< Una vita
Questo testo è completo.
XI
X XII


XI


Da allora Alfonso fece visita ad Annetta regolarmente ogni mercoledí. Macario lo aveva avvisato che poteva avvenire che un mercoledí o l’altro trovasse Annetta con opinioni e gusti del tutto mutati e la letteratura abbandonata, ciò che avrebbe significato anche la cessazione di quelle riunioni. Alfonso vi andava temendo di trovare avverata la predizione di Macario. Ci teneva molto a quella riunione altrettanto per la soddisfazione di vedere Annetta che per quella della sua vanità. In ufficio si sapeva che egli frequentava la casa del principale e veniva trattato con maggiore rispetto dai superiori. Anche il contegno di Cellani ne venne modificato. Piú gentile non poteva divenire ma divenne piú famigliare. 

Non pareva che Annetta fosse vicina a dare compimento alla profezia di Macario e sempre piú si esaltava per i suoi nuovi studî. Ogni settimana poteva raccontare di aver pensato qualche cosa di artistico, letto qualche libro che con le esagerazioni del neofita ella dichiarava il piú importante nel genere, quando, per capriccio o avendovi scorto una parte piú debole, non lo demoliva, e ciò sempre col suo abituale tono di competenza, ma spesso trovando detti spiritosi o giudizî acuti che non avevano che il difetto di non trovarsi tutti in buona armonia fra di loro. 

Ospite insolito una sera venne Cellani. Era probabilmente la prima volta che compariva in quella compagnia perché Annetta dovette presentargli Spaiati. Non si trovò a disagio da quanto Alfonso poté giudicare. Non parlò affatto ma stette a udire con grande attenzione. Una volta in una discussione venne chiesto del suo parere. Egli si rifiutò a dirlo sorridendo e asserendo di non averne. Con Annetta sembrava avesse rapporti molto amichevoli. Per quella sera ella si occupò principalmente di lui con cortesia attenta tanto, che diveniva dimostrazione di un affetto rispettoso.

Prarchi interveniva meno spesso a quelle serate perché molto occupato. Fumigi mancava di rado, ma il piú assiduo era Spalati. Come l’aveva detto Macario, Spalati era anzitutto un bell’uomo, una figura erculea accanto alla quale Alfonso pur alto e non magro doveva scomparire. Ad Alfonso non era simpatico. Rimproverava a Spalati la pedanteria, ma l’odiava per gelosia. Ne aveva qualche ragione. Spalati era il piú innanzi nella confidenza di Annetta. Per circa un anno le aveva impartito delle lezioni di letteratura italiana e aveva saputo arrivare ad avere con essa la confidenza dell’insegnante, senza seccarla con troppa dottrina. La lasciava parlare, stava ad ascoltare, approvava o leggermente modificava, sempre contento di venir trattato da pari a pari. 

Sentendosi sempre inferiore con la sua parola impacciata, Alfonso ebbe degli assalti violenti di gelosia, tempeste in un bicchier d’acqua. Al di fuori nulla trapelava per la forzata abituale sua riserva nell’espressione dei suoi sentimenti, la quale tanto maggiore diveniva quanto piú forti erano. 

Una sera se ne andò via prima dicendo di essere indisposto. Voleva dimostrare il suo malumore e si adirò che nessuno lo comprendesse, che tutti credessero nella sua malattia. 

Gironzò per le vie della città malcontento degli altri e di sé. Avendo l’abitudine quando era agitato di monologare, doveva accorgersi del ridicolo che c’era nella sua ira. Anche nel sogno piú astratto una parola precisa pronunziata richiama alla realtà. Egli era giunto a desiderare Annetta, amarla, esserne geloso; ella invece sapeva appena appena quale suono avesse la sua voce. Con chi doveva prendersela? Lo aveva offeso piú di tutto la stretta di mano di congedo ch’ella gli aveva dato freddamente e tenendo gli occhi rivolti a Spalati che continuava a parlare! Avrebbe forse voluto ch’ella si mettesse a meditare sulle cause dell’improvviso pretestato malessere? Un malessere infine non poteva dire nulla quando prima nulla era stato detto per spiegarlo. Poteva capitare a Spalati e andandosene neppure costui avrebbe potuto ottenere altro che l’augurio di buona salute. 

Ironizzando su se stesso si trovò piccolo e malaticcio coi suoi desiderî tanto sproporzionati al possibile, perché egli aveva sognato di venir amato da Annetta! 

