< Trattato de' governi < Libro primo
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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro primo
Capitolo I:
Della città, della casa e del borgo
Trattato de' governi Libro primo - II


LIBRO PRIMO




CAPITOLO I.


della città, della casa e del borgo.


Perchè e’ si vede, che ogni città è una certa compagnia; e perchè ogni compagnia è costituita per fine di conseguir qualche bene, chè in vero ogni cosa, che s’opera, è operata per cagione di quello che par bene, è però manifesto, che ogni compagnia ha in considerazione, e in fine qualche bene: e che quella, che infra tutte l’altre è la principalissima, e che tutte l’altre contiene, ha per fine il bene, che è principalissimo; e tale non è altra, che la città, e la compagnia civile.

Errano ben qui tutti quei, che si stimano, che l’impero civile, il regio, e quel della casa, e il signorile sieno infra loro una cosa istessa; con pensare, che tali non abbino altra differenza l’uno dall’altro, che quella che fa loro il poco, e l’assai, ma che e’ non sien già differenti di specie: ma verbigrazia, che signorile impero sia detto quello, che comanda a’ pochi, familiare, o di casa quello, che comanda ai più; e civile, o regio, quello che comanda ai vie più: come se in nulla fosse differente la casa grande e la città piccola; e l’impero civile, e il regio. E che e’ si dica impero regio quello, dove uno è agli altri preposto, e civile, dove, secondo gli ordini di tal disciplina, ora uno, e ora un altro scambievolmente reggono lo Stato.

Ma tali determinazioni non sono vere, e ciò sarà manifesto a chi andrà con questa dottrina guidato investigando tal cosa; perchè così come in tutte l’altre cose è di necessità per risolver i composti, venire insino alle semplici parti di loro, (che quelle invero sono le minime particelle del tutto) parimente interverrà di conoscere nella città a chi talmente andrà le sue minute parti considerando; e’ gli interverrà, dico, di conoscere maggiormente e la differenza che esse parti hanno insieme: e ancora s’egli è possibile mettere sotto alcuna arte ciascuna delle dette cose. Chi risguardasse adunque da principio alle cose che son prodotte dalla natura, scorgerebbe siccome in loro, il medesimo ordine ancora in queste.

È però di necessità primieramente di combinare insieme quegli, che non possono stare l’uno senza l’altro; come è la femmina e il maschio, per cagione di conservar la generazione. Il che non nasce in loro per via d’elezione, ma naturalmente, siccome e’ si vede in tutti gli animali, e in tutte le piante, ch’egli è naturale quel desiderio, che ell’hanno di lasciar un simile a loro. Trovasi ancora qui il signore e il suddito per natura: e ciò per salute loro, imperocchè quegli è signore per natura che può antivedere col discorso; e suddito per natura, e servo si debbe dir quegli, che col corpo può eseguire i comandamenti fattigli da chi ha discorso; onde avviene, che il comandar, e l’ubbidir qui è utile all’uno, e all’altro.

Ha la natura adunque diviso la femmina dal servo, conciossiachè ella non operi nulla in quel modo, che i fabbri usavano del coltello delfico per i poveri; anzi la natura fa una cosa dispersè per uno esercizio dispersè, e in tal modo ciascuno istrumento farebbe ottimamente il suo offizio, se e’ non avesse, dico, a più d’un solo a somministrare. È ben vero, che infra i barbari non si fa distinzione intra ’l servo e la femmina; del quale effetto non è cagione altro, che il mancar tai gente di chi sia per natura signore: onde la compagnia, che è infra di tali, è composta di servo, e di serva. E perciò han detto i poeti:

Giust’è, che i Greci alla barbara gente
Dien legge, e sien di lor fatti signori.

Come se una medesima cosa fosse il barbaro uomo, ed il servo.

Di queste due compagnie adunque è la prima casa composta: e però ancora ben disse Esiodo poeta:

La casa imprima, e poi la dolce moglie
Aver conviensi, e ’l bue che solchi i campi.

Imperocchè il bue è alla gente povera in cambio di servo. È pertanto la casa una compagnia quotidiana dalla natura constituita; gli abitatori della quale Caronda chiama uomini, che stanno ad un medesimo pane: e Epimenide di Candia li chiama uomini, che si scaldano a un medesimo fuoco. E il borgo è detto compagnia non quotidiana, ma di più case constituita per utilità di ciascuno; nè altro è il borgo, che una colonia della casa fatta dalla natura di quegli uomini, che da certi sono stati chiamati uomini da un sol latte nutriti e dei figliuoli, e nipoti, e lor discendenti. E di qui nasce, che da prima le città si ressero sotto l’impero regale e ora son rette così le provincie, perchè le ragunate di tali erano composte di uomini usi a vivere sotto i re; conciossiachè ogni casa sia retta dal più antico, che l’è in cambio di re: onde ancora le colonne d’essa casa furon rette in quel modo per la parentela, che ha la casa col borgo; e questo ci esprime Omero, ove ei dice:

Signoreggi ciascun la moglie e i figli.

Perchè gli uomini anticamente abitavano sparsi. Per questa cagion medesima è creduto, che gli dei vivino a re, perchè gli uomini, che ciò stimano ancora oggi una parte e l’altra, anticamente vivevano sotto i re; onde così come essi si fingono con l’imagini divine, parimente si pigliano eglino ancora il modo del vivere similea loro.

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