< Un dramma nell'Oceano Pacifico
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18. La fuga dei forzati 20. Il naufragio della Nuova Georgia


Capitolo Decimonono.

Sul rottame.


La proposta del capitano, come ci si può immaginare, era temeraria, poichè le tigri sono senza dubbio le fiere più coraggiose del mondo, le quali non temono che rare volte l’uomo, e si gettano, con un’audacia che rasenta la pazzia, contro i cacciatori, senza badare al numero nè alle armi.

Del resto quello era l’unico mezzo per scovarla, poichè poteva rimanere celata dodici, fors’anche ventiquattr’ore e forse anche di più, prolungando la prigionia del capitano e dei suoi compagni non solo, ma mettendoli alle strette con la fame e con la sete.

Essendo state tagliate le griselle, i tre valorosi uomini si lasciarono scivolare lungo i paterazzi, portando seco le carabine e buona parte di munizioni.

La tigre, che senza dubbio gli spiava dal suo nascondiglio, nel vederli porre piede sul ponte, fece udire un brontolìo minaccioso.

— Non commettete imprudenze — disse il capitano ai due compagni. — Tenetevi presso di me, e badate di non fallire il colpo. —

Tenendosi al coperto dalle casse e dai barili che ingombravano la coperta, il capitano si spinse con gli altri fino a dieci passi dal castello di prua.

— Scarica il fucile attraverso il castello, Grinnell.

Il gabbiere fece partire il colpo.

Alla detonazione la tigre mise un ruggito terribile e comparve sulla porta della camera comune, ma si ritrasse prima ancora che il capitano e Asthor potessero mirarla.

— Ha paura — disse Grinnell, ricaricando prontamente il fucile.

Asthor raccolse un boscello e lo lanciò nella camera.

Questa volta la tigre si slanciò fuori mugolando. Si raccolse su se stessa per prendere lo slancio e balzò innanzi descrivendo una grande parabola.

Tre spari rimbombarono. La fiera, arrestata di colpo nella sua volata, stramazzò da un lato andando a battere la testa contro la murata di babordo.

Facendo uno sforzo disperato si rialzò ancora, tentando di riprendere lo slancio per precipitarsi addosso agli assalitori; ma improvvisamente le forze le vennero meno e si accasciò rimanendo immobile. Era morta!...

— Urrà! Urrà! — gridarono Asthor, Grinnell, Fulton e Mariland.

Il capitano si slanciò verso poppa urlando:

— Anna!... Anna!... Siamo salvi!...

Nel quadro di poppa s’udì una porta aprirsi con fracasso, s’udì gemere la scala e la coraggiosa giovanetta comparve precipitandosi nelle braccia di suo padre.

— Mia Anna!... — esclamò il capitano, stringendosela al petto. — Quanto ho tremato per te!...

— Ed io quanto per voi tutti!... — esclamò la giovanetta piangendo di gioia.

— Siamo salvi?

— Sì, ringraziato il cielo!...

— E le tigri?

— Tutte morte.

— E l’incendio?

— Si spegne! — gridò il pilota accorrendo.

— Si spegne! — esclamarono Anna e il capitano.

— Sì — rispose il vecchio marinaio. — Altro non arde che un cumulo di rottami ardenti, ma che con poche pompate spegneremo.

— È un miracolo questo! — esclamò il capitano Hill.

— Lo credo, signore — rispose Asthor.

— Ed i naufraghi? — chiese Anna.

— Sono fuggiti ieri sera, e a quest’ora devono essere assai lontani — rispose il capitano. — Ma il cuore mi dice che un giorno io li ritroverò, e allora guai a loro!...

— L’avete ucciso Bill?

— Asthor sparò contro di lui un colpo di pistola, facendolo stramazzare in mare dalla murata di poppa. Quando quei miserabili abbandonarono la Nuova Georgia, egli non dava più segno di vita.

— Infame! — esclamò Anna.

— Dimmi — disse il capitano. — Passarono dal quadro di poppa quei furfanti?

— Sì — rispose Anna. — Attraversarono il salotto e scesero nelle scialuppe passando per la finestra.

— E Bill?...

— Bill lo udii entrare poco dopo e bussare alla mia cabina. Avevo sentito le tue grida, sapevo ormai che le tigri erano sul ponte e mi ero chiusa dentro armandomi d’una pistola.

— Continua, Anna.

— Gli chiesi cosa volesse, e mi rispose che voleva salvarmi. Non sapendo ancora chi egli precisamente fosse, ed ignorando che era d’accordo coi suoi compagni, aprii e vidi che teneva in mano la cassetta contenente i tuoi valori. Solo allora la benda mi cadde dagli occhi.

«Cosa avete rubato?» gli chiesi.

«I dollari di vostro padre» mi rispose egli sogghignando. "Ho pensato che possono servire più a me che agli altri."

«Andatevene, o vi uccido!» gridai io, mostrandogli la pistola.

Egli si mise a ridere dicendomi:

«Me ne andrò, ma insieme con voi, perchè io vi amo!...»

«Andatevene!» ripetei alzando l’arma.

