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Cap. VI. Viaggio in Inghilterra e in Olanda. Primo intoppo amoroso
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1768 fatto perenne. E di aver visto tal cosa ne loderei forse Dio, se non temessi, e credessi per troppo, che gli effetti e influenza di questi Re plebei siano per essere ancor piò funesti alla Francia ed al Mondo, che quelli dei Re Capetini.

CAPITOLO SESTO.

Viaggio in Inghilterra e in Olanda. Primo intoppo amoroso.



Partii dunque di Parigi verso il mezzo Gennajo, in compagnia di un Cavaliere mio paesano, giovine di bellissimo aspetto, di età circa dieci o dodici anni piò avanzato di me, di un certo ingegno naturale; ignorante, quanto me; riflessivo, assp meno, e pi>i amatore del gran mondo che conoscitore 0 investigatore degli uomini. Egli era cugino del nostro Ambasciatore in Parigi, e nipote del Principe di Masserano allora Ambasciatore di Spagna in Londra, in casa del quale egli doveva alloggiare. Benché io non amassi gran fatto di legarmi di compagnia per viaggio,pure per andare a un determinato luogo e non piò, mi ci
accomodai volentieri. Questo mio nuovo compagno 1768 era di un umore assai lieto e loquace, onde con vicendevole soddisfazione io taceva e ascoltava, egli parlava e lodavasi; essendo egli fortemente innamorato di se, per aver piaciuto molto alle donne; e mi andava annoverando con pompa i suoi trionfi amorosi, ch’io stava a sentire con diletto, e senza invidia nessuna. La sera all’albergo, aspettando, la cena, giuocavamo a scacchi, ed egli sempre mi vinceva, essendo io stato sempre ottusissimo a tutti i giuorhi. Si fece un giro più lungo per Lilla, e Douay,e Sant’Omero, per renderci a Calais,ed era il freddo si eccessivo, che in un calesse stivatissimo coi cristalli, ed inoltre un candelotto che ci tenevamo acceso, ci si agghiacciò in una notte il pane, ed il vino stesso; e quest’eccesso mi rallegrava, perchè io per natura poco gradisco le cose di mezzo.

Lasciate finalmente le rive della Francia, appena sbarcavamo a Douvres, che quel freddo si trovò scemato per metà, e non trovammo quasi punta neve fra Douvres e Londra. Quanto mi era spiaciuto Parigi al primo aspetto, tanto mi piacque subito e l’Inghilterra, e Londra massimamente. Le strade, le osterie
1768i cavalli, le donne, il ben essere universale, la vita e l’attività di quell’isola, la pulizia e comodo delle case benché picciolissime, il non vi trovare pezzenti, un moto perenne di danaro e d’industria sparso egualmente nelle provincie che nella capitale; tutte queste doti vere ed uniche di quel fortunato c libero paese, mi rapirono l’animo a bella prima, e in due altri viaggi oltre quello ch’io vi ho fatti finora, non ho variato mai piò di parere, troppa essendo la differenza tra l’Inghilterra e tutto il rimanente dell’Europa in queste tante diramazioni della pubblica felicità, provenienti dal miglior governo. Onde, benché io allora non ne studiassi profondamente la costituzione, madre di tanta prosperità, ne seppi però abbastanza osservare e valutare gli effetti divini.

