< Viaggio sentimentale di Yorick (1813)
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Laurence Sterne - Viaggio sentimentale di Yorick (1768)
Traduzione dall'inglese di Ugo Foscolo (1813)
XXIX. Amiens, e la Lettera
XXVIII XXX

XXIX. AMIENS


La fortuna non arrideva a La Fleur; e non solo gli si mostrò poco amica nelle sue imprese cavalleresche1 — ma da ch’ei s’arrolò mio scudiere, ed erano omai ventiquattr’ore, gli fu avarissima di occasioni da poter segnalare il suo zelo. L’anima sua spasimava già d’impazienza; quando capitò la lettera di madame de L***. E La Fleur afferrando questo primo praticabile incontro, invitò il servo in un salotto della locanda, e ad onore del proprio padrone lo trattò di due bicchieri del vino migliore di Piccardia: e il servo in contraccambio, e per non cedere in cortesia, lo condusse à l’hôtel del conte de L*** dove La Fleur, perchè avea il passaporto spiegato sul viso, s’affratellò in grazia della sua prévenance, con tutta la gerarchia della cucina. E siccome un francese, qualunque abilità egli possieda, non ha ritrosía veruna a sfoggiarla, non erano corsi cinque minuti, che La Fleur s’era già tratto di tasca il suo piffero, e menando egli la danza, mise in ballo al primo preludio la fille de chambre2, il maître d’hôtel, il cuoco, la guattera, tutti i servi, i cani, i gatti, e un vecchio scimiotto: nè credo che dal diluvio in qua vi sia stata mai cucina più allegra.

Passando dalle stanze del del conte alle sue, madame de L*** udì quel tripudio. Suonò chiamando la fille de chambre, e ne chiese; e come seppe che il valletto del gentiluomo inglese avea col suo piffero messa in brio la famiglia, comandò ch’ei salisse.

Ma il cattivello, che non sapeva come presentarsele a mani vote, saliva le scale addossandosi mille e più complimenti in nome del suo padrone — v’aggiunse una serie d’apocrife inchieste sulla salute di madame — le significò che monsieur suo padrone era au desespoir3 temendo ch’ella si risentisse de’ disagi del viaggio — e per dir tutto, che monsieur aveva ricevuta la lettera di cui madame l’onorò — E mi onora egli, disse madame de L*** interrompendo La Fleur, di un biglietto in risposta?

Madame de L*** lo interrogò con tanta fiducia che a La Fleur non bastò l’animo di contraddirle — e gli tremava il cuore per l’onor mio — e probabilmente per l’onore suo proprio, come s’egli fosse uomo da starsi con un padrone trascurato en égards vis-à-vis d’une femme — e non sì tosto madame de L*** gli domandò se le recava un biglietto — Oh qu’oui, le rispose: e gittandosi a piedi il cappello, e pigliandosi con la mano sinistra la falda della tasca diritta, comincia a frugarvi con l’altra mano — tenta l’altra falda — Diable! — fruga per ogni tasca — tasca per tasca in giro, nè si dimentica del taschino — Peste! — votò dunque le tasche sul pavimento — esponendo un collarino sudicio — un pettine — una pezzuola — un frustino — un cuffiotto — e dava un’occhiata dentro e fuori al cappello — quelle étourderie! aveva lasciato il biglietto sulla tavola della locanda; correva per esso — nè starebbe tre minuti a portarlo.

Io m’alzava da cena quando La Fleur capitò a ragguagliarmi del caso, e me lo contò puntualmente; suggerendomi, con mia buona grazia, che se monsieur (par hasard) si fosse dimenticato di rispondere alla lettera di madame, quest’espediente gli dava adito di ripiegare al faux pas — quando che no, le cose starebbero come stavano.

Veramente io non era certo se la mia étiquette m’ingiungeva di scrivere o no — ma quand’anche io scrivessi — neppure il diavolo poteva adirarsene4 — nè io doveva mostrarmi ingrato allo zelo ufficioso d’un servo tenero dell’onor mio — e quand’anche egli avesse errato — ed io mi vedessi mal mio grado impacciato — non si poteva imputarlo al suo cuore — per verità, non era necessario ch’io rispondessi — ma come mai mortificar quel ragazzo che diceva con gli occhi: Non ho io forse ben fatto? —

— Va tutto bene, La Fleur — dissi; e bastò — Spiccasi, che parea lampo, di camera; torna col calamaio, e con l’altra mano piena di penne e di fogli; accostasi al tavolino; m’apparecchia ogni cosa davanti, mostrando in vista tal compiacenza ch’io non ho potuto non pigliare la penna.

