< Trattatello in laude di Dante
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VI
Dolore di Dante per la morte di Beatrice
V VII


Come ciascuno puote evidentemente conoscere, niuna cosa è stabile in questo mondo; e, se niuna leggiermente ha mutamento, la nostra vita è quella. Un poco di soperchio freddo o di caldo che noi abbiamo, lasciando stare gli altri infiniti accidenti e possibili, da essere a non essere sanza difficultà ci conduce; né da questo gentilezza, ricchezza, giovanezza, né altra mondana dignità è privilegiata; della quale comune legge la gravità convenne a Dante prima per l’altrui morte provare che per la sua. Era quasi nel fine del suo vigesimoquarto anno la bellissima Beatrice, quando, sì come piacque a Colui che tutto puote, essa, lasciando di questo mondo l’angosce, n’andò a quella gloria che li suoi meriti l’avevano apparecchiata. Della qual partenza Dante in tanto dolore, in tanta afflizione, in tante lagrime rimase, che molti de’ suoi più congiunti e parenti ed amici niuna fine a quelle credettero altra che solamente la morte; e questa estimarono dovere essere in brieve, vedendo lui a niuno conforto, a niuna consolazione pòrtagli dare orecchie. Gli giorni erano alle notte iguali e agli giorni le notti; delle quali niuna ora si trapassava senza guai, senza sospiri e senza copiosa quantità di lagrime; e parevano li suoi occhi due abbondantissime fontane d’acqua surgente, intanto che i più si maravigliarono donde tanto umore egli avesse che al suo pianto bastasse. Ma, si come noi veggiamo, per lunga usanza le passioni divenire agevoli a comportare, e similmente nel tempo ogni cosa diminuire e perire; avvenne che Dante infra alquanti mesi apparò a ricordarsi senza lagrime Beatrice esser morta, e con più dritto giudicio, dando alquanto il dolore luogo alla ragione, a conoscere li pianti e li sospiri non potergli, né ancora alcuna altra cosa, rendere la perduta donna. Per la qual cosa con più pazienza s’acconciò a sostenere l’avere perduta la sua presenzia; né guari di spazio passò che, dopo le lasciate lagrime, li sospiri, li quali già erano alla loro fine vicini, cominciarono in gran parte a partirsi sanza tornare.

Egli era, sì per lo lagrimare, sì per l’afflizione che il cuore sentiva dentro, e sì per lo non avere di sé alcuna cura, di fuori divenuto quasi una cosa salvatica a riguardare: magro, barbuto e quasi tutto trasformato da quello che avanti esser solea; intanto che ’l suo aspetto, non che negli amici, ma eziandio in ciascun altro che il vedea, a forza di sé metteva compassione; come che egli poco, mentre questa vita così lagrimosa durò, altrui che ad amici veder si lasciasse.

Questa compassione e dubitanza di peggio facevano li suoi parenti stare attenti a’ suoi conforti; li quali, come alquanto videro le lagrime cessate e conobbero li cocenti sospiri alquanto dare sosta al faticato petto, con le consolazioni lungamente perdute, rincominciarono a sollecitare lo sconsolato; il quale, come che infino a quella ora avesse a tutte ostinatamente tenute le orecchie chiuse, alquanto le cominciò non solamente ad aprire, ma ad ascoltare volentieri ciò che intorno al suo conforto gli fosse detto. La qual cosa veggendo i suoi parenti, acciò che del tutto non solamente de’ dolori il traessero ma il recassero in allegrezza, ragionarono insieme di volergli dar moglie; acciò che, come la perduta donna gli era stata di tristizia cagione, così di letizia gli fosse la nuovamente acquistata. E, trovata una giovane, quale alla sua condizione era decevole, con quelle ragioni che più loro parvero induttive, la loro intenzione gli scoprirono. E, acciò che io particularmente non tocchi ciascuna cosa, dopo lunga tencione, senza mettere guari di tempo in mezzo, al ragionamento seguì l’effetto: e fu sposato.

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