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VISIONE IV.
SOPRA IL VERO
E
IL FALSO ONORE
Presso all’occaso dell’eterea luce
Peregrinando io già ne’ lieti colli,
3Fra cui l’Italo Ren l’acque conduce.
Su gli erti poggi pel diurno molli
Nembo in opache nubi, e in piogge oscuro,
6E su i campi di largo umor satolli
Giunsi al torrente, che scorrea men puro
Con onde tinte di montano limo,
9E il varco ingannator scoprìa securo;
Tal ch’io troppo affidando al guardo primo
Il cor voglioso dell’opposta riva
12Il gorgo superai torbido ed imo
Su mobil ponte, e nella sabbia viva
Scesi, credendo fra il sassoso letto
15Facil la strada, e di periglio priva.
Parvemi vago sì quel novo obbietto,
Ch’io m’arrestai per riguardar dei vari
18Monti dattorno al fiume il vario aspetto;
Che verdescuri i più vicini, e chiari
Offrìansi a me i lontani, indi gli estremi
21Azzurri, e in vetta fra di lor non pari.
Illanguidìro intanto i rai supremi
Sotto il vel fosco dell’umida sera,
24Che incerti fea, perchè di lume scemi,
Gli obbliqui calli; ed io smarrii la vera
Traccia, e confuso m’aggirai più volte
27Per l’ingombra di boschi ampia riviera.
Dall’altissime balze alfin le sciolte
Acque precipitàro entro al torrente,
30Nel gran pendìo romoreggiando folte
Fra svelti massi e tronchi, e fra stridente
Vento, che sorto fuor con non mai stracche
33Ali dai cupi antri dell’Alpe algente,
Curvò de’ vinchi le Termene fiacche,
E de’ ginepri le spinose piante
36Torse, e ne scosse le odorate bacche.
Io, cui morte si pinse agli occhi avante,
Ritentai mille fra l’arene e l’onde
39Modi per trar d’impiglio il piede errante;
Ma mille intorno a me nuove e profonde
Vie s’apersero i flutti, e al passo ardito
42Fér ambe inaccessibili le sponde.
Quindi il timor mi spinse ove un muggito
Lamentevol, che uscìa dal pian selvoso,
45Rendea sonante raucamente il lito.
Il replicato frombo, e il luminoso
Raggio, che apparve del minor pianeta
48Nel terren per le selci aspre scabroso,
E pe’ bronchi, mi fur scorte alla meta.
Colà ad un ceppo annoso un toro avvinto
51Mirai, che dibattea coll’inquieta
Fronte la doppia fune, ond’era cinto;
E muggia d’ira, che del tronco a lato
54Dall’intrecciata corda ei fosse vinto:
Stretto ivi forse fu da sconsigliato
Arator che da folte acque sorpreso
57Tentò un sentier per esplorar se dato
Scampo a lui fosse a ricondurlo illeso
Su qualche ripa, e cadde all’urto grave
60Del fier torrente in fondo ai gorghi steso
Poiché vicin mi vide, ei colle cave
Fumose nari il petto mio sì spesso
63Fiutò, guardando ad or ad or la trave
Con vive barbe al suol fitta, che in esso
Ben conobb’io per quelle rozze e mute
66Preci il desio di libertade espresso.
Speme in me sorse allor, ch’ambo ne ajute
L’alterna opra, e il periglio, e che il suo sciolto
69Laccio esser deggia ad ambi insiem salute:
Ch’io per esso esca fuor dal bosco folto
Su le vie certe, e dalle rapid’acque
72Col nuoto, ove il varcarle al guado è tolto.
Questo pensier nell’improvvisa piacque
Sorte avversa al mio cor, perchè non mai
75Fra mille che nascean questo in me tacque.
Quindi il toro dal fermo arbor slegai;
Ma il raddoppiato, e fra le corna intorto
78Canape nella man stretto serbai.
Ei mosse; ed io con lui pavido e smorto
Scorsi l’inestricabile foresta
81Per calle or ampio, ed or angusto, e torto.
Valicai late conche, in cui s’arresta
Pei labbri alti grossa onda, e in macchie nove
84E in nuovi rivi d’acqua a sfuggir presta
Seguii col piè le inimitabil prove
Di sì robusto condottier, chè vano
87Era a lena minor volgerlo altrove.
Giunti là ’ve con violento e strano
Impeto gorgogliava il maggior carco
90Dei vortici cadenti al basso piano,
Il toro prìa tentò coll’ugna il varco,
Poi lento profondessi; e mentre ei scese,
93Io della corda sì corto féi l’arco,
Che al collo irsuto il braccio mio si stese,
E col nuoto, che al bue prestò natura,
96Lieve il mio corpo notator si rese.
