< Un dramma nell'Oceano Pacifico
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26. L'assalto della caverna Conclusione




Capitolo Ventesimosettimo.

BILL PRESO



Per i due miserabili era finita; la loro cattura non era più che questione di ore, forse di minuti. Ormai la loro fuga non poteva riuscire, dacchè erano stati scoperti ad una così breve distanza.

È vero che attraverso a quelle intricate boscaglie, mezzo chilometro era tuttavia un bel vantaggio; ma Mac Bjorn doveva essere stremato di forze e il suo compagno non poteva accelerare il passo, ferito come era e zoppicante.

Collin e il capitano, che sospiravano il momento di agguantarli, si slanciarono dietro a Paowang che era già partito, seguìto dai marinai e dai dieci indigeni.

Attraversata la cresta della collina, scesero in una piccola valle e ripresero la salita di quella seconda montagna, procurando di dirigersi verso il luogo ove avevano veduto apparire la testa dell’allampanato Mac Bjorn.

Abbattendo con furore le piante che loro impedivano il cammino, dopo venti minuti di rapida ascensione raggiungevano la macchia di cespugli, contro la quale Asthor e Fulton avevano fatto fuoco, nella speranza di abbattere i due forzati.

— Li vedi, Paowang? — chiese Collin.

— Non vedo che un cappello — rispose il selvaggio.

— Da’ qua!...

Paowang gli porse un berretto da marinaio che aveva trovato in mezzo ai cespugli.

— È quello di Mac Bjorn — disse il capitano.

— Ed è forato da una palla — soggiunse Asthor.

— Cerchiamo — riprese Collin.

— Toh!... Cos’è questo! — esclamò Mariland indicando delle erbe macchiate di rosso.

— È sangue — affermarono i due comandanti.

— Che Mac Bjorn sia stato ferito? — chiese Asthor.

— O lui o Bill di certo — rispose il capitano.

— Tanto meglio; li raggiungeremo più facilmente — disse Collin. — Vedi nulla, Paowang?

— Sì — rispose il selvaggio che guardava in alto. — Ho veduto ancora i cespugli muoversi.

— Dove?

— Lassù, a trecento passi.

In quell’istante una detonazione echeggiò in alto, e una palla fischiò agli orecchi del capitano, abbattendo un selvaggio che gli stava dietro.

Una nube di fumo si alzò in mezzo ad una macchia, disperdendosi lentamente.

— A terra! — gridò Collin.

— Diamine, grandina! — esclamò Asthor gittandosi dietro il tronco d’un albero. — Ci sono molto vicini, a quanto sembra.

Collin e il capitano puntarono le loro carabine verso il cespuglio, su cui ondeggiava ancora la nuvoletta di fumo, e fecero fuoco simultaneamente.

Un urlo di dolore rimbombò sulla montagna, seguìto poco dopo da una voce che gridava:

— Questa volta ci sono!...

— È Mac Bjorn! — gridarono i marinai.

— È toccato! — gridò Collin.

— Attenti alle teste! — tuonò Asthor.

Un macigno del peso di mezzo quintale scendeva rimbalzando giù per i fianchi della montagna, schiantando sul suo passaggio i cespugli ed i tronchi dei piccoli alberi. Passò a soli cinque metri dalla piccola banda.

— Non hai l’occhio giusto, Mac Bjorn! — gridò Asthor.

— Si fa quello che si può — rispose il bandito col suo solito accento beffardo.

— Ma noi faremo di più pel tuo collo, brigante! — gridò Collin.

— Se mi troverete vivo!...

— Avanti, ma attenti ai sassi e alle palle — disse il capitano.

— Un momento, signore — disse Asthor, fermandolo. — Ora gli manderò uno dei miei confetti. —

A rischio di ricevere una palla nel cranio, s’arrampicò sull’albero che fino allora lo aveva protetto, si pose a cavalcioni di un ramo, procurando di confondersi fra il fogliame e puntò la carabina mirando con profonda attenzione.

Un minuto dopo premeva il grilletto. La detonazione fu seguìta da un secondo grido.

— Ci sei? — chiese Asthor.

Nessuno rispose; ma poco dopo si udì una voce fioca, ma ancora beffarda che diceva:

— Ho avuto il mio avere!...

— Ha dell’audacia quel manigoldo! — esclamò Collin pieno di stupore. — È una disgrazia che sia una canaglia di tre cotte.

— Ma Bill, dove sarà? — chiese il capitano.

— Sarà morto — disse Asthor.

— O a quest’ora fugge — rispose Collin.

— Zitti! — esclamò Fulton.

Sulla montagna si udiva ancora Mac Bjorn che diceva con voce sempre più fioca:

— Fuggi... io ormai... sono spacciato... e la vista mi... si intorbidisce... Bah!... Così... dovevo... finire!...

— Bill ci sfugge! — esclamò Collin. — Avanti! Avanti!

Ripresero l’ascensione dell’alta montagna in fila indiana, cioè uno dietro all’altro per perdere minor tempo ad aprirsi il passaggio. Paowang, il più pratico dei luoghi, si trovava sempre alla testa e recideva le liane e i rami con una sciabola d’abbordaggio.

Raggiunta la macchia superiore, trovarono disteso Mac Bjorn. Il miserabile non dava più segno di vita e il sangue gli usciva in copia da due ferite che aveva sul petto, una a destra e l’altra a sinistra.

Quel furfante pareva che dormisse, e sulle sue labbra vedevasi ancora l’ironico sorriso che non lo abbandonò mai.

— Beffardo visse e beffardo morì! — esclamò Asthor. — Tale doveva essere la sua fine.

