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lui!
Quivi facemmo del fuoco, poi sacrificammo, poi anche
noi di quei caci mangiammo, attendendolo dentro, seduti.
Ecco parando il suo branco arrivò. Un gran carico aveva
esso di legna già secca, per ardere al tempo di cena;
lo scaricò, lo gettò dentro l’antro con grande fracasso.
Noi spaventati fuggimmo più dentro nel fondo dell’antro.
Esso nell’ampia spelonca parò le sue pecore pingui,
e tutte quante mungeva, ed i maschi lasciava di fuori,
tanto i montoni che i capri, rinchiusi nell’alto recinto.
Poi sulla bocca dell’antro egli pose un gran masso che in alto
prima levò, molto grave, cui ventidue carri assai buoni,
a quattro rote, rimosso così non avrebber da terra:
tanto massiccio pietrone egli pose alla bocca dell’antro.
Quindi le pecore assiso mungeva e le tremole capre,
tutto a modino, e poneva alle poppe di ognuna il suo redo.
Poi col presame cagliò la metà di quel candido latte,
poi lo poggiò, l’ammucchiò nelle corbe intrecciate di vinchi;
l’altra metà la ripose ne’ propri paioli, da bere,
quando volesse egli prenderne ed inaflìarne la cena.
E dopo ch’ebbe sbrigate con garbo le proprie faccende,
ecco che il fuoco accendeva, ed allora ci scorse e ci chiese: