< Vita di Giacomo Leopardi
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Capitolo XX. I due sodali a Napoli
Capitolo XIX Capitolo XXI

400 Capitolo XX. I DUE SODALI A NAPOLI. 1833-1835. Sommario : Il Ranieri va a Napoli. — Torna a Firenze a pren- dere il Leopardi. — Malattia d'occhi. — Preparativi a Napoli per ricevere i due sodali. — Partenza dei due sodali per Na- poli. — Lettera di Giacomo al padre. — Alla ricerca di un quartiere. — Il Leopardi poco conosciuto e non degnamente apprezzato dai letterati napoletani. — Disegno d'andare a Pa- rigi. — L'Aspasia. — Nuovi propositi di partire da Napoli. — Partenza per Recanati, sempre differita. — Storielle e bugie per iscusarsi del non essere andato. — Impedimenti veri. — 1 due sodali non nuotano nell'oro. — La poca sincerità del poeta. — L'accusa di egoismo. — Il canto Sopra un bassori- lievo antico sepolcrale. — Il canto Sopra il ritratto di una bella donna scolpilo nel monumento sepolcrale della medesima. Partendo da Firenze nel luglio del 1832, il Ra- nieri era disposto a finire l'una di queste due cose: < tornare a riprendere l'amico e menarlo per sem- pre a Napoli, ritornare lui per sempre a Firenze. >' Delle due cose egli preferiva la seconda ; ma dovò rassegnarsi alla prima. Arrivato a Napoli (nel no- vembre), riveduti i i)arenti e gli amici, e consiglia- tosi con loro, dovò ben presto persuadersi clie non era possibile ottenere da suo padre, sdegnato anclio per le soverchie spese da lui fatte negli ultimi anni, il permesso e i mc/./i di mantenersi ancora fuori di casa. Della determinazione allora presa, di tornare a stabilirsi definitivamente a Napoli, conducendo seco

