< Supplemento alla Storia d'Italia
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XCIX - Sulkowski da conto più minuto al Generalissimo degli avvenimenti anarchici di Venezia, e del come vi si sia ripristinato l'ordine
XCVIII C



Venezia, 28 Fiorile anno 5 (17 Aprile 1797)


XCIX - Al Generalissimo.


Noi dobbiamo la resa di Venezia meno al concorso delle circostanze che allo slancio dello spirito rivoluzionario: questo germe prezioso fu il principio de’ nostri successi paralizzando i mezzi de’ nostri nemici. La posizione locale di questa città le offriva risorse formidabili: essa poteva farci resistenza, ed il tempo portando a maturità le riconciliazioni politiche, lasciava pur anco ai nobili la speranza di conservare la loro potenza. Ma il terrore, che ispirò loro il vostro sdegno, unito al sentimento immediato delle privazioni occasionate dal sequestro de’ loro beni, abbattè il loro spirito snervato: essi non badarono più che a simulare, ed a tradire; credettero potervi ingannare per via di parole, e che una rivoluzione, la quale lasciasse ad essi tutto il potere, basterebbe per allontanar da Venezia i disastri di un saccheggio, o di un blocco. Dietro questo principio appunto il gran Consiglio prese la risoluzione bizzarra di dimettersi dal suo potere promettendo la democrazia. Questa sola parola bastò per perdergli. Essi credettero aver fatto tutto arrestando i tre Inquisitori, ma la maggiorità degli abitanti non ne fu contenta; i Veneziani conobbero il pericolo in cui era la città, la debolezza de’ nobili, ed i loro timori: si formò ben tosto un opinione pubblica; dal momento che si ardì di parlare, vi furono delle unioni, ed i patriotti si aggrupparono subito che si conobbero. Il Governo spaventato de’ progressi rapidi dello spirito rivoluzionario, si pentì de’ passi fatti, e credè di arrestarne l’effetto con la perfidia. Egli concepì il progetto il fare immolare dal popolo stesso coloro che l’opinione pubblica designava membri della Municipalità. I nobili speravano, che gli orrori della licenza avrebbero disgustati i cittadini dabbene dal desiderio della libertà. Il giorno 23 l’anarchia si organizza. Alcuni Schiavoni seguiti da’ banditi, facendosi precedere da una bandiera veneziana, compariscono innanzi al palazzo. Viva S. Marco è il lor grido di riunione, e giurano di esterminare i loro nemici; la folla si accresce, e tre in quattro mila individui armati si spandono per la città: le case proscritte eran designate, essi le saccheggiano sino al punto che in alcuna di esse non si vede neanche il vestigio di un solo mobile. Fortunatamente l’avidità toglieva a questi uomini l’audacia di tentare un assassinio. Se si fosse sparso del sangue, i soldati, ed i nobili si sarebbero posti alla loro testa; ma l’esaltazione di questa canaglia essendo svanita in ruberie, non vi fu un sol’uomo di qualità che osasse mettersi dal loro canto.

La vista di un pericolo comune riunì gli animi: gli abitanti di tutti gli ordini si armano, ed il Governo che erasi ricusato d’impiegar la forza per reprimere gli anarchismi, non ardì farne uso contro i cittadini. I nobili, in questa crisi, lusingandosi di sventar la tempesta, e far cessare un tumulto, le conseguenze di cui più non sembravano favorevoli, opinarono dover dare un capo agli abitanti; essi scelsero per questo impiego un uomo che avevano costantemente perseguitato. Questo è il General Salimbeni, vecchio rispettabile, che ha sessant’anni; è ancor pieno di fuoco, e di vigore: quest’ultimo tratto fu la sua rovina. Quest’uomo scelse sotto i suoi ordini, e riunì tutti i patriotti; dissipò la banda de’ saccheggiatori, e s’impadronì de’ posti principali. Gli Schiavoni più ostinati vollero tentare un colpo di mano sul ponte di Rialto, luogo che può esser riguardato come il centro di Venezia. Salimbeni ne aveva confidato la custodia ad un officiale Maltese, e ad un centinajo di patriotti: gli Schiavoni si avvicinano, fanno una scarica, e questa gioventù senza esperienza prende la fuga: il Maltese rimane, e con una rara intrepidità con la sciabola alla mano piomba addosso agli Schiavoni: due volte il suo ferro si spezza, due volte si arma a spese degli assalitori: ne uccide cinque, ne ferisce due, e fa retrocedere il resto. A questa vista i patriotti riprendon coraggio, ritornano, per un istante si azzuffano, il cannone tira, gli Schiavoni sono mitragliati, e questa prima impressione del successo, che decide delle sommosse popolari, è in favore de’ Veneziani. Il giorno di poi gli Schiavoni, vedendo tutti gli abitanti armati contro di essi, evacuano la città; saccheggiano in modo spaventevole i villaggi del Lido, e di Malamocco, e carichi di bottino prendono il cammino di Zara col loro capo Morosini.