Traendomi pei gonfj oltre misura
Flutti, in parte ei ne ruppe il corso, e in parte
99Cesse alla forza nell’urtar più dura;
E galleggiando obbliquo infra le sparte
Nella riviera erbe, virgulti e spume.
102Tardi afferrò con malagevol’arte
Le ripe, ove il guidò sorte, o costume.
Ivi lo sciolsi; ed ei per le frondose
105Sponde natìe si dileguò del fiume.
Pien d’affannato tremito le ondose
Voragini io guatava ed il periglio,
108In cui la sconsighata alma si pose,
E con aperte labbra e arcato ciglio
Da stupido terror pendea confuso
111Qual via scegliessi nell’ignoto esiglio:
Quando un sentier fra due pari argin chiuso
Al destro lato io vidi, in cui mi parve
114Lume da lungi serpeggiar diffuso;
E in esso forma d’Uom dubbia m’apparve,
Ch’esser credei per 1’adombrata luna
117Dai tronchi error d’immaginate larve.
Ma fra i pallidi rai scorgendo bruna
L’ombra da un corpo stesa a me appressarse,
120Certo mi resi alfin, che la fortuna
Volle offrendomi un Uom fausta mostrarse,
Che pellegrin sembrommi alle pendenti
123Su l’incerato lin conchiglie sparse.
Egli, che i passi in maestade lenti
Movea, perchè più presso a me si trasse,
126Raddolcì con un riso i primi accenti;
E disse: Oh eletto a rischiarar le basse
Menti col sacro stil! desta, e conforta
129Per novello cammin le membra lasse.
Chè non senza voler di Dio la corta
Degli occhi tuoi virtude in me s’affisa,
132Che nel torrente fida a te fui scorta;
Ne già sol fra que’ flutti, in cui divisa
Tenni da te della tua morte l’ora,
135Ma la tua morte ognor meco è indivisa:
Io per te veglio, quando il lume indora
Diurno l’ima terra, e quando cresce
138La notte l’ombre in aspettar l’aurora,
Perchè da chi mi bea mirabil esce
Grazia, che il tuo cor duro alletta e molce,
141E fra i liberi tuoi desir si mesce
Così, che co’ suoi rai la debil folce
Alma, e l’addestra ad un trionfo amaro,
144Ove il perder a lei fora più dolce.
Tu già spezzasti quei che ti piagàro
Strali d’ amor, e del tuo laccio crudo
147Le tue lagrime pie l’orme bagnàro.
Vincesti; e qual guerrier, che il campo nudo
Di nemici si finga, ai primi allori
150La vittrice appendesti asta e lo scudo;
Ma il maligno Angel gli odj empi e i furori
Non obblìa vinto, anzi t’assale audace
153Coll’arti atte a invescarti in folli onori;
E mentre la fumosa esca fallace
Porge alla tua ragion, ella non vede,
156Che dentro ha guerra, e fuor nebbia, e non pace.
Or per questo, che il lembo ai monti fiede,
Calle segnato da languide strisce
159Di lontan lume volgi meco il piede,
Che al termin suo vedrai come rapisce
Il vero onor la palma al falso, e come
162Mentre eterno splende un, l’altro perisce.
Di sue pupille i lampi, che le chiome
Tratto tratto lambìan, fede mi féro,
165Ch’egli avea in fronte di Jeovà il nome;
Ond’io tacito, umile, e col pensiero
Pien di Dio, che apparìa ne’ sguardi sui,
168Nell’additato entrai cavo sentiero.
La luce, che radea que’ lati bui,
Sì crescea viva al raddoppiar de’ passi,
171Ch’io volto alfin maravigliando a Lui
Dissi: Deh! tu, su le cui ciglia stassi
Tal d’immortalitade immagin chiara,
174Che palese anche a fragil occhio fassi,
Tu, cui son io tenera, e forse amara
Cura fra i lunghi errori, Angel felice,
177Scoprimi qual fulgor queste rischiara
Sì basse vie, poiché densa pendice
Il disco della luna argenteo vela,
180Nè tanto piover lume agli astri lice.
Delle Felsinee piagge ah! non mi cela
In qual parte io m’aggiri. Egli soggiunse:
183Sei dove scorgi quel che Dio ti svela.
Te dai colli di Felsina disgiunse
Divina forza, per cui dentro ignote
186Terre il tuo piè fuor del suo scopo giunse;
Né in questi sacri al ver luoghi mai puote
Uom penetrar, bench’egli abbia agli scarchi
189Fianchi le piume di torpedin vote,
Se il torrente fatal, che tragge carchi
D’ingorde brame i vorticosi affetti,
192Ei pria non urti arditamente e varchi.