A pochi passi dal bandito si trovava la sua carabina, e più in là Grinnell raccolse una cassetta, quella che Bill aveva rubata al capitano.

Fu subito aperta, ma non conteneva che pochi dollari e poche carte.

— Dove sono andati gli altri? — si chiese Asthor.

— Se li sarà presi Bill — rispose il capitano.

— Ci tiene al denaro rubato, l’assassino! Eppure mi sembra che non sia il momento opportuno per caricarsi di tanto peso.

— In marcia! — gridò Collin.

— Eccolo! — gridò Fulton in quell’istante. — Ha lasciato il bosco.

Tutti gli occhi si volsero verso la cima della montagna. Su di una zona che appariva sgombra di piante, si vide Bill, il quale saliva faticosamente zoppicando e barcollando.

— Fermati, o faccio fuoco! — gridò Collin.

Il forzato si volse, e vedendosi osservato si levò di spalla la carabina come se avesse intenzione di scaricarla; ma poi riprese la salita con maggior rapidità, raggiungendo un’altra macchia.

Collin, furioso, puntò il fucile; ma il capitano glielo abbassò.

— È inutile — disse Hill. — Ormai è nostro. —

Infatti pel forzato era proprio finita. Soli trecento metri lo separavano dai suoi insecutori; la sua gamba ferita e la stanchezza non gli permettevano più di camminare lesto, e la cresta della montagna era ancora alta.

— Un ultimo sforzo, amici — disse il capitano.

Quantunque fossero tutti spossati da quella caccia all’uomo che durava da parecchie ore e dalla lunga marcia fatta nel mattino, salirono quasi a passo di corsa la rapida costa e raggiunsero il margine della foresta.

Più oltre il terreno era quasi spoglio di vegetazione, sparso solamente di poche graminacee e di rocce. Bill, che non poteva più nascondersi, faceva sforzi disperati per guadagnare la cresta della montagna, forse sperando di trovare un rifugio nei boschi dell’opposto versante; ma si capiva che non poteva più reggersi.

Si udiva ansimare fortemente e si vedeva aggrapparsi agli sterpi e alle rupi per aiutarsi, fermarsi per riprendere lena; e poi continuava la salita traballando come un ubriaco.

— Fermati, o ti spezzo le gambe! — gridò Collin.

Il forzato non rispose e continuò a salire.

— Fermati! — ripetè il tenente con tono minaccioso.

Bill questa volta si fermò. I suoi accaniti insecutori erano distanti pochi passi, e avrebbero potuto ucciderlo colla massima facilità.

Incrociò le braccia sul petto, dopo aver gettata via la carabina, e guardandoli fissi disse con voce rotta:

— Ho perduto la partita; pago!... —

Poi si lasciò cadere su di una rupe, prendendosi il capo fra le mani.

Collin che precedeva tutti, gli si precipitò addosso puntando contro di lui il fucile.

— Mi riconosci, miserabile?! — gridò.

Bill alzò il capo mostrando il viso, che in quel momento era più bianco d’un panno lavato, e disse con voce lenta, misurata:

— Vi riconosco; si vede che i morti talvolta ritornano.

— Ed io sai chi sono? — gli chiese Hill, che lo aveva raggiunto.

Un lampo d’odio brillò negli occhi del forzato.

— Voi! — esclamò — Per quale arte diabolica siete qui e vivo? Credevo le tigri vi avessero divorato.

— Ti sei ingannato, assassino, incendiario e ladro. Sono vivo ancora, e qui giunto per farti scontare le tue infamie.

— Uccidetemi adunque, se così vi piace. Ho perduto, e sono pronto a pagare.

— No, la morte sarebbe troppo dolce.

— Cosa intendete di fare? — chiese il forzato con inquietudine.

— Ti ricondurrò alle isole di Norfolk. —

Il viso di Bill divenne ancora più pallido e i suoi lineamenti si contrassero ferocemente.

— È viva ancora vostra figlia? — chiese egli improvvisamente.

— Sì, Dio l’ha protetta.

— Ma perderà voi! — esclamò il bandito.

Poi rapido come il lampo si trasse dalla giubba una pistola già montata e la puntò contro il capitano; ma Grinnell che gli stava accanto lo fece stramazzare al suolo con una calciata di fucile. Il colpo partì, e la palla si perdette altrove.

— Sii maledetto! — ruggì il forzato.

— Legatelo — disse Collin.

I marinai si gettarono su Bill e lo legarono strettamente, non ostante la sua disperata resistenza. Asthor prima lo frugò facendo piovere dalle tasche i biglietti rubati nella cabina del capitano.

— Stanno meglio nelle saccocce del suo proprietario che nelle tue — disse il pilota. — E poi, ai forzati che vanno alle isole di Norfolk il denaro è inutile, vecchia canaglia.

— Ritorniamo — disse Collin. — La notte cala e la via è lunga.

Ad un suo cenno quattro selvaggi levarono Bill e lo trasportarono giù dalla montagna.

Asthor prima di lasciare la vetta guardò in giù, nelle sottostanti pianure e vallate. Nel fondo, presso la collina, alla cui base aprivasi la caverna, egli scorse dei fuochi giganteschi brillare fra gli alberi.

— Guarda — disse rivolgendosi a Grinnell che lo precedeva.

— I selvaggi banchettano colla carne bianca — rispose il marinaio.

— Buon appetito! — gridò Asthor.

E questa fu l’orazione funebre dei compagni dell’infame Bill, degli evasi dal penitenziario delle isole di Norfolk!

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