  • V«di B$H4 anni di $odall*io •e., pag. 81. I DUE SODALI A NAPOLI. 401

il Leopardi, il Ranieri nel Sodalizio attribuisce tutto il merito a sua sorella Paolina, giovinetta allora di sedici in diciassette anni. Quando ella seppe dal fratello, che aveva lasciato a Firenze un amico ammalato e bisognoso di cure, e che questo amico era il Leopardi, del quale cono- sceva già alcune poesie, gli disse: — Va' a riprenderlo, e menalo qui; ed io ti prometto di fargli da suora di carità. — Ma il vecchio Ranieri avrebbe acconsen- tito a ricevere in casa un estraneo, e per giunta malato ? Antonio si trattenne a Napoli circa cinque mesi, godendosi la compagnia degli amici, dei parenti, e so- pra tutto della sorella Paolina, alla quale si senti da allora legato di un alletto speciale, e dalla quale pro- mise a sé stesso che non si sarebbe più separato; ma durante quel tempo non ebbe cuore di parlare al padre del suo disegno di menare in casa il Leopardi. Lasciò agli altri la cura di parlarne quando egli fosse par- tito, di sistemare i suoi interessi, e di provvedere perchè tornando potesse condurre con sé l'amico. Ri- masto su ciò d'accordo con la sorella e coi parenti, ripartì nell'aprile per Firenze. Arrivato a Roma, ricevè una letterina di due ri- ghe dell'amico, da alcune parole della quale, disgra- ziatamente equivoche, gli parve di capire ch'egli fosse in pericolo di vita. Ne avvisò subito i parenti di Giacomo in Roma; l'Antici ne scrisse a Monaldo; e tutta la famiglia Leopardi a Recanati ne fu sottoso- pra. La Paolina scrisse il 7 aprile una lettera dispe- rata al Vieusseux, supplicandolo di darle subito no- tizie, senza niente nascondere della verità, qualunque fosse. 11 Vieusseux ricevè la lettera il 4 maggio, e rispose il giorno stesso, rassicurandola. < Il nostro carissimo Giacomo, le diceva, gode uno stato di salute tale ch'egli ha potuto ier l'altro sera trattenersi nel mio salone in uno scelto crocchio d'amici fin dopo Chiarini, Leop. 2G 402 CAPITOLO XX. la mezzanotte. > Aggiungeva ch'esso interveniva re- golarmente alle sue conversazioni del giovedì, che so- lamente in principio dell'anno, durante i freddi ec- cessivi, si era risentito un po' de' suoi incomodi, ma che la sua salute non aveva destato mai nessun timore. Il Ranieri, appena ricevuta la letterina del Leo- pardi, corse subito a Firenze, dove trovò l' infermo, dice lui, che non stava punto bene. Come veramente stava apparisce dalla lettera del Vieusseux alla Pao- lina; alla quale due giorni dopo scrisse Giacomo stesso per esprimere a lei e alla famiglia il dispiacere gran- dissimo per l'angoscia procurata loro involontaria- mente. < Care mie anime, finiva la lettera, vede Iddio ch'io non posso, non posso scrivere: ma siate tran- quillissimi, io non posso morire: la mia macchina (così dice anche il mio eccellente medico) non ha vita bastante a concepire una malattia mortale. Vi lascio per forza abbracciando tutti con immensa tenerezza. > ' Il Ranieri arrivò a Firenze la notte del 20 aprile ; aprì con le chiavettine che aveva seco l'uscio di strada e quello delle scale, e senza destare nessuno, nem- meno il Leopardi, si mise a letto. La mattina dipoi, quando si rividero, il poeta fu tutto consolato del ritorno dell'amico, senza la cui compagnia si sentiva solo e come sperduto nel mondo. I due anni 1831, 1832, gli anni dell'amore per la Targioni, orano stati dei piit tristi nella vita del poeta, forse i più tristi: tristissimo sopra modo quel lungo periodo dal luglio 1832 all'aprile del 1833 clic il Ra- nieri era stato lontano. Un uomo, nelle condizioni di salute e d'animo del Leopardi, non poteva vivere senza accanto una sorella, una moglie, un'amica, che avesse per lui quelle mille curo quotidiane affettuose, di cui pare che solamente le donne siano capaci. Co- testa sorella, cotesta moglie, cotosta amica, fu pur lui