Tu il superasti; chè al tuo scampo eletti,
E inaspettati Dio modi t’offerse,
195Che avresti, s’ei non ti reggea, negletti.
Or questo, che sì angusto a te s’aperse,
Di salute è il cammin, che di faville
198Crescenti ognor la viva fede asperse.
Tu, più che a lei t’appressi, a mille a mille
Scorgi dintorno a te le sue vittrici
201Del tenebroso orror faci tranquille;
Ed al tuo Spirto invan fra i rei nemici
Il più reo di sé stesso il cieco amore
204Annebbia i semi di ragion felici,
Ch’essa coll’iterar il suo splendore
La notte fuga insidiosa, e veste
207Di più fermo vigor l’incerto core.
In così dir Egli movea le preste
Leggiadre piante, ed io il seguia su l’orme ,
210Che ne lasciava levemente péste:
E ben sentìa dal torpor mio disciorme
Al rinforzar dei raggi, e ai detti sacri
213Rinascer dentro me lena conforme.
Per gli strati di sabbia arida macri,
Che rendean i sentier dell’ima fossa
216Fra ghaja acuta disastrosi ed acri,
Poggiammo a un margin largo, onde già mossa
Scendea la luce nell’oscuro fondo,
219Su cui spinser le mie vertebre l’ossa.
Il margo argin formava ad un profondo
Fiume, che d’archi e tronchi muri un monte
222Erto radea rapidamente a tondo,
Cui libero porgea tragitto un ponte,
Che sovrastava col pietroso dorso
225Di cotant’acque alla perpetua fonte,
Che, benché velocissime nel corso,
Pur tacite sfuggìan, come se fosse
228Un rigagnol di pingue olio ivi scorso.
Sovra quel masso, ov’io salii, mostrosse
Tal di miste fra lor forme un’immago,
231Che a svilupparle in sé il pensier levosse.
Nata allo scettro, anzi che al fuso e all’ago.
Una Vergin vid’io, cui su le ciglia
234Astro splendea mirabilmente vago:
Da un lato in guisa d’uom, che la consiglia,
Strigneala fra le braccia un Garzon forte
237Fasciato gli occhi di benda vermiglia,
E cinto il crin, che ombrava a lui le smorte
Guance, d’aspidi, qual pinse l’Egitto
240Iside colle serpi al capo attorte.
Parlando ei la svolgea dal cammin dritto
Sovra un ingannator fiorito vallo,
243Che attorno al fiume strada era al delitto;
E in parlar diffondea fumo dal giallo
Labbro, offuscando a lei l’astro sul viso,
246Come per fiato appannasi il cristallo.
Dall’altro Donna, che un celeste riso
Sotto candido vel tralucer fea,
249Stavale accanto, e col non mai diviso
Braccio da quel di lei la rivolgea
Verso il marmoreo ponte, e dalla bella
252Velata faccia tramandar parea
Lampo sì acuto in fronte alla Donzella,
Che del caliginoso anto ad onta
255Le rallumava l’annebbiata stella.
La varia effigie penetrò sì pronta
Là dove la pensosa Alma in sé stessa
258Con quel, che udì, la vision raffronta,
Che in quel nodo ragion conobbi oppressa
Dal proprio amor malnato, e al gran cimento
261Rinvigorita dalla luce spessa
Della Fé sacra, che in eletto argento
Tai lettre al manto avea tessute: Io sono
264Delle invisibil cose alto argomento.
Ma nè le spinte in giù senza dar suono
Acque io compresi, nè quel monte quasi
267Lasciato ai bruchi e ai serpi in abbandono.
Quindi alla Guida, che de’ scuri casi
La caligin m’aprìa, richiesi aita
270Fra i pensier foschi, ov’ io dubbio rimasi;
Ed Egli mi rispose: Il fiume addita
Il continuo degli anni ordin secreto,
273Che le terrene, inerti, o che abbian vita,
Frali sostanze urta, e si tragge dreto;
E bench’ei tutte struggale nel volo,
276Precipitosamente fugge cheto.
Quel che par monte, aspra congerie è solo
Di fastose ruine, e di spezzati
279Scettri, e trofei sparsi dal tempo al suolo,
Sovra cui tra flagelli ed intrecciati
Spini stassi d’Onor 1’unica insegna,
282Nota alle prische e alle novelle etati,
Che in braccio surse d’Umiltate, e degna
Fu, che a lei serbi dopo l’onte acerbe
285Nome immortal chi eternamente regna.
L’esterne ripe, in cui tra i fiori e l’erbe
Celansi ingrati al piè triboli ciechi,
288Ingombre son dall’Anime superbe,
Che fede non allumi, o colpa acciechi;
E queste vanno alla riviera intorno,
291. Tinte d’invidia ria gli sguardi biechi,
Qual se lor fosse l’altrui gloria scorno,
Finché ingorde d’onor, di pace nude
294Le perda nell’obblio l’ultimo giorno.
