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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro settimo
Capitolo VI:
Come si debbino assettare gli stati dei pochi
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E per le cose dette è quasi manifesto, come si debbino adattare gli stati dei pochi potenti, perchè ciascuna sorte d’essi stati si debbe assettare con modi contrari a’ detti, facendo l’opposito che si fa in ciascuno stato popolare. E abbino in mente di fare li constitutori di esso la prima specie, e la meglio temperata dello stato dei pochi potenti. E questa è la vicina alla specie detta republica, nella quale si debbono dividere i censi in maggiori o in minori. Nei minori si debbe mettere chi ha a partecipare dei magistrati necessari; nei maggiori chi ha a partecipare dei principali. E debbesi fare, che del governo partecipi chi ha tanto di censo, mettendoci dentro per tale via tanti del popolo, che e’ sieno più possenti li partecipanti di chi resta fuori del governo. Sempre ancora è da tenere aperta la via da potere raccettare qualcuno dei migliori del popolo.

Chi vuole similmente fare la specie che seguita, debbe far ciò con andarla alquanto restrignendo. Ma all’ultimo stato stretto, e opposto all’ultimo stato largo, a quello, dico, che infra tutti gli stati stretti è il più tirannico, quanto egli è più di tutti gli altri cattivo, tanto se li debbe porgere maggiore aiuto. Chè così come li corpi bene disposti alla sanità, e li navigli che sieno bene forniti di rematori, e di tutta l’arte navale sopportano più colpi senza essere da loro messi in fondo, e li corpi infermi all’incontro, e i navigli fessi, e che hanno cattiva ciurma e cattive sorti, non possono sopportarne uno solo benchè leggieri, parimente gli stati, che sono nel pessimo grado, hanno bisogno di maggiore custodia degli altri.

Conservansi gli stati popolari adunche dallo assai numero dei cittadini (e questo è il giusto opposto a quello della degnità) e lo stato stretto conseguisce la salute all’incontro mediante li buoni ordinidi tale stato.

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