< Viaggio al centro della Terra
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Jules Verne - Viaggio al centro della Terra (1864)
Traduzione dal francese di Anonimo (1874)
XXXV
XXXIV XXXVI

XXXV.

Venerdì, 21 agosto. — Il magnifico geyser è scomparso. Il vento ha frescato e ci ha rapidamente allontanati all’isola Axel. I muggiti si sono estinti a poco a poco.

Il tempo, se è permesso di così esprimerci, muterà fra poco. L’atmosfera si fa grave di vapori che trasportano l’elettricità formata dall’evaporazione delle acque saline. Le nuvole si abbassano sensibilmente e si tingono uniformemente d’un colore olivastro. I raggi elettrici possono appena passare la cortina opaca che nasconde il teatro in cui sta per esser rappresentato il dramma delle tempeste.

Io mi sento particolarmente impressionato, come è sulla terra ogni creatura all’approssimarsi d’un cataclisma.

I cumulus1 ammucchiati nel sud hanno un aspetto sinistro e serbano quell’apparenza spietata ch’io soventi volte ho notato nel principio degli uragani; l’aria è greve, il mare tranquillo.

In lontananza i nuvoli rassomigliano a grosse balle di cotone ammonticchiate in disordine; a poco a poco si gonfiano e perdono in numero ciò che guadagnano in grandezza. Il loro peso è tale che non possono staccarsi dall’orizzonte. Ma al soffio delle correnti elevate, si fondono a poco a poco insieme, si rincupiscono e si presentano in breve come uno strato unico di aspetto spaventevole. A volte un gomitolo di vapori ancora rischiarato rimbalza sopra quel tappeto grigiastro e si perde nella massa opaca. Evidentemente l’atmosfera è satura di fluidi. Io ne sono tutto impregnato: i capelli mi si rizzano sul capo come al contatto d’una macchina elettrica. Parmi che se i miei compagni mi toccassero in questo momento riceverebbero una scossa violenta.

Alle dieci del mattino i sintomi dell’uragano sono più determinati. Si direbbe che il vento si allenti per riprender vigore: la nuvola rassomiglia a un otre immenso in cui si accumulano gli uragani. Non vo’ già credere alle minaccie del cielo, e tuttavia non posso trattenermi dal dire:

«Ecco un cattivo tempo che si prepara.»

Il professore non risponde: il vedere l’oceano prolungarsi indefinitamente dinanzi a’ suoi occhi lo rende d’umore insopportabile. Alle mie parole non fa che stringersi nelle spalle.

«Avremo un uragano, dico, indicando l’orizzonte. Quelle nuvole si abbassano sul mare come per schiacciarlo!»

Silenzio generale. Il vento tace; la natura sembra morta e non respira più. La vela ricade in pesanti pieghe sull’albero alla cui cima incomincio a vedere un lieve fuoco di S. Elmo. La zattera se ne sta immobile nel mezzo d’un mare massiccio, senza ondulazioni. Ma se non camminiamo più, a qual pro serbare questa tela che può perderci al primo urto della tempesta?

«Ammainiamo, dico io: abbattiamo l’albero, sarà cosa prudente.

— No, per mille diavoli! grida mio zio; cento volte no! Che il vento c’incolga, che l’uragano ci trasporti, ma che io veda una buona volta le roccie d’una costa quando pure la nostra zattera dovesse spezzarvisi contro in mille frantumi!»

Queste parole non sono ancora pronunciate che l’orizzonte del sud muta d’un subito d’aspetto. I vapori accumulati si risolvono in acqua, e l’aria accorrendo con violenza per colmare i vuoti prodotti dalla condensazione diventa uragano. Essa viene dalla estremità più remota della caverna. L’oscurità raddoppia, ed è a gran fatica ch’io posso prendere qualche nota incompiuta.

La zattera si solleva e rimbalza. Mio zio stramazza di peso, io mi trascino fino a lui: egli si è aggrappato fortemente a un capo della gomena e sembra osservare con piacere lo spettacolo degli elementi scatenati.

Hans non si muove. I lunghi capelli spinti dall’uragano intorno alla faccia immobile gli danno una fisonomia bizzarra, perchè ogni estremità è irta di scintille luminose.

Il suo aspetto spaventevole è quello d’un uomo antidiluviano contemporaneo degli ictiosauri e del megaterio; nondimeno l’albero resiste; la vela si gonfia come una bolla che sta per scoppiare. La zattera fila con una velocità che non posso stimare, ma meno presto tuttavia delle goccie d’acqua che rimuove, la cui rapidità percorre delle linee rette e distinte.

«La vela, dico io, facendo segno di abbassarla.

— No! risponde mio zio.

Nej,» aggiunge Hans, tentennando dolcemente la testa.

Intanto la pioggia forma una cateratta muggente all’orizzonte verso il quale noi corriamo pazzamente, ma prima ch’essa arrivi fino a noi il velo delle nuvole si straccia, il mare ribolle e l’elettricità, prodotta da una vasta azione chimica che avviene negli strati superiori, è posta in gioco. Al rumore del tuono si mescolano i bagliori scintillanti della folgore; lampi innumerevoli s’incrociano in mezzo alle detonazioni; la massa dei vapori diviene incandescente; la gragnuola che batte il metallo dei nostri utensili e delle armi, si fa luminosa; le onde sollevate sembrano altrettanti monticoli ignivomi sotto i quali cova un fuoco interno e di cui ogni cresta è impennacchiata di fiamme.