Ma vieni. Il monte, ch’entro sè racchiude
L’Alme pie, quelle ancor fia che ti scopra,
297Che cercan fama ove non è virtude.
Tacque; ed io m’avviai veloce sopra
I curvati archi entro quell’acque, e scolti
300Le scabre sponde con rozzissim’opra;
Chè non gl’ingegni a saziar più colti
Le ammorbidì scarpello, anzi le incise
303Con util modi, e accortamente incolti.
In orribile mostra il Fabbro mise
I trionfi di Morte, e i Duci, e i Regi,
306Cui le orgogliose teste ella recise,
Nè gli empj sol, ma i Regnatori egregi;
Perchè i vani ostri a paragon de’ veri
309Oltre misura il successor non pregi.
Orator sommi, e Vati al voi leggieri
Fervido, e illustri Donne, e in nobil’arti
312Chiunque gloria avidamente speri,
Scoprìan ne’ corpi infracidati e sparti
L’amaro fin, che il tutto in cener volve;
315E impresso ivi leggeasi in mille parti:
A che t’alzi cotanto, o enfiata polve,
Se invincibile ognor hai vento al fianco
318Che ti rispinge a terra, e ti dissolve?
Coi tetri simulacri entraronmi anco
I tristi carmi al cor, sì ch’io divenni
321Smarrito e in umiltà pavida bianco,
Finché al termin del ponte infausto venni,
In cui d’atro scheggion sovra il pendìo
324Tai rilevate in fuor note rinvenni:
Stolto è pensier, che il gran Figliuol di Dio
Sen gisse a morte inonorato e lasso:
327Creder dunque forz’è ch’egli morìo.
Lo strano argomentar scritto in quel sasso
L’intelletto, che in sé il volgea, confuse
330Fra maggior notte, e mi sospese il passo.
Ma lo stupor, che a me le labbra chiuse,
Alla Guida le aprì, che gridò: Segui
333Il cammin, che la Fede a te dischiuse
Fra gli error tuoi, finché il tuo piede adegui
L’obbietto suo; chè in breve fia che questo
336Nuvol d’oscure idee ti si dilegui.
Allora cominciai del colle mesto
A valicar la tortuosa via
339Rasante il corso del fiume funesto,
Donde i fioriti margin io scoprìa,
Su cui vagando in affannoso moto
342Densa turba il fallace Onor seguìa;
Ma d’acquistarlo il modo erami ignoto,
Nullo scorgendo in quegli erbosi lidi
345Obbietto altier dell’ingannevol voto.
Quando levati gli occhi al cielo io vidi
Corone aurate, e immarcescibil serti,
348Che librati a diritto esser m’avvidi
Ne’ campi al volo delle nubi aperti
Su la montagna di macerie alzata,
351Come se a chi salia fosser offerti.
Questi da trina insiem luce intralciata
In un sol lume, che il pien aere ingombra,
354Accesi eran così, che la lustrata
Parte di lor piovea chiarezza sgombra
D’ogni nebbia sul monte, e l’altra opposta
357Di là dall’acque diffondea lung’ombra,
Per cui l'effigie vana in su la crosta
Vergata a’ fiori dell’amene rive
360Si distinguea languidamente posta.
Tai finte larve di sostanza prive
A sé stesse traean con forza maga
363L’Anime d’umiltà nemiche e schive,
Che in quella sponda cruda insiem e vaga
Pascean di lusinghier fumo lor voglia
366Ne’ suoi furori ardente, e non mai paga.
Oh quanti oppressi dall’interna doglia
Più che trafitti dai pungenti pruni
369Dell’erbe ascosi tra la verde foglia
Languian nel suolo di vigor digiuni,
E semivivi, e ognor fisi avean gli occhi
372Delle fallaci impronte ai segni bruni,
Chiedendo invan, che d’ombra almen trabocchi
Striscia leve sovr’essi, e che uno sguardo
375Mite di chi la possedea lor tocchi.
Altri, che audaci più rendea gagliardo
Fervor del core in nerborute membra
378Dell’ira sventolar fean lo stendardo,
Dietro cui popol già truce, che sembra
Dalle ciglia spirar eccidio e lutto,
381E nell'impeto il fulmine rassembra;
Ma da’ contrarj a lor Duci condutto
Stuol ne’ superbi suoi vanti feroce
384Dalle tenebre nato a corre il frutto.
