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Capitolo I
Triumphus Cupidinis - II | ► |
Al tempo che rinnova i miei sospiri
per la dolce memoria di quel giorno
che fu principio a sì lunghi martiri,
già il sole al Toro l’uno e l’altro corno
5scaldava, e la fanciulla di Titone
correa gelata al suo usato soggiorno.
Amor, gli sdegni, e ’l pianto, e la stagione
ricondotto m’aveano al chiuso loco
ov’ogni fascio il cor lasso ripone.
10Ivi fra l’erbe, già del pianger fioco,
vinto dal sonno, vidi una gran luce,
e dentro, assai dolor con breve gioco,
vidi un vittorïoso e sommo duce
pur com’un di color che ’n Campidoglio
15triunfal carro a gran gloria conduce.
I’ che gioir di tal vista non soglio
per lo secol noioso in ch’i’ mi trovo,
voto d’ogni valor, pien d’ogni orgoglio,
l’abito in vista sì leggiadro e novo
20mirai, alzando gli occhi gravi e stanchi,
ch’altro diletto che ’mparar non provo:
quattro destrier vie più che neve bianchi;
sovr’un carro di foco un garzon crudo
con arco in man e con saette a’ fianchi;
25nulla temea, però non maglia o scudo,
ma sugli omeri avea sol due grand’ali
di color mille, tutto l’altro ignudo;
d’intorno innumerabili mortali,
parte presi in battaglia e parte occisi,
30parte feriti di pungenti strali.
Vago d’udir novelle, oltra mi misi
tanto ch’io fui in esser di quegli uno
che per sua man di vita eran divisi.
Allor mi strinsi a rimirar s’alcuno
35riconoscessi ne la folta schiera
del re sempre di lagrime digiuno.
Nessun vi riconobbi; e s’alcun v’era
di mia notizia, avea cangiata vista
per morte o per prigion crudele e fera.
40Un’ombra alquanto men che l’altre trista
mi venne incontra e mi chiamò per nome,
dicendo: - Or questo per amar s’acquista! -
Ond’io meravigliando dissi: - Or come
conosci me, ch’io te non riconosca? -
45Et ei: - Questo m’aven per l’aspre some
de’ legami ch’io porto, e l’aer fosca
contende agli occhi tuoi; ma vero amico
ti son e teco nacqui in terra tosca. -
Le sue parole e ’l ragionare antico
50scoverson quel che ’l viso mi celava;
e così n’assidemmo in loco aprico,
e cominciò: - Gran tempo è ch’io pensava
vederti qui fra noi, ché da’ primi anni
tal presagio di te tua vita dava. -
55- E’ fu ben ver, ma gli amorosi affanni,
mi spaventar sì ch’io lasciai la ’mpresa;
ma squarciati ne porto il petto e’ panni. -
Così diss’io; et ei, quando ebbe intesa
la mia risposta, sorridendo disse:
60- O figliuol mio, qual per te fiamma è accesa! -
Io nol intesi allor, ma or sì fisse
sue parole mi trovo entro la testa,
che mai più saldo in marmo non si scrisse;
e per la nova età, ch’ardita e presta
65fa la mente e la lingua, il dimandai:
- Dimmi per cortesia, che gente è questa? -
- Di qui a poco tempo tel saprai
per te stesso - rispose - e sarai d’elli:
tal per te nodo fassi, e tu nol sai;
70e prima cangerai volto e capelli
che ’l nodo di ch’io parlo si discioglia
dal collo e da’ tuo’ piedi anco ribelli.
Ma per empier la tua giovenil voglia
dirò di noi, e ’n prima del maggiore,
75che così vita e libertà ne spoglia.
Questi è colui che ’l mondo chiama Amore:
amaro come vedi e vedrai meglio
quando fia tuo com’è nostro signore:
giovencel mansueto, e fiero veglio:
80ben sa chi ’l prova, e fi’ a te cosa piana
anzi mill’anni: infin ad or ti sveglio.
