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sappho
I.
Afrodite, figlia di Giove, eterna,
trono adorno, piena di vie: ti prego!
non domar con pene e con crucci, o grande
nume, il mio cuore.
Anzi vieni qua, s’altra volta ancora,
quella voce mia di lontano udendo,
l’ascoltavi: dalla paterna casa
subito uscisti;
aggiogasti al carro tuo d’oro i belli
tuoi veloci passeri: sulla nera
terra, tra l’azzurro del cielo, con un
battere d’ale
rapido, eccoli! ecco che tu, beata,
con un riso dell’immortal tuo viso
mi chiedevi cosa mai fosse, cosa
mai ti chiamassi,
cosa voglio mai per il folle cuore
mio. Chi vuoi che Dolce-parola ancora
tra codeste braccia conduca? chi, o
Clara, t’offende?
Chè se fugge, poi ti vorrà seguire,
se ricusa i doni, vorrà donarne,
se non t’ama, poi t’amerà se anche
tu non lo voglia.
Vieni anche ora e scioglimi dalle dure
pene e tutto ciò che il mio cuore brama
che s’adempia, adempimi tu: tu vieni
meco alla guerra.
II.
A me pare simile a Dio quell’uomo,
quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso
tutto in te, da presso t’ascolta, dolce-
mente parlare,
e d’amore ridere un riso; e questo
fa tremare a me dentro il petto il cuore;
ch’al vederti subito a me di voce
filo non viene,
e la lingua mi s’è spezzata, un fuoco
per la pelle via che sottile è corso,
già non hanno vista più gli occhi, romba
fanno gli orecchi,
e il sudore sgocciola, e tutta sono
da tremore presa, e più verde sono
d’erba, e poco già dal morir lontana,
simile a folle.