In Londra essendo molto maggiore la facilità per i forestieri di essere introdotti nelle case, di quel che non sia in Parigi; io, che a quella difficoltà Parigina non avea mai voluto piegarmi per ammollirla, perchè non mi curo di vincere le difficoltà da cui non me ne rL donda niuq bene, mi lasciai allora per qualche mesi strascicare da quella facilità, e da quel mio compagno di viaggio, nel vortice del
gran mondo. Contribuì anche non poco ad 1768 infrangere la mia naturale rusticità e ritrosia la cortese e paterna amorevolezza verso di me del Principe di Masserano, Ambasciatore di Spagna, ottimo vecchio, appassionatissimo dei Piemontesi, essendo il Piemonte la.sua patria, benché, il di lui padre si fosse già traspiantato in Ispagna. Ma dopo circa tre mesi, avvedendomi che in quelle veglie e pene e festini io mi ci seccava pur troppo, e niente imparavaci, scambiatami allora la parte, in vece di recitare da Cavaliere nella veglia, mi elessi di far da cocchiere alla porta di essa, e incarrozzava e scarrozzava di quà e di là per tutto Londra il mio bel Ganimede compagno,a cui «olo lasciava la gloria dei trionfi amorosi; e mi era ridotto a far si bene e disinvoltamente il mio servizio di cocchiere, che anche di alcuni di quei combattimenti a timonate che usano tra i cocchieri Inglesi alFuscire del Renelawgh, e dei Teatri, ne uscii con un qualche onore, senza rottura di legno nè danno dei cavalli. In tal guisa dunque terminai i miei divertimenti di quell’inverno, col cavalcare quattro o cinqu’ore ogni mattina, e stare a cassetta due 0 tre ore ogni sera a guidare, per qualunque tempo facesse. Nell’Aprile poi col mio
1768 solito compagno si fece una scorsa per le piò belle provincie d’Inghilterra. Si andò a Portsmouth e Salsburyy a Bath, Bristol e si tornò per Oxford a Londra. Il paese mi piacque molto, e l’armonia delle cose diverse, tutte concordanti in quell’isola almaésimo ben essere di tutti, m’incantò sempre piò fortemente; e fin d’allora mi nascea il desiderio di potervi stare per sempre a dimora; non che gli individui me ne piacessero gran fatto, (benché assai piò dei Francesi, perchè piò buoni e alla buona ) ma il locai del paese,! semplici costumi, le belle e modeste donne e donzelle, e sopra tutto l’equitativo governo, e la vera libertà che n’è figlia; tutto questo me ne faceva affatto scordare la spiacevolezza del clima, la malinconia che sempre vi ti accerchia, e la, rovinosa carezza del vivere.

Tornato poi da quel giretto che mi avea rimesso su le mosse, io già di bel nuovo mi sentiva incalzato dal furore dell’andare, e con gran pena differii ancora sino ai primi di Giugno la mia partenza per l’Olanda. E allora poi, per la via di Harwich imbarcatomi per Helvoetlvys, con un rapidissimo vento in dodici ore vi approdai.

La Olanda è nell’estate un ameno e ridente paese; ma mi sarebbe piaciuta anche 1768 più, se l’avessi visitata prima dell’Inghilterra; atteso che quelle stesse cose che vi si ammirano, popolazione, ricchezza, lindura, savie leggi, industria ed attività somma, tutte vi si trovano alquanto minori che in Inghilterra. Ed in fatti poi, dopo molti altri viaggi e molta più esperienza, i due soli paesi dell’Europa che mi hanno sempre lasciato desiderio di se, sono stati l’Inghilterra e l’Italia; quella, in quanto l’arte ne ha per così dire soggiogata o trasfigurata la natura; questa, in quanto la natura sempre vi è robustamente risorta a fare in mille diversi modi vendetta dei suoi spesso tristi e sempre inoperosi governi.