Voleva abbandonare il giuoco! Era l’unica via che gli restasse aperta. Non avrebbe fatto piú di quelle visite! Era tempo perduto, prima quello che passava in quella casa e poi dell’altro fuori, per l’agitazione in cui quelle visite lo ponevano. Lo avvilivano! S’era messo in una lotta in cui doveva soggiacere, lui non capace di parlare per piacere ma solo per farsi comprendere, e doveva soggiacere anche per le condizioni in cui si trovava poco atte a sedurre della gente ambiziosa come era quella con cui aveva a fare. Con una scusa qualunque, anzi procurando di non farla credibile, si sarebbe astenuto dal rimettere piú piede in casa Maller. Erano quelle visite che lo avevano fatto deviare dai suoi propositi ferrei di lavoro continuato e senz’accorgersene l’ambizione, nata in lui da poco, andava mutandosi in vanità, il desiderio di venir tenuto da piú di quanto non fosse. 

Gli parve di essere già ritornato alla serietà di propositi che aveva avuta altre volte quando era frequentatore assiduo della biblioteca civica, ma col pensiero ricorreva alla casa donde usciva e sognava scene in cui veniva scongiurato di ritornarci. 

Ci ritornò senz’esserne pregato, unicamente perché alla mattina del mercoledí Macario passando gli aveva gridato: 

— A questa sera, eh! 

Gli otto giorni gli erano sembrati lunghissimi, un intervallo di tempo pieno di avventure, mentre nella sua vita realmente nulla era avvenuto. Aveva pensato soltanto di aver già portato a compimento il suo proposito e sognato mille conseguenze da qualche suo atto energico. Poi s’era trovato libero di ritornare indietro o meglio di rimanere dove era e ne era stato felice. Quegli otto giorni gli rammentarono la sua avventura con Maria. Questa volta il caso e nient’altro gli aveva impedito di fare qualche passo inconsiderato che avrebbe rotto la sua relazione con Annetta. Se l’avesse rotta, che cosa gli sarebbe rimasto? Sarebbe ridivenuto l’umile impiegatuccio di Maller e alle sue ire niuno avrebbe badato. 

Si presentò in casa di Annetta una mezz’ora prima del solito e fu premiato della sua risoluzione perché per la prima volta trovò Annetta sola. Tutti s’erano fatti scusare, meno Macario ch’era ancora atteso. Annetta disse che supponeva non avessero saputo rinunziare ad una festa cittadina e dimostrò la sua gratitudine ad Alfonso dicendogli con dolcezza ch’era lui ad aver torto d’essere venuto a chiudersi in una stanza melanconica. 

— Melanconica, no, certo no! — assicurò Alfonso guardandola arditamente. 

Se ella non avesse mai saputo di essere bella, l’occhiata di Alfonso sarebbe bastata ad apprenderglielo. Egli confessò candidamente ch’era la prima parola che udiva di una festa cittadina per quel giorno. 

— Tanto solitario vive? — chiese Annetta sorpresa. 

S’erano seduti sul canapè accanto alla finestra, il luogo piú illuminato della stanza. Attraverso ai pesanti cortinaggi entravano vieppiú mitigati i colori del tramonto. 

Nella contrada parallela alla via dei Forni passava la banda cittadina. Non si udivano che le note dell’accompagnamento e il rombare della grancassa. Stavano zitti a udire. 

— Chissà che cosa suonano? — disse Annetta e spalancò la finestra. La brezza gonfiò i cortinaggi e il suono acuto di una trombetta portò la melodia che era mancata. 

Udirono anche per un istante il susurrio della gente dietro alla banda. 

Ridendo Annetta volse la faccia ad Alfonso rimanendo piegata sul davanzale: 

— Che fra questa gente vi sieno anche i nostri serî amici? 

Dalla luce ove ella era, non poteva scorgere nella penombra Alfonso che l’ammirava senza ritegno. 

Anche il mezzo lutto, il grigio era scomparso. Era vestita di bianco di lana molle e un cordone nero alla vita. Ad onta del loro sviluppo, le forme di Annetta erano molto caste, virginali, con quella schiena rigida, incavata verso il collo, e la faccia bianca con i tratti marcati dell’intelligenza e dell’attività. 

Gli disse di venire anche lui alla finestra ove si respirava molto bene quella brezza nella quale s’era mutata la bora violenta della settimana prima. 

La via era quasi deserta e soltanto su una cantonata c’era un gruppo di persone che guardava all’altra strada. 

— Mi verrebbe quasi quasi voglia di andarci anch’io, — disse Annetta. 

