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IL TRADUTTORE
Ben comprendo come il rimettere in luce nella lingua d’Italia opere di antica letteratura, sia cosa al presente fuori di tutta lode presso un molto numero di leggitori, a’ quali fu rivelato che, figlia essendo la civiltà nostra della barbarie de 9 tempi di mezzo, da questi soltanto, o da quelli che susseguirono, sono per noi da dedurre le fonti ad irrigare e fecondare i campi della prosa e della poesia. Tanto io non so; ma parmi sapere che se que’ tempi in gran parte innovarono opinioni ed usi e costumi, non perciò rifecero d’altro limo e d’ai tr anima questa nostra natura; e so che mentre il Bello sta fermo nell’armonia del concetto col sentimento, le scuole si mutano, e un’età di ciò talvolta vergognasi, di che prima si facea pregio, e torna a vergognarsi poi della propria vergogna. Nè io propongo queste tragedie ad esemplari per noi di arte dramatica; poichè, oltre a ciò che in esse per P intervallo di tanti secoli ha preso al senso nostro sembianza e qualità viziosa, non poche mende vi furono pur dagli antichi, non che da’ moderni, con buona ragione notate. Ma se pili volte l’autore peccò di giudizio, non gli fallì però quasi mai la eloquente scienza del cuore, la quale in tutte le forme della poesia, ma in questa primissimamente è signora. Nè i difetti tolgono l’esser grandi alle opere de’ grandi ingegni; nè tanti poi qui ce n’ha, quanti di recente credettero alcuni critici della Germania, da’ loro stessi connazionali e da altri in ciò contradetti e ripresi; nè sì risibili sono, come già fra i Greci Aristofane ingegnavasi di farli apparire su la comica scena. Della quale ingiustizia e allora e poi filosofi e popoli e re consolarono con testimonianze di solenne stima il poeta; e Socrate gli facea publico onore della propria amicizia, e i Siciliani vincitori francavano di servitù que’ vinti A teniesi che sapevano a memoria recitar versi di lui.