< Vita di Esopo Frigio
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Anonimo - Vita di Esopo Frigio (Antichità)
Traduzione dal greco di Giulio Landi (1545)
Capitolo III
Capitolo II Capitolo IV

CAPITOLO III.


TUtte queste male qualità del corpo suo, pareva che degnamente avessero ad Esopo la servitù apparecchiata, conciosiacchè essendo egli così mal disposto e di così contrafatta, e rozza corporatura, miracolo sarebbe stato, se egli avesse potuto le reti della nojosa servitù fuggire. Ma più meraviglioso miracolo fu che in un così mostruoso, e sproporzionato organo corporeo, un tanto bello, tanto leale, gentile animo abitasse, quanto, che fu sopra a tutti gli uomini prudentissimo, ed astutissimo, e di bei partiti, e di sottili invenzioni fu egli sopramodo felicissimo, ed astutissimo. Or essendo adunque Esopo agli altri servigi obbligato, ed il suo Padrone vedendolo così mal fatto, e mostruoso, e giudicandolo anco a tutti i bisogni di casa inettissimo alla zappa destinollo. Sicchè a zappare i poteri suoi insieme con altri Schiavi mandollo; la dove con molta diligenza zappando Esopo, allegramente si affaticava. Avvenne, che il Padrone essendo un giorno alla Villa uscito per vedere come fossero bene i suoi poderi lavorati, un Contadino gli portò parecchi bei fichi a presentare, di cui la bellezza essendogli piaciuta molto, diedegli ad Agatopo suo servitore a serbare, imponendogli, che come nel bagno lavato si fosse (che tale era degli antichi il costume, prima del mangiare lavarsi tutto il corpo) a tavola glie li recasse. La delicatezza del frutto accendeva l’appetito ed Agatopo di fare la credenza al Padrone, e la soavità, e la dolcezza lo spingevano a torne più d’uno. Allora essendo Esopo per qualche necessità a casa venuto, parve ad Agatopo avere buona occasione poter di quei fichi saziarsi senza averne alcuna riprensione, e castigo del Padrone, e perciò con un suo compagno, e con lui servitore, consigliandosi disse: E che ti pare fratello di questi bei fichi; uno ne ho gustato, che a miei giorni non sò avere la più soave cosa mangiata, mangiamoli, e se il Padrone gli ricercherà, noi diremo, che Esopo nascosamente gli ha mangiati, il che averà molto del verisimile, perciocchè egli or ora in casa è venuto. Nè pottassi questa bugia riprovare, perchè egli è solo, e noi siamo due, ed egli non sa, nè può parlare, e noi ben bene cicalando di parole vinceiremo, e però al sicuro possiamo mangiarli. Peacque al compagno il partito, ed all’esecuzione di così dolce impresa, ambidue ingordamente a rettaronsi; onde essi i fichi divorando, e con molta risa dicevano. O come son buoni, non se boccherà già a questa fiata il Padrone, che mai non ci dà altro, che pane ben cattivo e pura acqua a bere, avvenga, che qualche volta quali che osso spolpato come a cani ci lanci. Ora noi anco, mangiamo del buono, se sia poi alle spese del galante Esopo. O povero te, o sventurato quante busse averai, e pur noi averemo i fichi mangiati. Così va il Mondo, che altri godano, e non importa come noi, ed altri hanno il mal anno, e la mala ventura. A tua posta Esopo, votiamo pure il cesto, poichè abbiamo cominciato, è bene l’opera finire. Così in parole dicendo abbondavano le risa.

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