Cominciai, ricominciai; e sebbene io dovessi dir poco o nulla, e quel nulla potesse esprimersi in mezza dozzina di righe, imbrattai di varj esordj mezza dozzina di fogli, nè v’era verso ch’io m’appagassi.

La Fleur uscì, e mi recò in un bicchiere un po’ d’acqua da stemperarmi l’inchiostro — mi provvide di cera-lacca e di polverino — Tant’era — Scrissi, riscrissi, cassai, stracciai, arsi, riscrissi — Le diable l’emporte, borbottai meco tra’ denti; ch’io non sappia scrivere una misera lettera! — e gittai disperato la penna.

Gittai la penna; e La Fleur accostandosi ossequioso, e con preghiere senza fine implorando, ch’io gli perdonassi l’ardire, mi confidò, che un tamburino del suo reggimento aveva scritto alla moglie d’un caporale una lettera — E la ho qui in tasca, diss’egli; e spero che farà forse a proposito.

A me non dispiaceva che quel povero giovinotto si sbizzarrisse — L’avrò caro, gli dissi; fa’ ch’io lo veda.

Ed ecco fuor di tasca di La Fleur un piccolo taccuino miseramente logoro traboccante di letterine mal conce e di billets doux; e posandolo sul tavolino, e slacciando una stringa che legava ogni cosa, andò uno per uno scartabellando quei fogli finchè adocchiò la lettera sospirata — La voila! — e così dicendo picchiava le palme — la spiegò; me la pose sott’occhio; e si scostò tre passi dal tavolino. Io lessi.


LA LETTERA



Madame,

Je suis pénétré de la douleur la plus vive, et réduit en méme temps au désespoir par le retour imprévu du caporal, qui rend notre entrevue de ce soir la chose du monde la plus impossible.

Mais vive la joie! et toute la mienne sera de penser à vous.

L’amour n’est rien sans sentiment.

Et le sentiment est encore moins sans amour.

On dit qu’on ne doit jamais se désespérer.

On dit aussi que monsieur le caporal monte la garde mercredi: alors ce sera mon tour.

CHACUN A SON TOUR.

En attendant — vive l’amour! et vive la bagatelle!


Je suis, Madame,


Avec tous les sentimens

les plus respectueux et les plus tendres,


Tout à vous


JACQUES ROQUE

Bastava dar la contea al caporale — e non dire un iota della guardia da montarsi mercoledì — e non c’era nè bene nè male — Così per compiacere a quel buon ragazzo che stava lì ritto in orazione per l’onor mio, per l’onor suo e per l’onore della sua lettera — ne estrassi dilicatamente la quintessenza, e tornai a lambiccarla a mio modo — e poichè l’ebbi munito del mio sigillo, La Fleur ricapitò il foglio a madame de L*** — e al nuovo dì proseguimmo il nostro viaggio per Parigi.

  1. Come nella lotta col ronzino per l’asino morto.
  2. I Francesi alle cameriere dicono femmes de chambre; ma pare che Yorick volesse che le fossero tutte filles, poichè così sempre la chiama. Nondimeno il liber memorialis di Didimo chierico ammonisce caritatevolmente ogni viaggiatore: «Che ove prima non abbia bene imparati tutti i varj modi di proferire il vocabolo fille, non se lo lasci uscire di bocca; da che i francesi, sì per adonestare ogni pensiero immodesto, sì per la filosofica brevità del loro idioma sogliono accumulare parecchie idee in un solo vocabolo, e chiamano la loro fantesca, fille — la loro figliuola, fille — la vergine, fille — la misera peccatrice, fille — ec.» Lib. iii. n. 28.
  3. «Qui in Parigi s’iperboleggia — ove una donna si compiaccia di un’inezia, ti dice: qu’elle est charmée — e se alcun’altra cosa la incanta, grida: ch’essa è rapita (e ciò può anche darsi) — e allora la terra non fa per lei, e ti fugge dagli occhi, e vola a cercar una metafora tra gli spiriti per dirti: qu’elle est extasiée: nè tu trovi donna di bon ton la quale non cada in sì fatte estasi sette volte al giorno — intendi ch’essa è spiritata, o si sente il diavolo in corpo» — Vedi Sterne, lett. e questa lettera è scritta al celebre Garrick.
  4. Elle sono chiacchiere del donnajuolo per non parere sì tosto mal fermo nel proponimento di vivere fido all’amore d’Elisa, e di non impacciarsi per nulla con la dama di Brusselle.

Note

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