Alfonso era tutto intento a percepire il contatto del suo braccio su quello di Annetta, stuzzicando come al solito il suo desiderio; fece un movimento arrischiato per aumentare la dolce pressione e fu il suo ardire che gli cacciò il sangue alla testa non il contatto col braccio di Annetta poiché nulla aveva di differente da quello di un corpo senza vita. 

Probabilmente Annetta non s’era accorta del suo ardire. Dapprima furono impacciati perché erano vissuti troppo poco insieme per poter trovare con facilità un argomento che ugualmente li interessasse. Quando però l’argomento fu trovato, per la prima volta in quella stanza, la voce di Alfonso echeggiò tranquilla, sonora, e per la prima volta Annetta udí sue frasi compiute. Se non sapeva discorrere con piú persone, Alfonso almeno sapeva dialogare. 

Sorridendo Annetta gli aveva chiesto: 

— E la sua nostalgia? Me ne hanno parlato molto! 

— Non esiste piú! — rispose Alfonso. 

La voce a sua sorpresa era soda, tranquilla. Quella prima frase rimase però ancora mozza perché egli avrebbe voluto fare un complimento e dire che in quel preciso momento non esisteva. Tutta la sua disinvoltura non bastava a fargli dire cosa ardita; piuttosto avrebbe potuto permettergli di farla. 

Una delle affettazioni di Annetta dacché s’era data alla letteratura si era di far mostra di pigliar interesse a tutto e di voler conoscere i moventi di ogni cosa. Gli chiese di spiegargli che cosa fosse la nostalgia.

— È difficile! — cominciò Alfonso — ma qualche cosa credo di poterne dire. 

Raccontò che prima di tutto era una malattia organica perché soffrivano i polmoni per la differenza dell’aria, lo stomaco per la differenza dei cibi, i piedi per la differenza del selciato. Quello che però rinunziava a descrivere era l’intensità del desiderio di rivedere i luoghi che si erano abbandonati, un muro nero, una via tortuosa col canale nel mezzo, infine una stanza incomoda mal riparata dalle intemperie; e non si poteva descrivere l’aborrimento per il palazzo in cui si abitava, alludeva a quello della banca, la via grande, spaziosa, e persino il mare: 

— In quanto alle persone poi... è la stessa cosa. 

— E me odiava molto? 

— Odiarla no! ma avrei voluto essere molto lontano da lei, tanto lontano da essere a casa mia, e non soltanto per essere là, ma anche per non essere qui. 

Temette che quel passato che descriveva con sincerità non sembrasse abbastanza passato e aggiunse delle spiegazioni. Egli odiava tutte le persone che si credeva obbligato di trattare in un dato modo; gli piaceva la libertà, e anche quelli che non erano suoi pari voleva poter trattare come tali. 

Ah! era cosí bello parlare da pari a pari con Annetta. Sentiva la dolcezza di confidarsi a lei con libertà come se monologasse e questa dolcezza diede colore alla sua parola che, per quanto impacciata, fino ad allora era stata da letterato, ricercata e fredda. 

Annetta lo ascoltava sorpresa. Quel giovane sapeva dunque anche parlare oltre che studiare? 

Ella gli spiegò che quando si desiderava qualche cosa nella vita bisognava sapersela conquistare. Alfonso riconobbe l’idea dominante di Macario. 

— Non è difficile di conquistare la mia amicizia. È la prima volta che parla con me. Non se ne sarà accorto, ma è quasi sempre muto. Non era poi mio ufficio di farla parlare. 

Rise togliendo cosí alle sue parole tutto ciò che avrebbero potuto avere di offensivo. Anche Alfonso rise trovando comico quell’uomo che attendeva di venir fatto parlare. 

Furono queste le prime idee che diedero ad Annetta l’intenzione di fare un romanzo insieme. Quel caratterino che le si rivelava con tale ingenuità le sembrò meritevole di venir descritto. Disse con semplicità quale fosse la prima idea venutale improvvisamente, ed era certamente migliore delle modificazioni posteriori. 

— C’era una volta un giovinetto che venne da un villaggio in una città e il quale s’era fatto delle idee ben strane sui costumi della città. Trovandoli in fatti differenti da quanto aveva ideato si rammaricò. Poi ci metteremo un amore. Ella è stato talvolta innamorato? 

— Io... — e unicamente per la paura gli batté piú forte il cuore. 

Aveva avuto l’intenzione di fare una dichiarazione. 

