< Vita (Alfieri, 1804) < Epoca II.
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Cap. I. Partenza dalla casa materna, ed ingresso nell’Accademia di Torino, e descrizione di essa
Epoca II. Epoca II. - Cap. II.

EPOCA SECONDA.

ADOLESCENZA.

abbraccia otto anni d’ineducazione.

CAPITOLO PRIMO

Partenza dalla casa materna, ed ingressa nell’ Accademia di Torino, e descrizione di essa.


1758 Eccomi or dunque per le poste correndo e quanto più si poteva; in grazia che io al pagar della prima posta aveva intercesso presso al pagante Fattore a favore del primo Postiglione per fargli dar grassa mancia; il che mi avea tosto guadagnato il cuor del secondo. Onde costui andava come un fulmine, accennandomi di tempo in tempo con l’occhio e un sorriso, che gli farei anche dare lo stesso dal Fattore; il quale per essere egli vecchio ed obeso, esauritosi nella prima posta nel raccontarmi delle sciocche storielle per consolarmi,
dormiva allora tenacissìmamente e russava come un 1758 bue. Quel volar del Calesse mi dava intanto un piacere, di cui non avea mai provato l’eguale: perchè nella carrozza di mia madre, dove «inche di radissimo avea posto il sedere, si andava di un quarto di trotticello da far morire; ed anche in carrozza chiusa, non si gode niente dei cavalli: ma all’incontro nel Calesse nostro Italiano uno ci si trova quasi su la groppa di essi, e si gode moltissimo anche della vista del paese. Cosi dunque di posta in posta, con una continua palpitazione di cuore pel gran piacere di correre, e per la novità degli oggetti, arrivai finalmente a Torino verso l’una o le due ore dopo mezzo giorno. Era una giornata stupenda, e l’entrata di quella città per la Porta Nuova, e la Piazza di S. Carlo fmo all’Annunziata presso cui abitava il mio Zio, essendo tutto quel tratto veramente grandioso c lietissimo all’occhio, mi avea rapito, ed era come fuor di me stesso. Non fu poi così lieta la sera; perchè ritrovandomi in nuovo albergo, tra visi sconosciuti, senza la madre, senza il maestro, con la faccia dello Zio che appena vea visto una altra volta, e che mi riusciva ssai meno accarezzante, e amoroso, della maire; tutto questo mi fece ricadere nel dolore,
1758 e nel pianto, e nel desiderio vivissimo di tutte quelle cose da me abbandonate il giorno antecedente. Dopo alcuni di, avvezzatomi poi alla novità, ripigliai e l’allegria e la vivacità in un grado assai maggiore ch’io non avessi mostrata mai; ed anzi fu tanta, che allo Zio parve assai troppa; e trovandomi essere un diavoletto, che gli metteva a soqquadro la casa, e che per non avere maestro che mi facesse far nulla, io perdeva assolutamente il mio tempo, in vece di aspettare a mettermi in Accademia all’Ottobre come s’era detto, mi v’ingabbiò fin dal di I. d’Agosto dell’anno 1758.

In età di nove anni e mezzo io mi ritrovai dunque ad un tratto traspiantato in mezzo a persone sconosciute, allontanato affatto dai parenti, isolato, ed abbandonato per così dire a me stesso; perchè quella specie di educazione pubblica (se chiamarla pur vorremo educazione ) in nessuna altra cosa fuorché negli studj, e anche Dio sa come, influiva su l’ani-i mo di quei giovinetti. Nessuna massima di morale mai, nessun ammaestramento della vita ci veniva dato. E chi ce l’avrebbe dato, se gli Educatori stessi non conoscevano il monde aè per teoria nè per pratica?

Era quell’ Accademia un sountuosissimo
edificio diviso in quattro lati, in mezzo di cui un 1758 immenso cortile. Due di essi Iati erano occupati dagli educandi; i due altri dal Regio Teatro, e dagli Archivi del Re. In faccia a questi per l’appunto era il lato che occupavamo noi, chiamati del Secondo e Terzo Appartamento; in faccia al Teatro stavano quei del Primo, di cui parlerò a suo tempo. La galleria superiore del Iato nostro, chiamavasi Terzo Appartamento, ed era destinata ai più ragazzi, ed alle scuole inferiori: la galleria del primo piano, chiamata Secondo, era destinata ai più adulti; de’ quali una metà od un terzo studiavano all’Università, altro Edificio assai prossimo all’Accademia, gli altri attendevano in casa agli studj militari.Ciascuna galleria conteneva almeno quattro Camerate di undici giovani ciascheduna, cui presiedeva un Pretuccio chiamato Assistente; per Io più un Villan rivestito, a cui non si dava salario nessuno; e con la tavola sola e l’alloggio si tirava innanzi a studiare anch’egli la Teologia, o la Legge airllniversità; ovvero se non erano anch’essi Studenti erano dei vecchi ignorantissimi e roz’ssiml Preti. Un terzo almeno del Iato ch’io issi destinato al Primo Appartamento, era ccupato dai Paggi del Re in numero di 20,

Alfieri, Vita. Vol. I.
1758 o 25, che erano totalmente separati da noi, all’angolo opposto del vasto cortile, ed attigui agli accennati Archivj.

Noi dunque giovani Studenti eramo assai male collocati cosi; fra un Teatro, che non ci toccava di entrarvi se non se cinque o sei sere ’in tutto il Carnovale; fra i Paggi, che atteso il servizio di Corte, le Caccie, e le Cavalcate, ci pareano godere di una vita tanto più libera e divagata della nostra; e tra i Forestieri finalmente che occupavano il Primo Appartamento, quasi ad esclusione dei Paesani; essendo • una colluvie di tutti i Boreali; Inglesi principalmente, Russi, e Tedeschi, e d’altri Stati d’Italia: e questa èra più una Locanda che una educazione, poiché a niuna regola erano astretti, se non se al ritrovarsi la sera in casa prima della mezza notte. Del resto, andavano, e a Corte, e ai Teatri, e nelle buone e nelle cattive compagnie, a loro intero piacimento. E per supplizio maggiore di noi poverini del Secondo e Terzo Appartamento, la distribuzione locale portava che ogni giorno per andare alla nostra Cappella alla Messa,ed alle Scuole di Ballo,e di Scherma,dovevamo pa sare per le gallerie del Primo Appartamento e quindi vederci continuamente in su gli occl

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