condurrò al bled insieme a tuo marito, e vedrai come il Consiglio mi vendicherà. Ci rivedremo domani, piccola jena dell'Atlante!

Il maresciallo uscì bestemmiando in arabo ed in francese e tornò al suo accampamento più furioso che mai, e col cervello pieno di progetti di terribili vendette.

Bassot stava bevendo allegramente insieme ai due caporali delle scorte, ridendo alle spalle del maresciallo.

Quando lo vide giungere come una bomba, sbuffante, trafelato, capì subito che qualche cosa di grave doveva essere accaduto.

— Pare che la fanciulla non vi abbia accolto troppo bene, non è vero, maresciallo? — gli chiese con una leggera punta d'ironia.

— Quale fanciulla! — gridò il comandante, dandosi due poderosi pugni sulla testa.

— Afza...

— È la moglie del conte.

— Ciò si sussurrava da un pezzo al bled.

— E tu, triplice imbecille, non me lo hai detto?

— Io non avevo prestato fede a quelle voci. Figuratevi se non ve l'avrei detto se avessi avuto qualche prova. E così?

— Che il diavolo si porti alla malora tutte le donne more! È la seconda che amo, ed è la seconda che mi spezza il cuore.

— Ve ne sono dell'altre, caro maresciallo.

— Non belle come Afza.

— Le cercheremo insieme. Orsù, maresciallo, date un colpo a questa bottiglia di Borgogna. Vi consolerete.

Il maresciallo mandò un sospirone che veniva proprio dal fondo del cuore e si sedette accanto a Bassot, attendendo che spuntasse l'alba.

Quella notte nessuno dormì nei due campi. Gli spahis temendo sempre una qualche sorpresa da parte di El-Madar, avevano surrogato le sue guardie intorno alle due tende dove si trovavano sempre legati il conte ed Enrico da una parte e Afza dall'altra.

I beduini non parevano occuparsi più dei fuggitivi, dopo che avevano intascato il premio. Affrettavano invece i loro preparativi di partenza, caricando mahari e cammelli e smontando le tende, per raggiungere al più presto l'Atlante prima che scoppiasse qualche brutta bufera da parte dei Cabili o dei Senussi.

Quando il sole sorse, la carovana era pronta alla partenza. El-Madar si recò a salutare il maresciallo poi fece sfilare dinanzi all'accampamento degli spahis i suoi cammelli ed i suoi mahari ben carichi, allontanandosi frettolosamente verso il sud.

Nell'accampamento non erano rimasti che i tre prigionieri, legati intorno a dei pali e guardati strettamente da una mezza dozzina di soldati.

Il maresciallo che durante tutta la notte non aveva fatto altro che bere insieme a Bassot, a Ribot ed ai due caporali, diede l'ordine di attaccare i cavalli alla corriera e di togliere le tende.

Anche lui, ormai, aveva fretta di vendicarsi.

Quando si vide condurre dinanzi il conte ed Enrico, la sua collera fino allora trattenuta, scoppiò col fragore di una tempesta.

— Canaglie! Furfanti! Vi ho finalmente presi! Avanzi di galera! Credevate di farmela voi! Vivaddio! Corpo d'un cannone! Vedrete come vi accomoderà tutti il Consiglio di guerra! Paff! Una buona scarica nei fossati di Orano o di Costantina e di voi non si saprà più nulla. Altro che rivedere i tuoi Carpazi, conte, ed il tuo Danubio! Qui lascerai la tua pelle come ve la lascerà, spero, anche tua moglie che ti ha aiutato a fuggire, piantandomi per di più un pugnale nel cuore!

— Avete finito, maresciallo? — chiese Enrico. — Mi sembrate compar Tempesta. Ah! Ma voi non l'avete certamente conosciuto, perché non siete mai stato a Livorno.

— Sta zitto avvocato bocciato! — urlò il comandante tendendo minacciosamente i pugni verso il toscano. — Vedremo come saprai difenderti davanti al Consiglio, brutto spilungone! È vero che hai sempre avuto la lingua lunga...

— Se volete che cominci davanti a voi la mia difesa, sono pronto a darvene un saggio — rispose Enrico. — E comincerò dal dire che quell'asino di maresciallo...

— Che cos'hai detto?

— Asino, mi pare... voleva rubare la moglie al conte Michele Cernazé.

— Ah! Brutta scimmia rossa! Tu dirai questo?

— Certo — rispose il toscano. — Ed il Raggio dell'Atlante dirà se questo sia o no vero.

— Basta, canaglia! Cacciatemi nella corriera questo miserabile!

— Lesti, caricate le pecore — disse Enrico. — Il maresciallo ha fretta di condurci al macello e di assaggiare, da buon antropofago, che ha civilizzati i Kanaki della Nuova Caledonia, i nostri cosciotti.

Gli spahis che frenavano a stento le risa, cacciarono il conte, Afza ed il toscano dentro la corriera, mentre il maresciallo saliva a cassetta a fianco del postiglione indigeno, continuando a sagramentare.

— Siamo pronti? — chiese Bassot alle due scorte.

— Pronti — risposero gli spahis, che si erano disposti su due file.

— Partiamo — gridò il maresciallo. — Tu, Ribot, prendi il comando della scorta di destra e tu, Bassot, quella di sinistra. Viaggeremo come piccioni viaggiatori.

