< Supplemento alla Storia d'Italia
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XLII - Lallement invia a Bonaparte la copia della nota presentata al Senato di Venezia intorno all'armamento di questa Repubblica, riferisce la conversazione avuta con M. Pesaro, e vi aggiunge le sue considerazioni
XLI XLIII



Venezia, 8 termidoro anno 4 (26 Luglio 1796)


XLII - Al Generalissimo Bonaparte.


Jeri ebbi col Sig. Pesaro una conferenza, della quale credo dovervi dar parte sollecitamente. Noi avevamo da trattare di alcuni affari particolari; ma egli fu premuroso d’intrattenermi sopra di un soggetto che sembravagli molto più importante. Era questo il timor grave da lui e dai principali membri del Collegio concetto di veder ben presto la Repubblica di Venezia in guerra con noi. Egli mi disse, che secondo le novelle che ricevute aveva da Verona, voi avevate manifestato assai chiaramente l’intenzione d’intimargliela; avevate dimostrato a quegli che fa le veci di Provveditor generale l’animo vostro sommamente disgustato contro Venezia: fattogli richieste, alle quali era impossibile sodisfar sull’istante, e nondimeno minacciato avevate di trattar da nemici i Veneziani, se non ottenevate tosto ciò che da voi chiedevasi; che d’altronde erasi incominciato in varj luoghi, a far uso di un gran rigore verso i privati, e che finalmente voi avevate espressamente annunziato, che se Venezia non deponeva le armi entro un brevissimo termine, le intimereste effettivamente la guerra.

Dopo avermi esposto in tal modo le cagioni de’ suoi timori, entrò in assai lunghe particolarità giustificative; mi rappresentò che da poi che l’esercito francese era entrato negli Stati di Venezia, il suo governo erasi fatto, come egli diceva, un dovere ed un piacere di condiscendere ai vostri ordinamenti ed alle vostre richieste; e se di più non aveva fatto, ciò era da apporsi al mancar di mezzi, o alla necessità in che si trovava di evitare di compromettersi in faccia alle altre potenze belligeranti, dalle quali nondimeno riceveva di continuo vivissimi rimproveri: che noi potevamo, è vero, aver avuto ragion di dolerci dei sentimenti, non meno che del procedere di diversi privati, ma che il Governo di Venezia aveva confidato che rivolgendo la nostra attenzione alla condotta da esso tenuta, noi non avremmo giudicato dei suoi principj e de’ suoi disegni dal contegno indiscreto da sconsigliati propositi di alcuni individui eccitati contro di noi da antichi pregiudizj, dal sentimento di mali momentanei che trovansi necessariamente a soffrire, e più ancora dagl’intrighi di una turba di malvagj, che a null’altro intendono se non a fare entrar Venezia in discordia con la Francia, e punirla così della sua resistenza al congiungersi colla lega; che d’altronde questo stesso governo non ometteva nulla di tutto ciò che far poteva senza pericolo, onde mutare l’opinione a nostro riguardo; reprimeva la licenza dei nostri nemici; aveva eziandio incominciato e proseguiva ad allontanare a poco a poco gli ardenti, vale a dire gli emigrati; e che tali precauzioni avevano già prodotto dei buoni effetti; che, quanto all’armamento che sembrava dare occasione alle vostre diffidenze, non altri motivi nel suo incominciare aveva avuto se non quelli esposti nella risposta data in iscritto dal Senato; che se altri ne sono sopravvenuti, che obbligano il governo a continuare in questi apparati di difesa (quali sono tali che dissipar debbono ogni nostro sospetto), poichè muovono essi da gravi minacce fatte a Venezia e dall’Inghilterra e dalla Russia, la verità delle esposte ragioni è dimostrata dalla natura e dalla direzione di tali preparamenti, i quali troppo d’altronde sono deboli perchè si debbano riguardare come conseguenza di un disegno ostile contro la Francia; che niuna spiacevole induzione trar noi dobbiamo neppure dalle contribuzioni straordinarie, che il governo ha imposte; poichè in ciò il suo scopo è stato meno quello di provvedere al suo guarnimento, che di porsi in grado di sodisfare alle nostre richieste, che finalmente il Senato credeva aver dimostrato, in ogni maniera, la sincerità e la costanza delle sue protestazioni di amicizia verso la Francia, e che in conseguenza le disposizioni contrarie che voi oggi manifestavate, erano a coloro che ne aveano contezza, cagione e di amarezza e di stupore.