«Ah!... Ah!...» esclamò egli ironicamente. «La colomba si crede forte, ma io sono uno sparviero che non ha paura.»

Fece atto di gettarsi addosso a me. Avevo l’arma alzata; tesi il braccio, feci fuoco e richiusi la porta barricandomi dentro col tavolo.

Lo sentii mandare un grido di dolore, poi s’allontanò imprecando, e dal modo che camminava compresi che l’avevo ferito, poichè s’arrestò più volte sulla scala.

— Miserabile! — esclamò il capitano. — Ora comprendo tutto... egli ti amava!... Sì... mi ricordo che ti guardava sempre in istrana guisa e che ti seguiva ognora pel ponte... Egli si era proposto di rubarmi la nave e te insieme, capisci!... Quale trama infernale!... Mio Dio!...

— Ma chi credi che siano quegli uomini?

— Dei forzati, Anna, degli evasi dal penitenziario dell’isola di Norfolk! Sia maledetto il giorno in cui raccolsi quell’uomo sul tempestoso oceano. Bella riconoscenza!... Orsù, non pensiamo più a costoro, ma occupiamoci di noi. Asthor!...

Il marinaio, che stava preparando una pompa, accorse con la massima prestezza.

— Vi è molto fumo nella stiva? — gli chiese il capitano.

— No, signore — rispose egli.

— Si può discendere?

— Sì.

— Andiamo a vedere, adunque.

Detto fatto, lasciarono il ponte e scesero la scala che metteva nel frapponte.

Dalla dispensa uscivano ancora, ad intervalli, delle nubi di fumo, ma non era più nè denso nè puzzolente; anche dal profondo della stiva qualche leggero getto saliva.

— L’incendio si spegne da ambe le parti — disse il capitano. — Come succede ciò?

— Non so davvero come spiegare questo miracolo — rispose il pilota. — Eppure ieri sera il fuoco ardeva vigorosamente.

— Andiamo innanzi, vecchio mio.

Tenendosi curvi per evitare il fumo che rasentava la vôlta del frapponte, s’avvicinarono alla dispensa la quale era sparsa di legni ancora ardenti, ma che parevano che fossero lì lì per ispegnersi.

— Odi! — esclamò ad un tratto il capitano, arrestandosi bruscamente.

— Toh! — esclamò il pilota. — Si direbbe che cade dell’acqua sul fuoco.

— Di dove viene? Pompano i nostri uomini?

— No, — rispose il pilota.

Il capitano si spinse più innanzi, e tornò ad arrestarsi esclamando:

— Guarda, Asthor!

Il vecchio marinaio guardò nella direzione indicata, e vide una larga apertura dalla quale entravano dei getti d’acqua spumeggiante.

— Ora comprendo! — esclamò. — Il fuoco ha intaccato i corbetti ed ha aperto una falla; le onde entrano rimbalzando contro la prua della nave. Senza quel buco provvidenziale, l’incendio non si sarebbe spento.

— È vero — disse assentendo col capo il capitano. — Siano benedette quelle onde!

— Purchè quell’apertura non comprometta, più tardi, la sicurezza della Nuova Georgia.

— La tureremo, Asthor.

— Ma come si è spento il fuoco scoppiato nella stiva?

— Ora lo sapremo. —

Lasciarono il frapponte e scesero nella stiva. Appena giunti nel fondo, s’accorsero che vi era un buon palmo d’acqua.

— Tutto si spiega — disse il capitano. — L’acqua entrata dalla falla si è riversata qui ed ha spento il secondo incendio. Risaliamo, Asthor. —

Lasciarono la stiva e tornarono in coperta.

— Ebbene? — chiese Anna.

— Il nostro legno pel momento è salvo — rispose il capitano. — Alle pompe, giovanotti!...

Le braccia erano scarse, ma fortunatamente erano robuste. In pochi istanti la pompa maggiore fu armata, il capitano ed i suoi quattro marinai impugnarono le traverse e si misero a lavorare con febbrile attività, mentre Anna, che non voleva essere da meno degli altri, dirigeva il getto sui fumanti rottami della dispensa e della camera comune.

Le onde che lanciavano senza interruzione larghi getti d’acqua attraverso l’apertura fatta dall’incendio, li aiutavano con efficacia.

Il fumo diventava di minuto in minuto meno denso, ed i tizzoni si spegnevano rapidamente con lunghi sibili. A mezzodì il fuoco era del tutto spento. Il capitano chiamò attorno a sè i marinai e disse loro:

— Ascoltatemi, amici; la nostra situazione, quantunque il fuoco sia stato spento, non è bella ma nemmeno disperata. La mia intenzione è quella di poggiare sull’isola più vicina, su quella Tanna che è una delle più note e che è popolata da polinesiani non troppo cattivi e colà costruirci una navicella con gli avanzi del nostro vascello. Tentare di raggiungere l’Australia con un legno ridotto a così mal partito sarebbe una pazzia, un voler affrontare una morte certa. Approvate il mio progetto?

— Credo che sia il migliore — disse Asthor.

— Ebbene, rattopperemo alla meglio questa povera Nuova Georgia a spiegheremo le vele per Tanna. Al lavoro, compagni, e senza perder tempo!

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