La corriera si mise in corsa, fiancheggiata dagli spahis, che ridevano e chiassavano.

Solo Ribot appariva immensamente abbattuto e così distratto, da non rispondere alle domande del caporale che gli cavalcava presso.

Egli si chiedeva continuamente con angoscia perché Hassi non accorreva in aiuto di sua figlia, che idolatrava più del Profeta e di suo genero. Che cosa aspettava adunque? L'avevano abbandonato i Senussi ed anche i Cabili nonostante la presenza del marabuto?

E la corriera intanto, trascinata dai suoi quattro cavalli ben riposati, si allontanava ad ogni istante dall'Atlante che segnava la libertà per avvicinarsi al bled, dove la morte inesorabilmente attendeva, se non Afza, certamente i due legionari.

La corriera aveva percorso qualche chilometro, attraversando pianure sempre deserte e cosparse solamente da magri cespugli, quando si udirono in lontananza rimbombare parecchie scariche di fucile.

— Ferma! — aveva gridato subito il maresciallo, alzandosi in piedi per abbracciare maggior orizzonte. — Che i beduini di El-Madar siano stati assaliti da qualche banda di Cabili?

Una nuvola densissima di polvere si alzava verso il sud, in direzione dell'Atlante, sollevata probabilmente da un numero considerevole di cavalli, e dentro quella continuavano a rintronare spari su spari misti a urla di guerra.

— Bassot — disse il maresciallo. — Vedi nulla tu?

— Un polverone, e null'altro.

— E tu, Ribot?

— Non vedo di meglio.

— Vivaddio! Io rappresento qui l'autorità e non permetterò che si compia, così presso a me, su territorio francese, un atto di brigantaggio.

— Lasciate che quei banditi si distruggano fra di loro, maresciallo — disse Bassot.

— E la legge dove andrebbe a finire? Deve ben rimanere sempre al più forte ed i più forti siamo noi. Ribot, prendi sei uomini ed un trombettiere e va' a vedere che cosa succede laggiù. Appena quei briganti della montagna vedranno i nostri cavalleggeri caricare con la sciabola in pugno scapperanno come lepri. Se oppongono resistenza suona la carica, e ti manderò tutta la mia gente. Ventre di balena! Io non tollero dei disordini, commessi sotto i miei occhi. Oh! Che non sono un maresciallo? Parti, Ribot, mentre noi avanzeremo lentamente.

Il sergente, a cui il cuore si era allargato ad una grande speranza, indicò col dito i sette spahis che dovevano accompagnarlo, e partì gridando:

— Al galoppo!

Una vera battaglia doveva essersi impegnata dinanzi alle gole dell'Atlante fra i beduini e dei montanari calati dalla foresta.

Le fucilate e le grida continuavano, ed in lontananza si vedevano scappare, con velocità fulminea, dei mahari, privi dei loro cavalieri.

Non si poteva distinguere però nulla perché, come abbiamo detto, una gigantesca nube di polvere avvolgeva i combattenti.

I sette spahis, curvi sulle selle, colle sciabole sguainate, ben fermi sulle staffe e colle briglie raccolte, precipitavano la corsa, preceduti dal sergente.

La corriera intanto continuava la sua marcia al passo, verso il settentrione. Il maresciallo aveva troppa fiducia sull'effetto che dovevano produrre le divise dei suoi soldati dinanzi agli occhi dei briganti della montagna.

In meno di venti minuti i sette cavalleggeri ed il loro sergente attraversarono, con una corsa sfrenata, la distanza, e si cacciarono dentro il polverone nel momento che alcuni beduini fuggivano all'impazzata in tutte le direzioni.

A terra vi erano molti uomini e molti cammelli, i quali si dibattevano, fra le ultime strette dell'agonia, fra le balle di merci staccatesi dalle selle.

Una cinquantina di uomini, montati su bellissimi cavalli, con lunghe cappe bianche, rigate all'estremità di rosso, ed infioccate, stavano eseguendo in quel momento una furiosa fantasia, in mezzo al campo di battaglia.

Due uomini li capitanavano, due uomini che Ribot riconobbe subito: erano Hassi-el-Biac ed il marabuto.

Vedendo giungere quel gruppo di spahis colle sciabole sguainate, pronte a caricare, i cavalieri dell'Atlante interruppero bruscamente la loro fantasia, disponendosi su due linee.

— Risparmiate il sergente! — gridò Hassi. — Fuoco sugli altri!

Venti o trenta colpi di fucile rimbombarono, formando quasi una sola detonazione ed i sette spahis caddero fulminati gli uni sugli altri, insieme ai loro animali.

Solo Ribot era rimasto miracolosamente incolume fra tanta grandine di palle.

— Ah! Che cos'hai fatto, Hassi! — gridò il sergente, lanciando uno sguardo disperato sui suoi camerati.

— Mi difendo, amico — gli rispose il moro.

Poi, volgendosi verso i suoi Cabili, continuò:

— Che quattro di voi custodiscano quest'uomo e non lo lascino fino al mio ritorno. Le vostre teste risponderanno della sua vita. Addio, sergente, ci rivedremo presto! Ho scorto la corriera e mi metto in caccia portando con me la testa di quel cane di El-Madar. Alla carica, figli dell'Atlante! Salvate mia figlia!

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