< Supplemento alla Storia d'Italia
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LXVII - Bonaparte dichiara bugiarda la nota speditagli dal Provveditore di Venezia, accenna la condotta perfida di questa Repubblica, e minaccia vendetta
LXVI LXVIII



Parigi, li 28 frimale anno 5 (8 Decembre 1796)


LXVII - Al Provveditor Generale della Repubblica di Venezia.


Io non ho ravvisato, Signore, nella nota che mi avete fatta pervenire, la condotta delle truppe Francesi sul territorio della Repubblica di Venezia, ma piuttosto quella delle truppe di S. Maestà l’Imperatore, che per tutto dove sono passate, hanno commesso degli orrori che fanno fremere. Lo stile di cinque pagine sulle sei, che formano la nota che vi hanno invitata da Verona, è d’un cattivo scolare di rettorica, cui è stato dato per tesi di fare un’amplificazione. Eh Dio buono! Signor Provveditore, le disgrazie inseparabili da un paese che è il teatro della guerra, cagionate dall’urto delle passioni, e degl’interessi, sono di già sì grandi e sì affliggenti per l’umanità che non merita il conto, vi accerto, di centuplicarle, e di mescolarvi dei racconti di fate, se non redatti con malizia, almeno estremamente ridicoli. Io do una mentita formale a chi oserà dire, che vi è stata negli stati di Venezia una sola donna violata dalle truppe Francesi. Non si direbbe alla lettura della nota ridicola che mi è stata inviata, che tutte le proprietà sono state disperse, che nel Veronese, e nel Bresciano non esiste più una chiesa, e una donna inviolata? La città di Verona, quella di Brescia, quella di Vicenza, quella di Bassano, in una parola tutta la Terra-ferma dello Stato di Venezia, soffrono molto da questa lunga lotta: ma chi n’ha colpa? Un Governo egoista, che concentra nell’isole di Venezia tutta la sua sollecitudine, e le sue premure, sacrifica i suoi interessi ai suo pregiudizj, e alla sua passione, e il bene della nazione veneziana intera alle ciarle di qualche combriccola. Senza dubbio se il Senato fosse stato mosso dall’interesse del ben pubblico, si sarebbe accorto che era venuto il momento di serrare per sempre il suo territorio alle armate indisciplinate dell’Austria, e così proteggere i suoi sudditi, e allontanarli per sempre dal teatro della guerra.

Ci si minaccia che si faranno sorgere dei tumulti, e che si faranno sollevare le città contro l’armata francese: i popoli di Vicenza, e di Bassano sanno a chi debbono attribuire le disgrazie della guerra, e distinguono la nostra condotta da quella dell’armate austriache. Mi sembra che siamo sfidati. Siete voi forse in questo procedere autorizzato dal vostro Governo? La Repubblica di Venezia vuole anche ella dichiararsi contro noi? Già so che la più tenera sollecitudine la ha animata a favor dell’armata del Generale Alvinzi: viveri, soccorsi, danari, tutto gli è stato prodigato; ma, grazie al coraggio dei miei soldati ed al prevedimento del Governo francese, io so premunirmi e contro la perfidia, e contro i nemici dichiarati dalla Repubblica francese. L’armata francese rispetterà le proprietà, i costumi, e la Religione, ma guai agli uomini scellerati che volessero suscitarle nuovi nemici. Senza dubbio per la loro influenza seguono assassinamenti tutti i giorni sul territorio di Bergamo, e di Brescia; ma poiché vi sono degli uomini che non sono commossi dalle disgrazie che la loro condotta potrebbe attirare sulla Terra-ferma; sappiano che noi abbiamo degli eserciti. È certo che nel momento in cui il Governo francese ha generosamente accordato la pace al Re di Napoli, in cui ha ristretto i legami che l’uniscono alla Repubblica di Genova, ed al Re Sardo, non si potrà accusarlo di cercare de’ nuovi nemici; ma quelli, che vorranno disprezzare la sua potenza, assassinare i suoi cittadini, e minacciare le sue armate, saranno vittime delle loro perfidie, e confusi dalla possanza della medesima armata che, fino a questo momento, e senza rinforzi, ha trionfato dei nemici più grandi.

Vi prego del rimanente, Sig. Provveditore, di credere, per ciò che vi concerne personalmente, ai sentimenti di stima ec.

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