Nel mio soggiorno nell’Haja, che riuscì assai più lungo che non avea disegnato, io incappai finalmente nell’amore, che mai fin allora non mi avea potuto raggiungere nè afferrare. Una gentil Signorina, sposa da un anno, piena di grazie naturali, di modesta bellezza, e di una soave ingenuità, mi toccò vivissimamente nel cuore; ed il paese essendo piccolo, e poche le distrazioni, nel rivederla io assai più spesso che non avrei voluto da prima, tosto poi mi venni a dolere di non poterla veder abbastanza. Mi trovai preso, senza quasi
1768 avvedermene, in una terribil maniera; talché già stava ruminando in me stesso niente meno che di non mi muover mai piò nè vìvo nè morto dall’Haja, persuadendomi che mi sarebbe impossibilissima cosa di vivere senz’essa. Apertosi il mio indurito cuore agli strali d’Amore,egli a<ea ad un tempo «tesso dato adito alle dolci insinuazioni dell’amicizia. Ed era il mio nuovo amico, il Sig. Don losè d’Acunha, Ministro allora di Portogallo in Olanda. Egli era uomo di molto ingegno e piò originalità, di una bastante coltura,e di un ferreo carattere; magnanimo di cuore, di animo bollente ed altissimo. Una certa simpatia fra le nostre due taciturnità ci avéa già quasi allacciati vicendevolmente, seiiza che ce ne avvedessimo; la franchezza poi e il calore dei nostri due animi ben tosto ebbe operato il di piò. Io dunque mi trovava felicissimo neirHaja,dove perla prima volta in vità mia mi occorreva di non desiderare altra cosà al mondo nessuna, oltre l’amica, e l’amico* Amante io ed amico, riamato da entrambi i soggetti, traboccava da ogni parte gli affetti, parlando dell’amata all’amico, e dell’amico all’amata; e gustava Cosi del piaceri vivissimi, incomparàbili, e fino a quel punto ignoti al mio cuore,benché tacitamente pur sempre me li fosse egli andato rithiedendo, e additando 1768 come in confuso. Mille savi consigli mi dava continuamente quel jegnissimo amico; e quello massimamente, di cui non perderò mai la memoria, si fu del farmi coii destrezza ed efficacia arrossire della mia stupida oziosa vita, del non mai aprir lin libro qualunque, dell’ignorar tante cose, e più che altro i nostri pur tanti e si ottimi, Italiani Poeti, ed i più distinti, (ancorché pochi) Prosatori e Filosofi. Tra questi, l’immortal Niccolò Machiavelli, di cui nuli’altro sapeva io che il semplice nome, oscurato e trasfigurato da quei pregiudizj con cui nelle nostre educazioni ce lo definiscono senza mostrarcelo, e senza averlo i detrattori di esso nè letto, nè inteso se pur mai visto l’hanno. L’amico d’Aucunha me ne regalò un Esemplare, che ancora conservo, e che poi molto lessi, e alcun poco postillai; ma dopo molti e molti anni. Una stranissima cosa però, (la quale id notai -molto dopo, ma che allora vivamente sentii •senza pure osservarla) si era, che io non mi sentiva mai ridestare in mente e nel cuore un certo desiderio di studj ed un certo impeto ed effervescenza d’idee creatrici,se non se in quei tempi in cui mi trovava il cuore fortemente occupato d’amore; il quale, ancorché mi
1768 distornasse da ogni mentale applicazione, ad uit tempo stesso me ne invogliava; onde io non mi teneva mai tanto capace di riuscire in un qualche ramo di letteratura,che allorquando avendo un oggetto caro ed amato mi parea di potere a quello tributare anco i frutti del mio ingegno.

Ma quella mia felicità Olandese non mi durò gran tempo. Il marito della mia Donna, era un ricchissimo individuo, il di cui padre era stato Governatore di Batavia; egli mutava spessissimo luogo, ed avendo recentemente comprata una Baronia negli Svizzeri, voleva andarvi a villeggiare in quell’autunno. Nell’Agosto egli fece colla moglie un viaggietto all’acque di Spa; ed io dietro loro, non essendo ‘ egli gran fatto geloso. Nel tornare poi di Spa verso l’Olanda, si venne insieme sino a Mastricht, e là mi fu forza lasciarla, perc.]è ella dovea andar in villa con la di lei madre,mentre il marito andava egli solo verso la Svizzera. Io non conosceva la di lei madre, e non v’era nè pretesto nè mezzo decente e plausibile per intromettermi in casa altrui. Codesta prima separazione mi spaccò veramente il cuore; ma rimanevaci pure ancora una qualche speranza di rivederci. Ed in fatti, tornato io
all’haja, e partito il marito per la Svizzera, 1768 di li a pochi giorni ricompari l’adorata Donna nell’Haja. La mia contentezza fu somma, ma fu un lampo momentaneo. Dopo dieci giorni, in cui veramente mi tenni ed era beato sopra ogni uomo, non sentendosi ella il cuore di dirmi qual giorno dovesse ripartire per la villa, nè avendo io il coraggio di domandarglielo; una mattina ad un tratto mi venne a vedere l’amico d’Acunha, e nel dirmi ch’eli’era sforzatarnente dovuta partire, mi diede una sua letterina che mi colpi a morte, benché tutta spirasse affetto ed ingenuità nell’annunziarmi l’indispensabile necessità in cui si trovava di non poter più senza scandalo differire la di lei partenza alla volta del marito, che le avea ingiunto di raggiungerlo. L’amico soavemente aggiungeva in voce, che non v’essendo rimedio, bisognava dar luogo alla necessità ed alla ragione.