Annetta fece accendere da Santo il gas e Alfonso fu nello stesso tempo abbacinato dalla luce e messo in istato di misurare quanto falso fosse il passo ch’egli stava per fare. Annetta era sempre la stessa; dava seccamente degli ordini a Santo il quale, e c’era da meravigliarsene, li eseguiva muto. 

Ella lo fece sedere al tavolo. 

— Ci occorrerebbe penna e calamaio... ma preferisco affidarmi per le prime idee alla memoria. Metteremo poi il nero sul bianco. Come farebbe dunque lei a svolgere questo romanzo? 

— Bisognerebbe riflettere a lungo. 

— Ci vuole tanto? Racconteremo la sua vita, — e qui si trovava ancora perfettamente nella prima idea. — Naturalmente invece che impiegato la faremo ricco e nobile, anzi soltanto nobile. La ricchezza serbiamo per la chiusa del romanzo. 

Con un solo balzo leggiero la prima idea era stata abbandonata del tutto. 

— Bisognerebbe lasciar tempo all’immaginazione! 

— Ah! sí! — disse Annetta con la sorpresa di uno scolaretto cui venisse ricordata una massima dimenticata. — Sa cosa faremo? Ognuno per suo conto, indipendentemente del tutto dall’altro, metterà in carta le sue idee. Poi le confronteremo e ci metteremo d’accordo. 

La proposta piacque immensamente ad Alfonso ed ebbe delle espressioni di gioia tanto ingenua che fece sorridere Annetta dalla compiacenza. Gli balenarono alla mente alcune buone idee per il romanzo ch’egli riteneva di aver compreso come dovesse essere per risultare conforme al desiderio di Annetta. Non vedeva che queste piccole buone idee, non il tutto. Non pensava del resto alla stampa e al pubblico. Per il momento non mirava ad altro che a fare buona figura con Annetta. 

Parlarono dei lavori che fino allora avevano fatto. Annetta descrisse un suo romanzo, la biografia di una donna unita a un uomo non degno di lei. Si trattava di un’anima d’artista che col tempo faceva sí che il carattere del marito mutasse, e i due finivano coll’intendersela e vivevano insieme per molti anni in una felicità perfetta. 

Ad Alfonso l’argomento non piaceva, ma Annetta accentuava che non poteva dire tutto quanto aveva scritto, che qui aveva descritto con grande accuratezza un paesaggio, là un’abitazione e Alfonso si mise ingenuamente ad ammirare quello che non c’era. 

Alfonso descrisse il suo lavoro sulla morale. Parlandone gli pareva di averlo fatto tutto e seguendo un sistema opposto a quello di Annetta descrisse anche quello che non aveva fatto. Le indicò il nocciuolo dell’opera, la negazione anzitutto della morale come tutti l’intendono fondata su una legge religiosa o sul bene individuale. 

— Se in una società fondata sulle nostre idee morali, — disse Alfonso — si trovasse un individuo avente l’energia di porsi al disopra di tutte queste idee, starebbe meglio di tutti, naturalmente avendo l’intelligenza superlativa occorrente per agire con astuzia e abilità nelle circostanze anormali nelle quali ben presto si troverebbe. 

Annetta lo guardava meravigliata della singolare arditezza di tale assioma esposto con quella voce ch’ella fino a poco tempo prima non aveva udito che in un balbettio timido e tronco. Poi, con meno parole e meno energia, egli parlò anche del nuovo fondamento ch’egli voleva dare alla morale. L’esposizione della prima parte del suo lavoro aveva fatto impressione e non poteva sperare di ottenere un effetto eguale con l’altra in cui non si trattava di annientare delle leggi ma di fabbricarne, cosa noiosissima. 

La gioia di vedersi legato in qualche modo ad Annetta fu tale che credette di poter correre a casa e stendere alla brava tutto l’argomento di un romanzo, fissandone anche i capitoli. Era cosa sorprendente quella di essere divenuto tutto ad un tratto il collaboratore di Annetta, e quando ripensava ai sentimenti per lui che nella settimana precedente egli le aveva attribuiti, gli sembrava cosa addirittura incredibile. Se si fosse imbattuto subito in Macario gli avrebbe gettato le braccia al collo per ringraziarlo della grande felicità di cui gli andava debitore e con l’espansione che dà la felicità gli avrebbe raccontato della proposta di Annetta e del valore ch’egli attaccava a tale proposta. 

