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Genova, 6 messidoro anno 4 (24 Giugno 1796)
XXXII - A Bonaparte Generalissimo.
Il Governo di Genova non mi ha data alcuna risposta riguardante il signor Girola, Io vi trasmetto copia di una dichiarazione statami fatta jeri l’altro, e che concerne alla spedizione dei fucili e munizioni fatta dal sig. Girola ai ribelli d’Arcquata.
Il Senato, o per dir meglio, il Segretario di Stato, ha spedito, a’ 30 di questo mese, un corriere straordinario per Parigi. Non dubito che l’oggetto di questa missione non sia stato quello d’informare il Ministro di Genova in Francia della vostra lettera, e dell’arrivo di Murat. Avendo io potuto dare allo stesso corriere un dispaccio pel Ministro delle Finanze, ho incluso in esso una lettera al Direttorio, con la quale io informavalo parimente di tutto ciò che gli spediva, e copia, e traduzione della inconcludente risposta che vi è stata fatta. Giova inoltre, che voi sappiate che il Direttorio avendo eletto Marco Federico al posto di vice-console della Repubblica francese alla Spezia, Genova ricusa di riconoscerlo. A tale rifiuto io ho risposto con una nota, di cui annetto qui copia, e dalla quale comprenderete che io voleva che questo perverso governo si spiegasse una volta intorno al sistema di ripulsa e di persecuzione da esso tenuto verso i più antichi amici che la rivoluzione abbia avuto nel suo territorio. A questa nota non è stato per anche risposto. Abbiamo dunque tre punti in contesa: Girola, i cinque vascelli presi all’Arneca, e la cessazione di tutti gli sdegni contro i patriotti genovesi. Io comprendo bene dalla vostra lettera del 3 la ragione, per cui voi volete che io faccia trar fuori di Genova tutto ciò che spetta alla Repubblica. Ecco a qual punto sono le operazioni che qui si fanno sotto la mia vigilanza per le spedizioni fatte a Balbi. Il conto delle casse di danaro arrivate è fatto; sono state trovate 7,000 e qualche cento lire di meno di quello che annunziavasi dover essere nella cassa. E’ stata pesata tutta l’argenteria, e jeri n’è stata terminata la fusione a pubblica notizia della città. Dimani si procederà a fare il saggio delle verghe ed a pesarle. Il processo verbale di tutte queste operazioni lunghissime è stato fatto in quintuplo originale. Qualunque cosa sia per accadere, nulla io scorgo che possa far temere pel danaro o per le verghe: imperocché in primo luogo il danaro serve ogni giorno a pagare le cambiali della Tesoreria nazionale tratte sopra il Signor Balbi, e al primo di Luglio ve ne saranno già dì scontate per circa 4,000,000 di tornesi; ed in secondo luogo, il valor delle somme che resteranno allora nelle mani del Balbi, e quello delle verghe che saranno allora e saggiate e pesate, essendo noti, Genova ce ne sarà garante. Genova non è in istato di far resistenza. Voi le potrete dettar leggi a vostro talento. Ad essa vi avvicinerete con 15 in 18,000 uomini, e principalmente con un treno di mortai. Speditemi, se vi piace, un ingegnere; farà egli il giro esterno delle fortificazioni; e saprà come, dando la scalata alla gran muraglia, e scegliendo poi tra la gran muraglia e il corpo della piazza, due punti favorevoli per collocarli mortai ed obizzi, può tenersi Genova in soggezione.