Ho gli occhi abbarbagliati dall’intensità della luce e le orecchie rotte dal rumore della folgore; bisogna ch’io m’afferri all’albero il quale piega come una canna sotto la violenza dell’uragano!!!

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Qui le mie note di viaggio divennero incompiute: non ho più ritrovato che alcuni appunti fuggitivi presi per così dire meccanicamente; ma nella loro brevità, ed oscure come sono ritraggono la situazione meglio che non saprebbe fare la mia memoria.

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Domenica, 23 agosto. — Dove siamo noi? Trasportati con incommensurabile rapidità.

La notte fu spaventevole. L’uragano non ha tregua. Viviamo in mezzo a rumori, a scoppi incessanti; le nostre orecchie fanno sangue; non è possibile scambiar parola.

I lampi non cessano un momento. Vedo saette retrograde che dopo una rapida discesa risalgono dal basso in alto e vanno a battere nella vôlta di granito. Se mai crollasse! Altri lampi si biforcano e prendono forma di globi di fuoco che scoppiano come bombe. Nè il rumore generale sembra accrescersi; esso ha passatoi limiti di intensità che orecchio umano può percepire, e quando pure tutte le polveriere del mondo scoppiassero in una volta sola noi non potremmo intendere di più.

Vi ha emissione continua di luce alla superficie delle nuvole. L’elettricità si sprigiona incessantemente dalle loro molecole, Evidentemente i principii gasosi dell’aria sono alterati; colonne innumerevoli d’acqua si slanciano nell’atmosfera e ricadono spumeggiando.

Dove andiamo noi?... Mio zio è sdraiato all’estremità della zattera; il calore raddoppia: guardo il termometro che indica.......(Il numero è cancellato).

Lunedì, 24 agosto. — Non la finiremo mai? E non potrebbe lo stato di questa atmosfera così densa, modificato una volta, farsi definitivo?

Siamo affranti di stanchezza, Hans come al solito. La zattera corre invariabilmente verso il sud-est. Abbiamo fatto più di dugento leghe dall’isola Axel.

A mezzodì la violenza dell’uragano raddoppia. Ci bisogna assicurare solidamente tutti gli oggetti che compongono il nostro carico; noi stessi ci leghiamo, i flutti passano sopra il nostro capo.

Da tre giorni non ci riesce di rivolgerci una sola parola; apriamo la bocca, muoviamo le labbra, ma non ne esce alcun suono apprezzabile; non possiamo intenderci nemmeno parlandoci all’orecchio.

Mio zio si è accostato a me; ha pronunziato qualche parola; credo che m’abbia detto: «siamo perduti.» Non ne sono certo.

Prendo il partito di scrivergli queste parole: «ammainiamo la vela.»

Mi fa segno che acconsente.

Egli non ha avuto tempo di risollevare il capo dal basso in dito, quando un disco di fuoco apparisce sull’orlo della zattera. L’albero e la vela si sono staccati insieme involandosi a prodigiosa altezza, a somiglianza del pterodactilo, fantastico uccello dei primi secoli.

Lo spavento ci agghiaccia. La palla per metà bianco per metà azzurro, grosso come una bomba di dieci pollici, si muove lentamente girando con meravigliosa velocità; s’accosta e si allontana, si posa sopra una delle assi della zattera, balza sul sacco delle provvigioni, ridiscende leggiermente, rimbalza, sfiora il barile di polvere Orrore! Lo scoppio è imminente! No. Il disco abbarbagliante se ne scosta; va presso ad Hans, il quale lo guarda fissamente; presso a mio zio, che si precipita in ginocchio per evitarlo; poi presso a me; impallidisco e fremo; mi danza vicino ai piede che cerco di ritirare senza riuscirvi.

Un odore di gas nitroso impregna l’atmosfera, penetra nella gola, nei polmoni. Si soffoca.

Perchè non mi riesce di ritirare il piede? Gli è come se fosse inchiodato alla zattera! Ah! la caduta di questo globo elettrico ha calamitato tutto il ferro di bordo; gli strumenti, gli utensili, le armi si agitano, si urtano; i chiodi delle mie scarpe aderiscono con forza ad una lastra di ferro incrostata nel legno. Non posso distaccare il mio piede!

Alla fine mi vien fatto di liberarlo con uno sforzo disperato, nel momento in cui la palla stava per afferrarlo e trascinarmi nel suo movimento giratorio.

Ah! qual luce intensa! il globo scoppia! noi siamo coperti da un getto di fiamme!

Poi tutto si spegne. Ho appena il tempo di vedere mio zio disteso sulla zattera, ed Hans sempre al timone, sputando fuoco sotto l’influenza dell’elettricità che lo compenetra.

Dove andiamo noi? dove andiamo noi?

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Martedì, 25 agosto. — Mi ridesto da un lungo svenimento, l’uragano continua; i lampi si scatenano come una nidiata di serpenti lanciati nell’atmosfera.

Siamo noi sempre in mare? Sì, e trasportati con una velocità incalcolabile. Siamo passati sotto l’Inghilterra, sotto la Manica, sotto la Francia, sotto tutta l’Europa forse.

Un nuovo rumore si fa udire! Evidentemente, il mare che si frange contro delle roccie!.... Ma allora.....

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  1. Nuvole di forma rotonda.


Note

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