Grande movea conflitto; e per la voce
Fiera, e per opre al minacciar eguali
387Tal nascea strage d’ambo i lati atroce,
Che coperte apparian d’archi e di strali,
D’aste e di busti in largo sangue estinti
390Le ripe all’orgoglioso ardir fatali;
Finche securo il vincitor fra i vinti
Gli smorti s’imprimea vestigj in seno
393Dalla corona ombrifera dipinti.
Allor piegavan tutte in un baleno
Le genti e vincitrici e debellate
396L’umil malgrado lor fronte al suo freno;
E piramidi e statue in bronzo aurate
Ergeangli; e benché avesse il cor selvaggio,
399Eroe d’armi era inscritto, e di pietate.
Alcun fra quei vid’io ne’ modi saggio,
Che volontaria quasi, e a lui rivolta
402Accogliea l’ombra, e ne adorava il raggio,
Che tal le diè forma dal bujo involta;
Nè fasto reo, ma dignitate e merto
405Discorde il fea da cpiella turba stolta.
Altri intenti a mostrar l’ingegno esperto
Nella ragion del trono, ed altri dietro
408Alle scarse orme del saper incerto;
Altri alle colte prose, ed altri al metro
robusto, o alla gentil più dolce vena
411Delle vote ghirlande ambian lo spetro;
E frodi all’altrui danno, e nell’arena
Erbigera tessean lacci inumani
414Ove lor venia men valore e lena:
Ma tutti alfin, mentre i pensier insani
Rinvigorìan su l’esecrato lido,
417Vana mercede avean gli spirti vani;
Chè solo essa al di fuor spargea 1’infido
Gaudio, né potea mai fra vera speme
420Dei desir immortali entrar nel nido.
Quindi improvvisa 1’onda, che non freme,
Rapìali enfiando, o in più terribil guerra
423Gli assorbìa svelti colle rive insieme.
Metteva il fiume allor per l'ampia terra
Alto un rimbombo ad assordarne i regni;
426Poi taciturno proseguia sotterra.
Poiché gli alterni invidi affanni e sdegni
De’ miseri mirai, gli occhi rivolsi
429A que’, che il Colle fe’ di pace degni.
Ben della strada inospite mi dolsi
Guasta da guglie e monumenti infranti;
432E dai scolpiti in lor nomi raccolsi,
Che de’più alteri Cesari, e di quanti
Raro ebber tra i mortali onor sublime
435Semisepolti ivi giacean i vanti.
Sovra la rotta via, fin alle cime
Stesa del Colle, imprimer dee chi sale
438L’ultime tracce sue, come le prime;
Perchè sol l’aureo serto e trionfale
Cinge colui che sul confin estremo
441Calpesta il fasto della gloria frale.
Quanto diverso da quel popol scemo
Di virtude era questo! E qual con atti
444Tranquilli in sé chiudea vigor supremo!
Parean i Viator soave tratti
Là ’ve serbar non era dato ad essi
447Dalle taglienti schegge i piedi intatti;
Par qual se piagge varcasser di spessi
Roridi gigli e molli fior vestite,
450Vincean l’asprezza di que’ marmi fessi.
Non che senso destasser le ferite
Scevro di duolo nella parte offesa;
453Ma perche piaga, ove Amor l’apra, è mite.
Sacro è il dolor alla speranza accesa
Dal lume onnipossente, onde risplende
456La corona nell’alte aure sospesa,
Che folgorando in essa i raggi stende
Riflessi al poggio alpestre, e dall’eterno
459Suo fonte a chi gli abbraccia in sen discende.
Nè coi placidi sol lampi l'esterno
Velo gl'indora, ma le ascose giunge
462A ricercar fibre del core interno,
E la virtù gli avviva allor che il punge;
E in incitarlo all’onorata palma
465Nove ognor penne al desiderio aggiunge.
Ivi ogni peregrina ed elett’Alma
Ben s’avvede calcando il cammin tristo,
468E per l’infusa in lei dal Cielo calma,
Di libertà, ma più di grazia misto
È il varco alla gran meta, e all’opre umili
471Più don, che premio è il glorioso acquisto:
Quindi ricca di Dio nelle servili
Spoglie abbietta di sè gode far mostra,
474E, ancor che forte, assomigliarsi ai vili.
Oh alle felici cure amica chiostra!
Cui l'erme rupi ed i sentier solinghi
477Umiltà infiora, e stabil gloria innostra.
Così sclamai spingendo i pie raminghi
Sovra un sasso erto sì, che ne scoprìro
480Que’, che l’ombra laggiù par che lusinghi;
Che noi scorgendo a compier pronti il giro
Delle scoscese vie dietro tai grida:
483Ah forsennati! e qual cieco deliro
Sovra sterili balze ora vi guida?
Qual vi trae fama nell’ignobi loco,
486Ove nulla d’Onor speme v’affida,
Anzi v’aspetta sol ludibrio e gioco?