Circostanze tanto imperiose fecero perdere tutto il credito al partito del Governo. I nobili, vedendosi nel pericolo di esser consegnati ai Francesi dai Repubblicani, vollero farsene un merito presso di noi. L’Ammiraglio Condulmer fu il primo a parlar di capitolazione, e non potendo decidere il General Baraguay d’Hilliers ad entrar solo in Venezia, gli offre le sue scialuppe per trasportar le nostre truppe; ma tutte queste dimostrazioni eran finite: i nobili cercavano di riconoscersi per prendere un partito. Condulmer, imbarazzato della parte che aveva rappresentata, parlava ora come un semplice cittadino desideroso di allontanarsi dagli affari, ora come capo della squadra: egli si studiava a ritenere i nostri officiali ne’ lor posti, e non faceva preparativo alcuno per riceverci, sino al punto che al nostro arrivo non si trovò persona, che avesse curato di preparare un alloggio né pel Generale, né per le truppe: in fine mentre egli domandava quattromila uomini, appena i legni da imbarco che spedì, potevano contenerne mille e cinquecento. Questi ritardi nascondevano trame di perfidia: sei scialuppe cannoniere chiudevano le imboccature della Zuecca; esse erano equipaggiate da que’ di Rovigo, i quali si eran ricusati di ricevere guarnigione italiana, ed eran d’intelligenza con gli operaj dell’arsenale divoti intieramente ai nobili. Sotto il pretesto de’ venti contrarj, si fece ritornare un bastimento carico di Schiavoni: tutto era pronto per un colpo di mano, quando noi con la nostra celerità determinammo la fortuna in nostro favore. Il General Baraguay, il quale valutava bene il prezzo de’ momenti, risolve d’impadronirsi di Venezia la stessa notte, che ricevè i vostri ordini: organizzò lo sbarco in un momento in cui niuno se l’attendeva. Si occuparon le imboccature di Lido, e di Malamocco, la piazza di San Marco, le isole, e il ponte di Rialto: tutto ciò fu fatto col favor delle tenebre, e i Veneziani, svegliandosi, trovarono i Francesi nel mezzo della città.

Al levarsi del Sole il General Baraguay vi fece la sua entrata: vennero al nostro rincontro sette barche piene di patriotti, avendo il Maltese alla lor testa; egli aveva fin dalla notte occupata la piazza di San Marco con 400 dei suoi, come pure altri luoghi diversi; la gioja di questi individui era viva, e parlante; essa faceva contrasto con l’aspetto tristo della città.

Da quel momento regna ancora in Venezia la calma dello stupore che siegue i grandi avvenimenti; un solo è il partito che vi si mostra, e si pronunzia: ecco perchè le notizie che potrei raccogliere non sarebbero molto interessanti; ma tra pochi giorni spero darvene delle più esatte. Avrò il tempo di gettare un colpo d’occhio su la difesa della città, su la sua posizione, e su le sue forze marittime; cercherò anche di scernere i chiari oscuri che offrirà l’opinion pubblica, e di raccogliere delle note sugli individui distinti, o colpevoli. Finito questo lavoro, ve ne spedirò il sommario, e mi affretterò a raggiungervi.

Sulkowski.

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