  • Epistolario, Tol. II, pag. 614, 61B. I DUE SODALI A NAPOLI. 403

Antonio Ranieri. Se in quel momento il Ranieri gli fosse mancato, non restava all' infelice poeta che tor- nare a morire a Recanati. I bei tempi della libera e gentile Firenze erano passati come un soffio. Dopo la cacciata del Gior- dani, venne quella del Colletta, che fece appena a tempo a morire in Toscana ; poi i Poerio ed altri furono banditi, o fuggirono; finalmente fu soppressa V Antologia. Ciò che restava in Firenze al Leopardi dei così detti amici toscani, erano quei pochi coi quali andava meno d'accordo nelle opinioni, eccettuati il Niccolini e il Vieusseux. Se a ciò si aggiunga che l'idolo suo, la Targioni, era ad un tratto precipitato dal suo piedistallo, ed egli non sentiva più per lei che avversione e disgusto, sarà facile intendere come ora Firenze avesse perdute per il nostro poeta le sue mi- gliori attrattive. Tuttoché nelle lettere del Leopardi al Ranieri posteriori a quella del 29 gennaio 1833 non sia più nominata la Targioni, è naturale che i due amici tornati a rivedersi e stare insieme parlassero, o poco molto, di lei, per quanto il parlarne dovesse riu- scire penoso in special modo al Leopardi. Il Ranieri, che, secondo me, non incoraggiò mai l'amico nel- l'amore per la Targioni, come altri ha creduto, quando vide spenta la tìamma, dovè rallegrarsene ; rallegrar- sene per il poeta, e per la signora. Probabilmente egli strinse allora con essa maggiore intimità. Il Leo- pardi, invece, è probabile che già da qualche tempo non andasse più a farle visita, e che dopo il ritorno in Firenze del Ranieri non la rivedesse affatto. Sappiamo che allora il poeta era appena convale- scente di una fiera ed ostinatissima oftalmia, per la 404 CAPITOLO XX. quale non aveva potuto finire che il 18 aprile una breve lettera al De Sinner cominciata in gennaio/ E tuttavia doveva schermirsi da quel noioso e va- nitoso del Resini, che pretendeva gli leggesse e cor- reggesse i suoi romanzi e i suoi drammi. Ma la con- valescenza, invece di proseguire verso il meglio, fu ben presto seguita da un peggioramento notevole; tanto che Giacomo il 2 di luglio scriveva al padre : < Sono stato più di 50 giorni combattendo con una brutta e minacciosa malattia intorno agli occhi, uno dei quali era già semichiuso. Mediante una savia e semplice cura, il principio maligno ch'io ho nel san- gue sembra neutralizzato in quella parte. >' Il povero Ranieri non si trovava, diciamolo pure, in un letto di rose. Doveva fare da infermiere al- l' amico suo ; doveva sistemare i suoi affari a Fi- renze, per disporsi nell'entrante autunno al viaggio per Napoli ; doveva stare in corrispondenza coi pa- renti e gli amici di Napoli, per essere informato del modo come là si mettevano lo cose : né da queste gravi cure aveva altra distrazione o sollievo, che qual- che conversazione cogli amici rimasti ancora al ga- binetto Vieusseux, e qualche dolce colloquio con la Targioni. Dico male : il suo maggioro sollievo era allora il conversare col suo caro malato, il godere la intimità di quella mente superiore, il pensare al bene che gli faceva. Chi più si adoperava a Napoli per condurre in porto il disegno del Ranieri, erano la sorella Enri- chetta, il cognato Giuseppe Ferrigni, Carlo Troya o Costantino Margaris, maestro di Paolina. Ad essi ora noto oramai che il vecchio Ranieri non voleva saperne (li ricevere in casa il poeta, sia jìcr <jV inesorabili dis- sidii religiosi, come aveva scritto Paolina al fratello, sia, com'è più probabile, por le ragioni di economia

  • EpMotarto, voi. II, pag. 612. ■ Idoro, pag. 616.

