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(Politica) (IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
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CAPITOLO IV.
Ma e’ non è ancor difficile a considerare, che chi tiene la posizione contraria, in un certo modo non tiene il falso, con la distinzione, cioè, del servire e del servo, conciossiach’ei, si dia il servo e la servitù per legge: essendo la legge una certa convenzione, mediante la quale si dice, che le cose vinte in guerra debbino esser dei vincitori. Questo giusto adunque molti tengono per iniquo, non altrimenti che un oratore, che persuada cose ingiuste: come se e’ fosse cosa acerba, che e diventasse servo, e suddito chi venisse in podestà d’uno che ti potesse forzare, e che di te avesse maggior possanza. — E certi sono che così l’intendono, e certi in quell’altro modo: e sono questi tali, che diversamente l’intendono ancor filosofi. La cagione di questo dubbio, e che fa dissentirgli è: che la virtù accompagnata dalla roba in certo modo è atta a poter sforzare grandemente, e perchè sempremai chi vince ha l’eccellenza di qualche bene; onde avviene, che la forza non paia senza virtù: ma il dubbio resta solamente nel giusto. Di qui sono alcuni che hanno opinione, che giusto sia quel solo, che si fa per amore. E certi sono all’incontro che vogliono esser giusto, che chi ha più forza comandi. Ma discordando in fra loro queste opinioni, l’una parte d’esse non dice cosa alcuna che vaglia, e che sia atta a persuadere; cioè, ch’e’ non debba comandare chi è più virtuoso. — Certi altri si ritrova i quali pigliano, siccome essi stimano, alquanto di giustizia dal loro; essendo, a dire il vero, la legge una certa giustizia, mettono per giusta la servitù, che si fa nella guerra; e insieme dicono, ch’ella non è giusta, per esser possibile, che il principio della guerra sia ingiusto, e perchè e’ non si debbe mai chiamar servo chi sia indegno di stare sottoposto. Imperocchè se e’ fosse altrimenti, ne conseguirebbe che ei fussin servi, e discesi di servi molti che appariscono molto nobili; in caso ch’egli intervenisse, che simili presi in guerra fussin comperati. E però non vogliono tali questi simili chiamar servi, ma barbari. E quando essi affermano questo, e’ non ricercano d’altro che del servo per natura, il quale noi da principio abbiam posto, che egli è necessario affermare che e’ si diano certi uomini, i quali in ogni luogo sien servi; e certi che non sieno in luogo nessuno. Ed il medesimo affermano costoro della nobiltà, cioè, che certi sieno nobili non pure a casa loro, ma per tutto; e che i barbari sieno nobili appunto in casa. Come se e’ si desse un uomo libero, che fosse assolutamente nobile; e un altro, che non fosse assolutamente: siccome dice l’Elena di Teodette:
Chi fora mai che degno esser credesse
Ch’e’ servisse colei, ch’ambidue tronchi
Del seme ha in cielo?
Ma questi tali, che ciò sentono, con nessun’altra cosa distinguono il servo, e il libero uomo, che con la virtù e col vizio: e così i nobili, e gli ignobili; perchè e’ par loro ragionevole, che così come degli uomini, nascono uomini, e di bestie bestie, parimente che di buon seme nasca buon frutto. E ben la natura vuol questo fare, ma spesse volte erra da questo fine. — È manifesto adunque che il dubbio proposto ha qualche ragione; ve ne son certi, che per natura son servi; e certi che per natura sono liberi. E che tal cosa è determinata, cioè, che e’ si dian certi, ai quali sia utile l’esser soggetti; e certi ai quali sia utile il comandare, anzi che egli è giusto: e che e’ si debbe fare in simili, che l’uno vi ubbidisca e che l’altro vi comandi per via di quell’imperio, che e’ sono atti per natura a sopportare. Laonde si debbe fare che vi si comandi signorilmente; e che il fare a rovescio sia inutile ad ambe le parti; conciossiachè il medesimo giovi e alla parte, e al tutto, e al corpo, e all’anima. E il servo è parte del padrone, ma parte, dico, animata del corpo, e separata da lui; onde tal cosa gli è utile. E oltre di questo è amicizia intra il padrone e il servo che siano tali fatti da natura. E il contrario avviene in quei che stanno così forzati; o per via di legge, e a rovescio dei conti. — Di qui fia ancor manifesto, che non è il medesimo imperio il signorile, ed il civile; nè gli altri modi di principati, siccome certi si stimano; perchè l’un modo di comandare serve agli uomini, che sono per natura liberi; e l’altro agli uomini, che sono per natura servi. E che il governo della casa è monarchia, o, vogliam dire, governo d’un solo; conciossiachè la casa sia di un solo governata; e che il governo civile sia un principato d’uomini liberi, e uguali. — Conseguita adunque per i detti nostri, che il signore, o padrone, che io voglia chiamarlo, non sia tale per via di scienza; ma perchè e’ sia così fatto da natura. Ed il simile intervenga del libero uomo, e del servo. Può ben essere che e’ si dia qualche scienza che sia da padroni, e qualcuna, che sia da servi. Quella da servi, dico, è siccome è la insegnata già in Siracusa; dove era chi per prezzo ammaestrava i fanciulli de’ servizi che occorrono intorno ai padroni. E tal dottrina si può estendere a più capi, come è all’arte da cuocere, e altre simili specie di ministeri, dei quali certi ne sono più onorati, e certi più necessari. E è in proverbio, l’un servo avanza l’altro, e l’un padrone l’altro. — Queste adunque sì fatte scienze sono servili. E scienza signorile è quella che sa usare i servi; perchè il signore o padrone non ha la sua scienza nell’acquistarsi i servi, ma sì nel sapergli usare. E tale scienza non ha però cosa alcuna di grande, nè di rilevato; bastando che il padrone sappia comandare quelle cose, che dal servo debbono essere sapute eseguire. Onde quei padroni, che possono far senza pigliare una sì fatta briga, propongono un maestro di casa, che abbia l’onore di comandare agli altri servi, ed essi attendono al governo della repubblica, o agli studî di filosofia. Ma l’arte dell’acquistare è diversa da amendue le conte: come è quella, che acquista per via di guerra giusta, o quella che acquista per via della caccia. E in quanto al padrone, e al servo siasene in tal modo determinato. =