Genova non può a voi non arrendersi; voi sarete sempre in grado di farvi restituire le somme, che fossero mai tolte al Balbi. Quanto alle gioje e diamanti, di cui mi resta a parlarvi, è altra cosa. Il tempo non ci ha permesso ancora di procedere alla verificazione della cassa ove sono risposte: per determinare il valore dei diamanti e delle perle, bisogna disfar tutto. A quest’opera non possiamo impiegare se non pochissimi lavoranti, poichè fa di mestieri esser presenti, onde evitare che nulla s’involi. Io farò dar principio a quest’operazione dopo dimani, la quale sarà continuata senza interruzione, e sempre con processo verbale in regola. Quando voi crederete esser pronto, mi spedirete una deliberazione vostra e dei commissarj Gaireau e Saliceti, per mezzo della quale, sotto un pretesto che voi immaginerete, e che non possa nè far congetturare le vostre intenzioni, nè lasciar credere a Balbi che scemata sia la nostra fiducia in lui, mi ordinerete di far prendere dal cittadino Balbi i diamanti e le gioje, ch’egli ritiene, onde trasportarle a Tortona o ad altro luogo che voi crederete opportuno. Potreste, per esempio, addurre per pretesto la diminuzione del valore dei diamanti e delle perle in Italia, ed annunciare che voi perciò preferite di mandarle in Francia. Procurate unicamente di tenere a mia disposizione, a San Pier d’Arena, un distaccamento di cinquant’uomini a cavallo per iscortare il convoglio, che non sarà di gran mole, ma preziosissimo: senza questa scorta, io non m’impegno di fare eseguire verun trasporto. Vi mando le traduzioni delle lettere prese tra quelle che il General Berthier mi ha spedite. Ho mandato al ministro Carlo Lacroix la traduzione della lettera di Drake a Nelson. Egli avrà forse nel suo gabinetto i mezzi di deciferare l’articolo segreto di questa lettera. Nel tempo stesso lo avverto d’invitare questo Governo a star vigilante sopra a Tolone, cui potrebbe pur quest’articolo essere concernente: le altre lettere, tedesche, italiane e francesi nulla contenevano che valesse la pena di farle tradurre, o mandarle. Prima di dar fine a questa lettera, io debbo, o Generale, parteciparvi alcune idee generali intorno a Genova. Le combinerete con quelle che avete potuto concepir voi pure intorno ad essa. Che far potrebbesi in Genova di più profittevole al bene della nostra Repubblica, e nel tempo stesso anco ai veri interessi di Genova medesima? Ecco la importante questione da prendersi in esame. Dobbiamo noi rimproverare ai Genovesi gli oltraggi fatti dal loro governo ai Francesi, il fatto della Modesta, quello della Imperiosa, altra fregata presa nel medesimo tempo e nello stesso modo alla Spezia; il fatto, in cui nello scorso anno la batteria della Lanterna tirò a metraglia sopra Sibilla che comandava il piccolo sciabecco il Leonida; il fatto del rifiuto di soccorrere ai Francesi con prestanze, quand’essi abbisognavano di tutto; quello della presa dei cinque bastimenti fatta di recente all’Arneca; e finalmente la ostinazione del Senato nel perseguitare e molestare tutti gli antichi partigiani della rivoluzione Francese? Sì, lo dobbiamo. Dobbiamo noi chiedere a Genova un impresto di 6 in 8,000,000, e le debite compensazioni per le prese che ci sono state fatte nel di lei territorio senza ch’ella siasi pur mossa ad impedirlo? Sì. Dobbiamo noi finalmente esiger da Genova che non riceva più bastimenti inglesi nel suo porto e nella sua riviera? Sì.
Sì certo, Generale, tutto ciò è necessario a farsi; ma tutto ciò, secondo me, non basterà: se oltre ai sopraccennati, voi non ricorrete a qualche altro spediente, non otterrete se non momentanei vantaggi; finché l’autorità resterà appresso dei nostri dichiarati nemici, noi avremo sempre ad invigilare, e reprimere i segreti maneggi dei maligni Senatori, e l’odio di un popolo che si verrà ad irritare contro di noi. Conviene dunque, se voi venite a Genova, e volete produrvi un effetto degno del vostro modo di agire e della dignità francese, che vi ordiniate l’esilio di una cinquantina di persone inimiche alla Francia, e la mutazione delle forme delle deliberazioni, facendo che in avvenire siano prese in tutti i casi con la semplice pluralità.
Fate, o Generale, ciò che io vi propongo; ma prima di tutto, avvicinandovi a Genova, annunziate con pubblico manifesto, che non per altri motivi voi ci venite se non per liberare il popolo ed anche la nobiltà dalla tirannia delle famiglie che sonosi arrogate tutti i poteri: cosi facendo, l’opera vostra sarà durevole; la Francia potrà far fondamento sulle buone intenzioni di Genova, e riguardar questo Stato come disposto ad esserle sempre amico e per inclinazione, ed in considerazione degl’interessi rispettivi dei due popoli. Alcune circostanze potrebbono forse render necessario che noi ci scrivessimo in cifra, io ve ne mando un esemplare da non usarsi che tra noi due.
Faipoult.