Per queste voci, onta spiranti e danno,
489All’Angiol dissi: Oimè! molto, nè poco
Il lor misero fin color non sanno.
Ma donde avvien che gl’ingannati a prova,
492Noi, che seguiam il ver, taccian d’inganno?
Ed egli a me: Nel tuo pensier rinnova
Quei, che su lo scheggion carmi leggesti
495Ignoti a te, che il rammentarli or giova.
Gli sparsi dal primo Uom semi funesti
Di necessario error nell’Alme umane
498Dal guasto cor più sviluppati e desti
Tolsero il ragionar dritto alle vane
Menti, che nelle oscurità natìe
501Dal retto senno idee nudrìr lontane;
Onde le voglie in gonfio orgoglio rie
Giuste sembràro all’offuscato germe,
504Cui d’umiltate chiuse eran le vie.
Or chi pel seme, e pel costume inferme
Le genti trar potea dai falsi liti
507Di gloria, ov’eran ciecamente ferme,
Ed ove quei, che fur tra il volgo arditi,
Falso a portar di sapienza ammanto,
510Degli altri anch’essi a par givan smarriti?
Dovea grande, inudito esser, e tanto
Maggior d’ogni pensar l’esempio umìle,
513Quant’era sommo d’alterezza il vanto;
Tal che in mostrarsi a chi lo diè simile,
Nullo, e indocile ancor fra i più superbi
516Schivo ne fosse, o il riputasse a vile.
Oh invincibile Amor! che per l’Uom serbi
Non mai stanca pietade, a te si debbe,
519Che obbietto or sian d’onor gli scherni acerbi:
Per te carne vestir fral non increbbe
Al Verbo eterno. In così dir piegossi
522L’Angel profondamente; e poich’ gli ebbe
Adorato l’Uom-Dio, dal suolo alzossi,
E ripigliò. Non qual l’Ebrea sel finse
525Vanitade, in real pompa spiegossi
Questi: non mai lo scettro avito strinse
A lui dovuto e alla Virginea Madre;
528Ma ad umiltate squallida s’avvinse;
E mentre mille avea d’Angeli squadre
A un cenno pronte, e co’ prodigj immensi
531Palese in sè fea la virtù del Padre,
Sì spregevole amò stato, cui pensi
Invan giunger altr’uom abbietto, e fèlse
534Segno ai sospir di caritate accensi;
E confitto sul tronco infame scelse
Pender qual reo, finché l’Alma divina,
537Non forza altrui, ma suo voler gli svelse.
D’amor maravigliosa opra sì fina
Come estimolla coi mentiti Saggi
540La sapìenza insiem Greca e Latina?
Questa di finti Dei nomi e lignaggi
A compor usa, ed a crearsi i Numi
543Facili agli odj ed agli alterni oltraggi,
E pari agli empj ne’ peggior costumi,
A folle ascrisse atto di Fé, che in braccio
546Di morte un Dio chiuder volesse i lumi:
Né potè a stretta dell’error fra il laccio
Altramente pensar, finché benigna
549Grazia del Giel non la togliea d’impaccio,
Svelando a lei, che il putrido, che alligna
Germoglio in essa di desir perversi,
552La rendea torta, e in giudicar maligna:
Chè nel pregio, in cui dee la vera aversi
Gloria, troppo di Dio, che ben l’apprezza,
555Sono i pensier da quei dell’Uom diversi;
E che argomento illustre è di certezza,
Che un Dio morì, perché fatto sì grande
558Al mondo menzogner sembrò stoltezza;
Mentre il chiaror qualunque sia che mande
L’Onor caduco, innanzi agli occhi eterni
561Notte invece di lume orrida spande.
La cagion venenata, onde gl’interni
Moti dell’Alme infetti furo e guasti,
564Acceca or quei, che in noi bestemmie e scherni
Vibrando errar sul verde argin mirasti,
Che di vertigin nova ebbri e d’antica
567False credon le vie, che tu calcasti;
E accusan di follia color, che amica
Fede condusse del difficil Colle
570Sovra la falda sterilmente aprica:
Ma spento in morte quel che in essi bolle
Di tenebrate idee vapor condenso,
573Vedran, colpando il desìo lor di folle,
Che una mente, cui dato è il dono estense
D’accoglier Dio, da lui se si divide,
576Tanto vota divien, quant’egli é immenso:
E in vacuo sì crudel s’agita e stride,
S’adira, e piagne invan, chiamando tardi
579Pietà, che torva al suo dolor sorride.
Fra tai detti, che a par d’accesi dardi
M'infiammaron il cor, giunsi alla vetta
582Spossato, ansante; ed a’ miei primi sguardi
Donna s’offerse di beltà perfetta,
Alla cui fronte un non so che d’ombrosa
585Tenue nebbia aggiugnea grazia negletta.
