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1763 scoppietti di fruste, e corni artefatti con la bocca, saltando fossi smisurati, rotolandovi spesso in bel mezzo, guadando spessissimo la Dora, e principalmente nel luogo dove ella mette nel Po; e facendo in somma ogni sorte di simili scappataggini, e tali che nessuno più ci voleva affittar dei Cavalli, per quanto si volessero strapagare. Ma questi stessi strapazzi mi rinforzavano notabilmente il corpo, e m’innalzavano molto la mente: e mi andavano preparando l’animo al meritare e sopportare, e forse a ben valermi col tempo dell’acquistata mia libertà sì fisica che morale.
CAPITOLO OTTAVO.
Ozio totale. Contrarietà incontrate, e fortemente sopportate.
1764 Non aveva altri allora che s’ingerisse de’ fatti miei, fuorchè quel nuovo Cameriere, datomi dal Curatore, quasi come un Semi-ajo, ed aveva ordine di accompagnarmi sempre da per tutto. Ma a dir vero, siccome egli era un buon sciocco ed anche interessatuccio, io col dargli molto ne faceva assolutamente ogni mio piacere, ed egli non ridiceva nulla. Con tutto ciò,
l’ uomo per natura non si contentando mai, ed 1764 io molto meno che ni un altro, mi venne presto a noja anche quella piccola soggezione dell’avermi sempre il Cameriere alle reni, dovunque i’ m’andassi. E tanto più mi riusciva gravosa questa servitù, quanto ch’ella era una particolarità usata a me solo di quanti ne fossero in quel Primo Appartamento; poiché tutti gli altri uscivano da se, e quante volte il giorno volevano. Nè mi capacitai punto delta ragione che mi si dava di questo, ch’io era il più ragazzo di tutti, essendo sotto ai quindici anni. Onde m’incocciai in quell’idea di volere uscir solo anche io; e senza dir nulla al Cameriere, nò a chi che sia, cominciai a uscir da me. Da prima fui ripreso dal Governatore; e ci tornai subito; la seconda volta fui messo in anrestoiri casa, e poi liberato dopo alcuni giorni, fui da capo all’uscir solo. Poi riarrestato più strettamente, poi riliberato, e riuscito di nuovo; e sempre così a vicenda più volte, il che durò forse un mese, crescendomisi sempre il gastigo, e sempre inutilmente. Alla per fine dichiarai in uno degli arresti, che mi ci doveano tenere in perpetuo, perchè appena sarei stato liberato, immediatamente sarei tornato fuori da me; non volendo io nessuna particolarità nè in
1764 bene nè in male, che mi facesse essere o più o meno o diverso da tutti gli altri compagni. Che codesta distinzione era ingiusta ed odiosa, e mi rendeva lo scherno degli altri; che se pareva al Sig. Governatore ch’io non fossi d’età nè di costumi da poter far come gli altri del Primo, egli mi poteva rimettere nel secondo Appartamento. Dopo tutte queste mie arroganze mi toccò un arresto così lungo, che ci stetti da tre mesi e più, e fra gli altri tutto l’intero Carnevale del 1764. Io mi ostinai sempre più a non voler mai domandare d’esser liberato, e così arrabbiando e persistendo, credo che vi sarei marcito, ma non piegatomi mai. Quasi tutto il giorno dormiva; poi verso la sera mi alzava da letto, e fattomi portare una materassa vicino al camminetto, mi vi sdrajava su per terra; e non volendo più ricevere il pranzo solito dell’Accademia, che mi facevano portar in camera, io mi cucinava da me a quel fuoco della polenta, e altre cose simili. Non mi lasciava più pettinare, nè mi vestiva, ed era ridotto come un ragazzo salvatico. Mi era inibito l’uscire di camera; ma lasciavano pure venire quei miei amici di fuori a visitarmi; i fidi compagni di quelle eroiche cavalcate. Ma io allora sordo e muto, e quasi un