Non sarei forse reputato veridico, se io volessi annoverare tutte le frenesie dell’addolorato disperato mio animo. A ogni conto voleva io assolutamente morire, ma non articolai però mai tal parola a nessuno; e fingendomi ammalato perchè l’amico mi lasciasse, feci chiamare il Chirurgo perchè mi cavasse sangue; venne,

Alfieri, Vita. Vol. I.
1768e me Io cavai. Uscito appena il Chirurgo, Io finsi di voler dormire, e chiusomi fra le cortine del letto io stava qualche minuti fra me ruminando a quello ch’io stava per fare, poi principiai a sfasciare la sanguigna avendo fermo in me di così dissanguarmi e perire. Ma quel non meno sagace che fido Elia, che mi vedeva in tale violento stato, e che anche dall’amico era stato addottrinato prima di lasciarmi, simulando che io lo avessi chiamato mi tornò alla sponda del letto rialzando la cortina ad un tratto: onde iò sorpreso e vergognoso ad un tempo, forse anche pentito 0 mal férmo nel mio giovenile proposto, gli dissi che la fasciatura mi s’era disfatta; egli finse di crederlo,e melari fasciò, nè piò mi volle perder di vista un momento. Ed anzi, fatto di nuovo cercar l’amico, egli corse da me, ed ambedue quasi mi sforzarono ad alzarmi da letto, e l’amico mi volle portwe a casa sua dove mi vi trattenne per piò giorni, nei quali mai non mi abbandonò. E mio dolore era cupo e taciturno; o sia che mi vergognassi, 0 che mi diffidassi, non l’ardiva esternare; onde o taceami, ovvero piangeva. Frattanto ed il tempo, e i consigli dell’amico, e le piccole divagazioni a cui egli mi costringeva, e un qualche raggio d’incerta speranza di
poterla rivedere; di ritornare in Olanda Fanno 1768 dopo, e più ch’ogni cosa forse la naturai leggerezza di quella età di anni diciannove, nù andarono a poco a poco sollevando. Ed ancorché il mio animo non sì risanasse per assai graq tempo, la ragione mi rientrò pure intera nello spazio di pochi giorni.

Cosi alquanta rinsavito, ma dolentissimo, fermai di partire alla volta d’Italia, riuscendomi ingratissima la vista di un paese e di luoghi ai quali io ridomandava il mio bene perduto quasi ad un tempo che posseduto. Mi doleva però assaissimo di staccarmi da un tale amico; ma egli stesso, vedendomi si gravemente piagato, mi incoraggi al partire, essendo ben convinto che il moto, la varietà degli oggetti, la lontananza ed il tempo infallibilr mente mi guarirebbero.

Verso il mezzo Settembre mi separa dall’amico in Utrecht, dove mi volle accompagnare, e di donde per la via di Bruxelles, per la Lorena, Alsazia, Svizzera, e Savoja noti mi arrestai più sino in Piemonte, altro che per dormire; ed in meno di tre settimane mi ritrovai in Cumiana nella villa di mia Sorella, dove andai subito da Susa senza passar per Torino, per isfuggire pgni consorzio

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