Sacco aspro la coprìa, ma luminosa
Di gemme un’altra avea gonna distinta
588Dall’intessuto canape nascosa,
Che a celar pronta ell’era allor che spinta
Dalle fresche aure in quella rupe brulla
591La veste vil s’apria, come discinta.
Circondava i capei della Fanciulla
Bruna fascia, ove scritto era in zaffiri:
594Stella in Dio sono, ed in me polve e nulla
Grave Croce stringea cinta da giri
Doppj di spine e da flagelli crudi,
597Argomento d'infamia e di martìri.
Ella è termin felice a quei, che i rudi
Sassi premendo, a invidiabil fama
600Aspiran d'ogni mortal gloria ignudi;
Ella stanchi gli allena, e a sé li chiama,
E sazia in essi con soavi modi
603Negli ultimi respir l'ultima brama;
Ch'altri titoli eccelsi, ed altre lodi
Ella prepara, altro, che tutti abbraccia
606Gli eterni fasti, Onor più raro ai prodi.
Essi a' pie d'Umiltade alzan le braccia
All’arbor santo, e ai pii sospir ne sgorga
609Sulla sparuta lor languida faccia
Quel Sangue, senza cui non fia ch’Uom sorga
Dal lordo della colpa incarco greve,
612E grate a Dio lagrime e voti ei porga;
Mentre i divini umor l’Anima beve,
Gelido lascia il fral su la montagna,
615A morte no, ma a dolce sonno e leve;
E allor quella, che fu sempre compagna
Ai desir suoi, nell’aere alta corona
618Con lei supera gli astri, e l’accompagna.
Fra color, cui sì bel fato sprigiona
Lo spirto dalla spoglia, in un m’affisi,
621Che parve a me già nota esser persona.
Per ravvisarlo più me accanto misi
Alla Donna, alle cui piante gli stanchi
624Membri ei posò di sudor freddo intrisi.
Benché i cavi occhi, e gl’irti crini bianchi,
Le smunte guance, e gli aneliti corti
627Fra il palpitar del petto egro e de’ fianchi
Rendesser di sua forma i segni smorti,
Pur lo conobbi; e: Oh troppo caro al Cielo!
630Gridai, oh scelto alle beate sorti!
Tu sei, nè già m’inganna il fragil velo,
Lionardo di Liguria. Ah! per quai rotte
633Pendici, e aperte al caldo estivo e al gelo,
E fra quant’Alme dietro a’ tuoi condotte
Vestigj umìli a terminar qui giungi
636Nel giorno eterno la terrena notte?
Oh lieta ora! in cui novo Angel t’aggiungi
Ai Cori eletti, e in cui celar non puoi
639Quelle virtù, che in te splendean da lungi.
Or la stessa Umiltate i pregi suoi
Non ascosi più, no, ma chiari a quanta
642Turba accoglie l’Empiro, accoppia ai tuoi:
E in te apparir lucida fa la santa
Fiamma d’amor, e fra le nubi sue
645Fede, che a Speme il sen d’usbergo ammanta,
E Povertade rigida, che fue
Tranquilliimente pronta a render levi
648L’aspre altrui pene, ed a gravar le tue.
Lascia, che la tua destra in questi brevi
Momenti io baci, e un lagrimcvol pegno
651Da me di riverenza almen ricevi.
Ei di vita benché languido segno
Mostrasse appena, in me le luci fisse,
654Che divampàr di sacro zelo e sdegno;
E la man ritraendo: Ah! perchè, disse,
Tenti tu ne’ sospir di morte un reo,
657Che all’immensa Pietade ingrato visse?
Quel Dio, che a noi vittima umil si féo,
Perdoni a me, ch’ambe le braccia stendo
660Alla Croce, in cui spento egli pendéo:
E il legno in abbracciar soggiunse: Io rendo
L’Alma, che i falli suoi piange, e non scusa,
663A Te, da cui la mia salvezza attendo.
Deh! impetra, io replicai, che appien diffusa
Sul mio misero cor zampilli, e docce
666La gran fonte non mai di grazie chiusa,
Che innonda queste avventurate rocce.
Ma tal dal tronco sovra lui, che langue,
669Pioggia grondò di sanguinose gocce,
Che tutto il tinse. Era la faccia sangue,
E sangue il busto, e i lati. Egli divenne
672Muto corpo, e ne’ moti estremi esangue,
E il disciolto spiegò Spirto le penne
Della sua gloria al centro, e la ghirlanda
675Aurea serbata a lui dietro gli tenne.