Intanto quella stessa sera una parte del suo entusiasmo venne raffreddato. Stese l’argomento nel minimo spazio possibile: «Un giovane nobile impoverito viene a cercare fortuna in città... perseguitato dal principale e dai compagni... amato da costoro perché con atto intelligente salva la casa da grossa perdita... sposa la figlia del principale.» L’argomento in sé non era originale di molto, ma quello che piú gli dispiacque fu la chiusa del romanzo che da Annetta non era stata neppure proposta per quanto naturalmente derivasse dalle premesse. Quel matrimonio poteva sembrare una proposta e allarmare Annetta rendendolo sospetto di scopi simili a quelli del loro eroe. S’accorse inoltre, allorché ebbe la penna in mano, che non sapeva per bene che cosa veramente Annetta volesse. S’erano ambidue accontentati di mezze parole, egli perché nella sua felicità non s’era rammentato della cosa insignificante ch’era il romanzo, Annetta forse perché tanto inesperta da non sapere tutto quello che occorreva per fare un romanzo. 

Si rivolse a Macario pregandolo di comunicare i suoi dubbî ad Annetta. Macario aveva l’accesso libero in casa Maller e poteva parlare con lei prima del mercoledí. 

Ma Macario parve ne avesse poca voglia. Non celò la sua sorpresa all’udire della loro intenzione di fare un romanzo in collaborazione. Quantunque Alfonso si fosse già moderato, avesse compreso che non era dignitoso di dimostrare troppa gioia e gli sembrasse anche che gli era riuscito di apparire molto freddo, Macario lo guardò con un cattivo sorriso ironico dicendogli: 

— Le mie congratulazioni! 

Alfonso accompagnò Macario al suo ufficio. Macario sembrava molto distratto e quando egli gli disse con serietà che si sentiva onorato dalla proposta di Annetta e che voleva corrispondere a tanta fiducia con un lavoro continuo e accurato, Macario si coprí la bocca con la mano come se avesse avuto da celare uno sbadiglio. Alfonso era abbastanza buon osservatore per non credere a quello sbadiglio; aveva veduto sotto la mano la bocca aperta ma inerte, non contratta dal movimento istintivo. Macario era geloso! Tanto la distrazione quanto lo sbadiglio erano affettati, intesi a nascondere un’ira, un dolore. 

Alfonso continuò a parlare col medesimo calore perché quando s’accorgeva di qualche cosa che gli si voleva nascondere, sua prima cura era di dissimulare d’essersene accorto. 

— Mi faccia il piacere di dire alla signorina Annetta ch’io sono disposto a cominciare subito il lavoro, ma che mi occorrerebbe di sapere un poco piú precisamente quello che ho da fare. 

— Va bene! — disse Macario che ad Alfonso sembrò un poco piú pallido del solito — quando avrò l’occasione di vederla, glielo dirò. 

Gli dispiacque di aver parlato con Macario. Certo era che sull’amicizia di Macario egli non poteva piú contare. Forse Macario non amava Annetta, Alfonso non poteva saperlo, ma era geloso di lui anche se solo per carattere geloso. Egli non aveva capito prima questo carattere perché era la prima volta che a Macario poteva aver dato ragioni di gelosia. Per il suo spirito e per la sua posizione sociale, Macario doveva essersi sentito sempre superiore a lui, ed era probabilmente appunto per avere piú di spesso la soddisfazione di sentire e far sentire tale superiorità che aveva ricercato la sua compagnia. Probabilmente Macario lo aveva portato in casa Maller supponendolo tanto timido da non poter giungere giammai alla confidenza e all’amicizia di Annetta. 

S’era dunque confidato ad un nemico e già gli aveva dato la possibilità di nuocergli, perché era probabile che Annetta desiderasse non si risapesse del loro progetto. Per quanto avesse voluto simulare freddezza, la sua gioia doveva essere trasparita e Macario era uomo capace di descriverla con esagerazioni ad Annetta. Lo vedeva riferire qualche frase sollevando quella sua mano talvolta piú maligna della sua lingua e si figurava che bastasse per togliergli l’amicizia di Annetta, conquistata con tanta fatica. Si rammentava come era stato trattato quell’impiegato che aveva osato di corteggiare Annetta. 

Anche quegli otto giorni furono poco aggradevoli, perché il timore di venir tacciato di poca delicatezza gli tolse la gioia dell’improvvisa amicizia di Annetta. Aveva atteso inutilmente di giorno in giorno qualche comunicazione da Macario in risposta alla domanda che gli aveva fatta; dunque costui non si curava neppure di celare il suo malvolere! Sembrava lo evitasse, perché in tutta la settimana non gli riuscí di vederlo. 