Ei nacque d’ozio e di lascivia umana,
nudrito di penser dolci soavi,
fatto signor e dio da gente vana.
85Qual è morto da lui, qual con più gravi
leggi mena sua vita aspra et acerba
sotto mille catene e mille chiavi.
Quel che ’n sì signorile e sì superba
vista vien primo è Cesar, che ’n Egitto
90Cleopatra legò tra’ fiori e l’erba;
or di lui si triunfa, et è ben dritto,
se vinse il mondo et altri ha vinto lui,
che del suo vincitor sia gloria il vitto.
L’altro è suo figlio; e pure amò costui
95più giustamente: egli è Cesare Augusto,
che Livia sua, pregando, tolse altrui.
Neron è il terzo, dispietato e ’ngiusto;
vedilo andar pien d’ira e di disdegno;
femina ’l vinse, e par tanto robusto.
100Vedi ’l buon Marco d’ogni laude degno,
pien di filosofia la lingua e ’l petto;
ma pur Faustina il fa qui star a segno.
Que’ duo pien di paura e di sospetto,
l’un è Dionisio e l’altr’è Alessandro;
105ma quel di suo temer ha degno effetto.
L’altro è colui che pianse sotto Antandro
la morte di Creusa, e ’l suo amor tolse
a que’ che ’l suo figliuol tolse ad Evandro.
Udito hai ragionar d’un che non volse
110consentir al furor de la matrigna
e da’ suoi preghi per fuggir si sciolse,
ma quella intenzïon casta e benigna
l’occise, sì l’amore in odio torse
Fedra amante terribile e maligna,
115et ella ne morio: vendetta forse
d’Ippolito, e di Teseo, e d’Adrianna,
ch’a morte, tu ’l sai bene, amando corse.
Tal biasma altrui che se stesso condanna;
ché chi prende diletto di far frode,
120non si de’ lamentar s’altri lo ’nganna.
Vedi ’l famoso, con sua tanta lode,
preso menar tra due sorelle morte:
l’una di lui, ed ei de l’altra gode.
Colui ch’è seco è quel possente e forte
125Ercole, ch’Amor prese; e l’altro è Achille,
ch’ebbe in suo amar assai dogliose sorte.
Quello è Demofoon, e quella è Fille;
quello è Giasone, e quell’altra è Medea
ch’Amor e lui seguio per tante ville;
130e quanto al padre et al fratel più rea,
tanto al suo amante è più turbata e fella,
ché del suo amor più degna esser credea.
Isifile vien poi, e duolsi anch’ella
del barbarico amor che ’l suo l’ha tolto.
135Poi ven colei ch’ha ’l titol d’esser bella:
seco è ’l pastor che male il suo bel volto
mirò sì fiso, ond’uscir gran tempeste,
e funne il mondo sottosopra vòlto.
Odi poi lamentar fra l’altre meste
140Enone di Parìs, e Menelao
d’Elena, et Ermïon chiamare Oreste,
e Laodamia il suo Protesilao,
et Argia Polinice, assai più fida
che l’avara moglier d’Anfïarao.
145Odi ’l pianto e i sospiri, odi le strida
de le misere accese, che li spirti
rendero a lui che ’n tal modo li guida.
Non poria mai di tutti il nome dirti,
che non uomini pur, ma dèi gran parte
150empion del bosco e degli ombrosi mirti.
Vedi Venere bella e con lei Marte,
cinto di ferri i piè, le braccia e ’l collo,
e Plutone e Proserpina in disparte;
vedi Iunon gelosa, e ’l biondo Apollo
155che solea disprezzar l’etate e l’arco
che gli diede in Tessaglia poi tal crollo.
Che debb’io dir? In un passo men varco:
tutti son qui in prigion gli dèi di Varro;
e di lacciuoli innumerabil carco
160ven catenato Giove innanzi al carro. -