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Dall'Odissea - Il ritorno all'isola delle capre
Dall'Odissea - La preghiera al dio del mare Dall'Odissea - La terra dei venti


il ritorno all’isola delle capre

Quando a quell’isola noi fummo giunti dov’erano l’altre
navi coperte di tolda, adunate; ed intorno i compagni
stavano a terra piangendo, attendendo il ritorno di noi
sempre; la nave arrivati tirammo colà tra la sabbia,
e ne scendemmo noi stessi sul grigio frangente del mare.
Poi dalla nave incavata le pecore, già del Ciclòpe,
ecco prendemmo, e mangiammo, che n’ebbe ciascuno sua parte.
Ma nel divider il branco, i compagni dai belli stinieri

diedero il maschio del branco a me solo, per giunta. E nel lido
sacrificandolo al dio delle nuvole nere, che regna,
io ne bruciavo dei tocchi: ma egli di ciò non curava,
ma rivolgeva nel cuore in qual modo le navi lunate
tutte coperte di tolda, perissero e i cari compagni.
Tutto quel giorno così per in fino al tramonto del sole
banchettavamo con carni indicibili e vino soave.
E come il sole calò, come ci venne il crepuscolo sopra,
ecco che noi ci ponemmo a dormir sul frangente del mare.
L’Alba nel ciel mattutino stampava le dita di rose,
quando i miei cari compagni con fervidi detti esortai
che su montassero loro e sciogliessero i cavi d’ormeggio.
Furono presto montati e sederono tutti agli scalmi,
e via che in fila coi remi battevano il torbido mare.
Quindi seguimmo la rotta con nuova una pena nel cuore,
lieti scampati da morte, perduti dei cari compagni.

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