< Trattato dei governi < Libro quarto
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Aristotele - Trattato dei governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro quarto - Capitolo VI: Se la vicinità del mare sia buona o no
Libro quarto - V Libro quarto - VII


E quanto alla vicinità della marina, s’ella è utile, o nociva alla bene-ordinata città è grande dubbio. Chè alcuni affermano tale essere cosa dannosa alle buone leggi e generatrice di confusione; chè molti forestieri s’avvezzino in casa tua, che sieno assuefatti sotto altre leggi. E medesimamente affermano esser contra l’instituzione d’un buon governo, che e’ vi sia troppa moltitudine, il quale effetto è cagionato dall’uso del mare, con il ricevere, e con il mandare fuori un tal sito assai numero di mercatanti.

Onde se tali inconvenienti non nascessino, quanto alla sicurtà, e quanto alla abbondanza delle cose necessarie, non è dubbio alcuno, che per la città, e per la provincia non fusse tale vicinanza buona. Conciossiachè per difendersi dai nimici, egli è bene che e’ si possa aver soccorso agevolmente per l’una banda e per l’altra: cioè per mare e per terra, e per nuocere a chi t’assalta. Il che se non si può fare nell’un caso e nell’altro, contuttociò e’ si farà l’una delle due cose più espeditamente, avendo aperte amendue queste strade.

Oltra di questo ci si può ricevere (in tale maniera situato il paese) le cose che tu non hai facilmente, e all’incontro mandar fuori quelle, che t’abbondano, e debbesi fare la città mercantile a sè stessa, e non ad altri. Ma chi vuol fare piazza a tutto il mondo della sua città, lo fa per farsi entrata. Ma se la città non ha bisogno di tanta soprabbondanza, ella non ha medesimamente bisogno di farsi piazza comune. Perchè noi veggiamo oggidì in molte città, e in molte province essere le spiaggie, e li porti opportunamente situati; di sorte che la città non si può dire, che sia una medesima cosa con loro, nè molto lontana; ma son tali circondati dai muri, o d’altri simili ripari. Onde se alcuno utile può da loro derivare per simil vicinanza, ei si ritrova nelle città così poste, e se e’ v’è cosa alcuna dannosa, e’ se ne può guardare più facilmente con le leggi, che proibischino, e che separino tal commercio: cioè, chiarendo con chi si debba, e con chi non si debba mescolarsi.

E quanto alla ciurma navale non è dubbio che e’ se ne vorrebbe avere infino a un certo che, perchè e’ non basta poter giovare a sè stesso; ma e’ sarebbe bene essere temuto ancora dagli altri, e poter soccorrere agli amici così per mare, come per terra. E il numero, e la grandezza di questa forza debbe essere secondo la vita della città. Perchè se ella eleggerà di vivere civilmente, e come principessa dell’altre, e’ le fia di necessità d’avere forze proporzionate a simile elezione di vita, per poter fare l’azioni.

Ma ei non bisogna già, che nella città sia un gran numero di simile ciurma, perchè tai genti non hanno ad essere parte della città; anzi li cittadini liberi vi debbono saltare in su le navi: e la fanteria è quella, che debbe essere padrona, e che debbe comandare alle navi. E essendo nella provincia numero di genti vili, e di contadini, non vi mancherà mai gente da fare armata. E questo si vede ancora oggi in alcuni luoghi, come è nella città di Eraclea, dove sono molte galee; e contuttociò la città è minore di molte altre. E quanto alla provincia, e ai porti, e alla città, e al mare, e alla forza navale siense determinato nel modo detto.

E del numero dei cittadini quanto e’ dovesse essere s’è detto innanzi.

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