Si recò da Annetta ansioso di apprendere come si fosse contenuto Macario; lo avrebbe appreso dall’accoglienza che gli sarebbe stata fatta. 

Era adunata nel tinello tutta la compagnia composta di Fumigi, Spalati, Prarchi e Macario, e vi rimase per una mezz’ora anche Maller. Macario salutò Alfonso con un sorriso non cattivo, Annetta gli strinse la mano con calore. La sua amicizia non era diminuita dall’ultimo mercoledí. Alfonso venne portato improvvisamente ad altre idee ma non poté neppure gioire di essere stato tolto alle sue preoccupazioni perché la presenza di Maller lo disturbava, per quanto ne avesse avuto una stretta di mano amichevole per saluto. 

Francesca sedeva in disparte sul canapè, con un ricamo in mano. Alfonso la salutò andando a lei che si alzò per dare maggior calore alla sua parola come sempre asciutta e alquanto brusca. Non si trovava mai in imbarazzo la signorina Francesca. Egli l’aveva udita parlare amichevole e allegra oppure irritata, sempre però brevemente con un fare deciso da persona che non si lascia imporre. Maller sedeva alla destra di Annetta, Spalati alla sinistra. Costui era sempre seduto accanto ad Annetta e sembrava che molto ci tenesse. 

Alfonso, quantunque piú degli altri turbato dalla presenza di Maller, poté notare quanto costoro mutassero il loro contegno per tale presenza. 

Era l’epoca in cui quando si parlava di letteratura necessariamente si discuteva di verismo e di romanticismo, comoda questione letteraria a cui tutti potevano prendere parte. 

Maller era partitante del verismo, però, volendo sembrare piuttosto spiritoso che dotto, confessava che i veristi gli piacevano piú che altro perché non erano morali. Del resto faceva mostra di disprezzarli perché pensava che coi loro metodi fosse facile di giungere alla popolarità. 

Spalati, di cui le massime, per quanto Alfonso ne sapesse, non dovevano troppo bene accomodarsi ai gusti di Maller, trovò subito il punto di vista dal quale poteva consentire al giudizio di Maller: 

— Sí, ella che legge unicamente per diletto ha ragione di trovarci gusto. 

Prarchi volle fare troppo. Volle provare a Maller, che lo negava, che il piacere che trovava a leggere quegli autori immorali derivava da un senso artistico inconscio. 

— Ella crede di amarli per la ragione che dice, ma è certo che, senza ch’ella se ne accorga, sono i pregi artistici di quei libri che glieli fanno piacere. 

— Sarà come ella dice, — disse Maller che sembrava di non comprendere che i due letterati facevano del loro meglio per lusingarlo — non capisco però perché certe pagine, che io mi so, piú mi piacciano. Saranno forse le piú artistiche.

Se aveva compreso che lo si voleva adulare, derideva allegramente gli adulatori. 

Quando Maller aveva cominciato a fare le sue confessioni letterarie, Annetta disse ad alta voce ad Alfonso: 

— Stia attento perché ne sentirà delle grosse. 

Alfonso stette meno attento precisamente perché agitato dalla frase che in quel generale discorrere gli perveniva come un regalo inaspettato. 

Maller ben presto si alzò e salutò tutti con un inchino. Si diresse verso Francesca seguito dallo sguardo attento di Alfonso. Sembrava che Francesca non si accorgesse ch’egli si avvicinava, ma quando le fu vicino, senza curarsi di affettare sorpresa, alzò gli occhi dal lavoro, lo guardò calma e gli stese la manina ch’egli altrettanto calmo strinse nella sua: 

— Perché si rovina la vista facendo di tali lavori? 

Ella ritirò la mano ch’egli ancora avrebbe trattenuto: 

— Non mi fa male. 

Quando Maller passò ancora una volta dinanzi al tavolo per uscire, gli uomini si alzarono per salutare. L’unica che alla sua uscita non aveva né da sentirsi sollevata né da mutare contegno era Annetta. 

Soltanto all’atto di congedarsi, Annetta sottovoce chiese ad Alfonso a che punto fosse il romanzo. 

— Non ho saputo far nulla perché c’è il guaio che ancora non so che cosa fare. 

Dopo aver riflettuto per un istante, Annetta gli disse a bassa voce: 

— Venga domani alle sette; può? 

— Certo! — e si sentí battere il cuore. 

Cosí a bassa voce si davano anche gli appuntamenti amorosi. 

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.