La Donna indi sclamò forte: Si spanda
La memorabil fama ovimque il sole
678Le fiamme sue nel globo opaco manda;
Ch’egli è voler di Chi può quel che vuole,
Che quanto il Servo suo d’orgoglio schivi
681Ebbe i desir, tant’alto ascenda e vole.
Poi questa in cielo udii voce: Fra i Divi
Tu, Eternitade, che in te giri e nasci,
684Nel volume immortal Lionardo scrivi,
E della beatrice ambrosia il pasci,
Che non avvien giammai di chi la sugge,
687Ch’avida e paga insiem l’Alma non lasci.
Allor, qual fumo, che attraverso fugge
Sospinto dal soffiar d’austro, o di coro,
690E nell’aereo vortice si strugge,
Sparver dal monte le corone d’oro;
E quelle immagin tutte ancor perdei;
693E l’Angel dopo lo svanir di loro
Ultimo si nascose agli occhi miei.
ANNOTAZIONI
ALLA QUARTA VISIONE.
Pag. 63. | Io sono |
Delle invisibil cose alto argomento. |
Tale si è la definizione, che della Fede ci dà l’Apostolo nella sua Ep. agli Ebrei: Est autem Fides sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium.
Pag. 65. | Stolto è pensier, che il gran Figliuol di Dio |
Sen gisse a morte inonorato e lasso: | |
Creder dunque forz’è, ch’egli morìo. |
Strano per verità è questo modo di argomentare, come lo confessa lo stesso Autore nella seguente terzina: ma egli l’ha tratto da Tertulliano, il quale nel suo libro De Carne Christi, nella prima parte di quello, combattendo l’opinione dell’eresiarca Marcione, lasciò scritte queste tre proposizioni: Natus est Dei Filius: non pudet, quia pudendum est; et mortuus est Dei filius: pror sus credibile est, quia ineptum est. Et sepultus resurrexit: certum est, quia impossibile est. E vuol dire, s’io mal non avviso, questo Padre: Voi altri infedeli ed eretici dite, che è cosa obbrobriosa pel Figliuol di Dio il dire, ch’egli abbia presa carne umana, e sia nato di donna. Aggiungete: essere stoltezza l’asserire, che un Dio sia morto, e molto più confìtto ad una croce; siccome altresì vi sembra il suo Risorgimento una stoltezza. Ed io, dice Tertulliano, per ciò appunto che voi lo negate, asserisco e sostengo, che noi non dobbiamo vergognarci di adorare un Dio fatto uomo, e nato di donna, perchè Egli non s’è di ciò Vergognato. E se voi riputate una stoltezza il dire, ch’ Egli a morto sopra una croce, questo vostro sentimento diviene per noi un argomento di credibilità per asserir francamente, che intatti egli è morto così. Come eziandio diviene per noi un argomento di certezza il suo glorioso Risorgimento, per ciò appunto che voi lo spacciate un impossibile; appoggiandosi, cred’io, questo Padre nel cosi argomentare a quel testo di san Paolo nell’Epistola I. ad Cor. cap. I, che dice: Praedicamus Christum Crucifixum, Judaeis quidem scandalum, Gentibus autem stultitiam. Or siccome questa idea dei Giudei e dei Gentili è del tutto conforme alle massime, che del falso onore e della fallace gloria mondana suggerisce lo storto pensare della guasta umana natura, quindi l’Autore prende a spiegare la seconda proposizione di Tertulliano da quel verso
Pag. 70. | Gli sparsi dal primo Uom semi funesti |
mostrando come l’incarnata Sapienza, a disingannare gli uomini delle false idee da lor concepite intorno al vero onore, s’appigliò ad una vita umile ed abbietta, siccome quella che sicuramente li guidava all’eterna salute; onde l’esempio di un Dio umanato, che canonizzava in se stesso gli avvilimenti di una vita povera, e gli obbrobri della croce, fosse per loro un invincibile argomento a ricredersi della vana opinione, che ormavansi riguardo all’onore. Questo modo di argomentare, che non è per verità secondo il rigor dialettico, egli è però del tutto conforme ai principi della cristiana filosofia, cui l’Autore pretende di esporre e sostenere in questa sua Visione.
Pag. 72. | Mentre il chiaror qualunque sia che mande |
L’Onor caduco, ec. |
Della vanità del mondano onore dicesi nel cap. II del primo libro de’ Maccabei: Gloria ejus stercus, et vermis est; e l’Apostolo: Quod altum est hominibus, abominatio est coram Deo.
P. 74. | Tu sei, nè già m’inganna il fragli velo, |
Lionardo di Liguria. |
Il Padre Fra Leonardo da Porto-Maurizio Minor Riformato, morto in odore di santità, e celebre per le sue Apostoliche fatiche in tutta l’Italia.