Tale in sostanza è stato il discorso del Signor Pesaro; ed io, non avendo alcuna istruzione concernente ai fatti allegati, e su i quali fondava egli i suoi timori, non potei dargli una risposta molto precisa; credei bensì dovere, in un modo, o nell’altro, calmare le sue inquietudini, al qual’effetto mi valsi di riflessioni generali, che inutile sarebbe di ripetervi. Certo è che io non giunsi ad acchetarlo intieramente; mi riuscì solo di renderlo un po’ più tranquillo, e nel resto parvemi che egli si avvisasse doversi sopra ogni altra cosa cercare di appagarvi e di evitare ogni rottura con la Francia. Parvemi parimente lui credere che tale pur fosse l’opinione de’ suoi principali colleghi, e che tale sarebbe ancora la risoluzione del Senato, cui non potevasi, egli mi disse, omettere di partecipare nella prossima adunanza di giovedì, le notizie avute da Verona.

Del resto, cittadino Generale, parmi assolutamente necessario nelle attuali circostanze, di esporvi ciò che io so delle disposizioni del nostro proprio governo, e ciò che giudicar posso di quelle del governo di Venezia. Permettete dunque che io entri in qualche particolare a questo proposito. Primieramente io vedo dalle lettere che ricevo dal Ministro, che il Direttorio esecutivo sembra confidare sulla neutralità della Repubblica veneta, ed esserne anche sodisfatto, poiché m’impone di far che in essa si perseveri; mi pare di più che egli pensi ancora a formare tra le due nazioni più stretti vincoli, e quest’oggetto è già stato materia di varj dispacci. L’ultimo che io ho ricevuto, sabbato scorso, insiste particolarmente su questo punto: voi potete giudicarne dal seguente paragrafo, che io vi trascrivo: «E’ tempo che la Repubblica di Venezia esca e finalmente dalla lunga inerzia in cui si giace sin dalla pace di Passarowizt, e che riprenda tra i potentati quel posto che occupava avanti il 1718: la Francia le ne offre oggi l’occasione ed i mezzi. Venezia può ingrandire il suo territorio, acquistar piazze che consolidino la sua potenza, e che serviranno a fermare tra le due Repubbliche un patto federativo fondato sopra i reciproci loro interessi.» D’altronde mi s’impone d’impegnare i Veneziani a spedire un negoziatore a Parigi.

Secondariamente è verissimo che il Governo veneziano ha mostrato somma avversione alla nostra rivoluzione; è verissimo che ne’ suoi Stati si è contro dì essa altamente inveito; che molti individui francesi sono stati sottoposti a rigorosi processi; che l’odio contro di noi vi è stato con molta cura eccitato, e fomentato; e che la maggior parte delle teste, non escluse quelle di molti ragguardevoli personaggi, sono state esaltate, e traviate dal fanatismo religioso.

È pur verissimo, che questo istesso governo, avvezzo da lungo tempo a tremare dinanzi a quello dell’Austria, si è assoggettato, più che non dovea, alla sua influenza, ed ha intanto avuto più riguardi per esso e meno per noi, in quanto che gli antichi suoi pregiudizi gli facevano attendere tutt’altra cosa che i nostri successi. Ma in questo momento non è meno vero che sincere sono le sue protestazioni di neutralità e di buona amicizia verso la Francia; che le male impressioni facendo luogo finalmente alla considerazione de’ suoi veri interessi, desidera lealmente veder rotto quel giogo austriaco a lui ed a tutta Italia gravissimo. Non è per verità da sperare che lo si possa indurre ad ajutarsi con le proprie mani, troppi essendo ancora i timori e troppi i pregiudizj in molti degli spiriti, istupiditi di più da una lunga abitudine della indolenza; ma possiamo, cred’io, prometterci di esso, che anzichè si faccia a contrariare coloro, che ne lo vogliono liberare, desidererà nell’animo suo felice compimento all’impresa loro, e vi coopererà fors’anche.

Quanto all’armamento, possono bene esser dubbiosi i motivi che lo hanno determinato; ma comunque sia, mi pare che tale qual’è, non possa far nascere veruna diffidenza. Io ve ne ho ragguagliato nelle mie precedenti lettere, e voi dovete aver giudicato che troppo debole esso era, per dar cagione di temere. Aggiungo di più che io vedo co’ miei proprj occhi la verità di quanto mi ha detto il Signor Pesaro. Tutti i preparamenti che si fanno, non hanno altro fine che quello di guardar le lagune e difendere il lido del mare; lo che non manifesta intenzioni ostili contro di noi.

Quest’è, cittadino Generale, ciò ch’io ho creduto dovervi esporre. I vostri lumi e la vostra prudenza suppliranno a quel più che potrei avere da dirvi, e suggeriranno a voi senza dubbio le risoluzioni le più convenienti agli interessi della Repubblica. A voi solo compete il riunire la gloria di un Generale vittorioso e di un politico saggio ed illuminato.

Lallement.

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