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Genova, li 16 vendemmiale anno 5 (7 Ottobre 1796)
LV - Al General Bonaparte.
Lo stato in cui qui si trovano le cose, mio Generale, e la situazione general dei nostri affari mi determinano a scrivervi un’altra volta, sulla misura progettata, rapporto a Genova. Avrete forse di già fatto le riflessioni, che sono ora per farvi: se la cosa va così, siamo già d’accordo sui nostri resultati. Abbiamo sofferto dei disastri in Alemagna, e questi rovesci hanno disgraziatamente avuto in Italia un effetto morale che equivale ad una diminuzione reale delle nostre forze. Di più si sa che la nostra armata non è numerosa; e tale bisognerebbe che fosse per guardare cento trenta leghe di paese, quando Mantova resiste ancora, quando i Barbetti ci organizzano una Vandea Italiana, quando Roma predica le crociate, e ritiene il resto della contribuzione che deve, quando i successi dell’Arciduca possono permetterli di far discendere una terza armata nel Tirolo. I Collegj indovinano presso a poco ciò che noi vogliamo. Nel momento in cui vi scrivo, sono riuniti; e stanno in guardia contro una sorpresa. Jer l’altro sera hanno fatto rinforzare i posti avanzati dello Sperone e del Diamante sulla gran muraglia. La guardia della porta della Lanterna ha ordine di essere continuamente sotto l’armi, i cannoni che la difendono sono muniti dei loro cannonieri, e delle lor munizioni. Voi dunque non gli sorprenderete, poichè aspettano un avvenimento. Essi non lo temono assolutamente perchè conoscono i mezzi che voi potete adoprare contro loro, e quei che vi possono opporre. Eglino tenteranno far resistenza, ma è un poco troppo in questo momento. Essi son forti per la circostanza medesima, per la quale al contrario voi siete deboli. L’artiglieria francese di S. Pier d’Arena è in loro potere, e voi non avete da supplirvi. Si eccita di già il popolo; gli si farà credere fra quaranta otto ore che i Francesi meditano un tradimento. Questo si dichiarerà contro di voi. Sapendo io che non si lasceranno impaurire da una prima proposizione, devo avvisarvene, e lo devo alla vostra gloria e sopratutto (ciò che ci serve di regola comune) al bene della Repubblica che noi serviamo. In questo stato di cose, allorchè noi sappiamo, come vi ho mandato a dire, che il ministro delle relazioni estere tratta da per sè l’affare di Genova con lo Spinola; allorchè ho informato il Direttorio della maniera vigorosa con la quale il Governo genovese ha chiuso i suoi porti agl’Inglesi, prevenendolo che vi scriva e pregandolo a rispondermi; allorchè infine il decreto del 29 messidoro, ha tre mesi di data, e che tanti avvenimenti importanti sono in seguito accaduti, dobbiamo noi forse tentare un’impresa cotanto azzardata, senza nuovi ordini espressi, e formali? La mia opinione, Generale, è per la negativa. Così devo pensare, poichè, vista la disposizione degli spiriti a Genova, e vista l’impotenza in cui vi trovate di salvare la vostra artiglieria, non posso dissimularmi che questa intrapresa sarà senza effetto.
Il Cittadino Lacheze, che vi invio, vi darà su tal proposito degli schiarimenti importanti, che mi posso risparmiare nella presente lettera. Non vi parlerò delle difficoltà dei trasporti, e degli approcci che di già la stagione moltiplica, e che voi avrete potuto contare per nulla, nella ipotesi di un esito istantaneo, che io ancora, sei giorni sono, supponeva possibile, ma che non lo è più. Se persistete, nel medesimo tempo vi troverete da dovere assediare Genova e Mantova. Credo dunque indispensabile, mio Generale, di mutar piano. E’ meglio, profittando dell’agitazione nella quale si trovano i Collegj, tentare di ottenere successivamente alcuni punti interessanti, che volere tutto ottenere, e perder tutto ad un tratto. Finalmente il Direttorio, o il ministro degli affari esteri risponderà, e noi sapremo ciò che sarà stato concluso coll’inviato Spinola.
Poussielgue sarà forse partito quando riceverete la mia lettera; ma siccome Lacheze sarà forse tornato in sessanta ore, nulla farò prima del suo ritorno. Io non sono timido di mia natura, mio caro Generale, e voi sapete, che desidero, più che tutt’altro, che la Francia ottenga da Genova tutti i risarcimenti che gli sono dovuti; ma ho creduto di render servigio alla Repubblica, e non vi avrei dimostrato la confidenza, ed attaccamento che voi meritate da me, se non vi avessi scritto questa lettera nella situazione in cui mi trovo. Voi conoscete i miei sentimenti verso di voi, che tali saranno fino alla morte.
Faipoult.