I I I DUE SODALI A NAPOLI. 405 e di quiete domestica, che la presenza di un estra- neo e malato avrebbe necessariamente turbate. Non restava quindi che prendere in affitto un quartierino mobiliato, ove i due amici arrivando a Napoli potes- sero scendere e vivere insieme. Questo per il momento : poi si sarebbe provveduto in modo più stabile e de- finitivo, e forse più economico. Naturalmente alla spesa del viaggio da Firenze a Napoli, dell'affitto del quartierino, e del mantenimento dei due sodali, il Leopardi non avrà potuto contribuire che in piccola parte; ma nemmeno è probabile che vi provvedesse in tutto il vecchio Ranieri, al quale forse fu tenuto nascosto, almeno da principio, l'ar- rivo stesso del Leopardi. Antonio d'altronde era figlio di famiglia, e denari di suo non ne aveva. Chi dovè venire in aiuto di lui furono i congiunti e gli amici. » * Essendo oramai disposto tutto per la partenza, il '2 settembre i due sodali mossero da Firenze, diretti a Roma per Napoli. Allontanandosi dalla Toscana, il Leopardi si allontanava sempre più da Recanati e dalla sua famiglia, che non doveva più rivedere. Il giorno innanzi aveva scritta, cioè dettata al Ranieri, una lettera per Monaldo, nella quale era detto : < Alla mia salute, che non fu mai così rovinata come ora, avendomi i medici consigliato come sommo rimedio l'aria di Napoli, un mio amicissimo che parte a quella volta ha tanto insistito per condurrai seco nel suo legno, eh' io non ho potuto resistere, e parto con lui domani. Provo un grandissimo dolore nell' allonta- narmi maggiormente da lei ; ed era mia intenzione di venire a passare questo inverno a Recanati. Avrei vo- luto almeno, allungando la strada, passare per Re- canati. Ma ciò non era compatibile col profittare della 406 CAPITOLO XX. bellissima occasione che mi si è presentata. Passato qualche mese a Napoli, se ne ritrarrò quel miglio- ramento che ne spero, avrò finalmente l'incredibile piacere di rivederla. > A Roma, dove i due amici fecero una breve di- mora, Giacomo ricevè due lettere del padre, una dello quali gli annunziava un sussidio straordinario di venti scudi, offertogli probabilmente ad insaputa della ma- dre. Giacomo rispose il 28 settembre, dicendo che il viaggio gli aveva un po' giovato, ma non quanto spe- rava, che gli occhi stavano al solito, e che fra due giorni sarebbe partito per Napoli. Dalla lettera di Giacomo al padre del primo set- tembre si vede già ch'egli non voleva delle cose sue far sapere alla famiglia la verità vera; e poiché la lettera era stata scritta dal Ranieri, egli era fin d'al- lora avvisato che l'amico cominciava a servirsi della facoltà d'inventare ai suoi quante favole gli paresse. Quando i due amici arrivarono a Napoli, la fami- glia Ranieri era in villa; ciò che tornava opportuno al loro tranquillo e quasi occulto collocarsi in città in un quartiere mobiliato. Il quartiere era stato prov- veduto dal Margaris, ed era, dice il Ranieri, un < se- condo piano alla cantonata di via San Mattia, sulla così detta Loggia di Berio, ad un oriente e un mez- zodì saluberrimi. >' Si erano appena accomodati nell'alloggio, quando una mattina l'albergatrice, entrata in camera del Ra- nieri, gli annunziò che intendeva sciogliere il contratto, perchè l'amico eh' ei le aveva introdotto in casa era un tisico. 11 Ranieri cercò di rassicurarla, negando cho la malattia dell'amico suo fosse contagiosa, e di- cendole che le avrebbe intorno a ciò fatto dare le maggiori assicurazioni dal medico. Corse immediata- mente a prendere il Mannella, medico del vecchio Sttt* •nnt di aodalisio oc, pag. 82. I DUE SODALI A NAPOLI. 407 Principe di Salerno, lo condusse in casa, e le paure della albergatrice furono per il momento acquetate dalle parole di lui. Il Ranieri fin da principio aveva pensato, d'ac- cordo co' suoi, di cambiare, appena fosse possibile, l'appartamento mobiliato di via San Mattia con un alloggio vuoto, ed aveva già posto gli occhi sopra un quartiere che dava in via Capodimonte; ma poiché era occupato e non si poteva averlo subito, pregò il buon Margaris, aftinché, intanto che si aspettava quello, no cercasse un altro. Il Margaris lo trovò in via Nuova Santa Maria Ognibene, nel palazzo Cammarota ; e l'ap- partamento fu in breve, per le cure di Paolina, prov- veduto delle suppellettili e masserizie necessarie, in modo che i due sodali poterono andare ad abitarvi nel dicembre; e vi dimorarono fino al maggio del 1830, nel qual tempo soltanto poterono avere l'agognato quar- tiere di via Capodimonte. Paolina Ranieri era stata presentata da suo fra- tello al Leopardi poco dopo il loro arrivo a Napoli ; ma non aveva potuto allora, né potè finché stettero nel palazzo Cammarota, assumere il suo uftìcio di suora di carità presso l'amico di suo fratello. Si oc- cupava però premurosamente di loro quanto le era possibile stando con la famiglia del padre, che abi- tava lontano. « * La vita del poeta a Napoli corse fino dai primi tempi abbastanza tranquilla, e le condizioni di sua salute cominciarono subito a migliorare lentamente. Fino dal 5 ottobre 1833 scriveva al padre che la dol- cezza del clima, la bellezza della città e V indole amabile e benevola degli abitanti gli riuscivano assai piacevoli.^ ' Epistolario, voi. Ili, pag. 1. 408 CAPITOLO XX. Degli abitanti il poeta giudicava dai parenti e da- gli amici del Ranieri, che gli erano spesso intorno con mille attenzioni affettuose e gentili. Il Margaris andava quasi ogni giorno a trovare i due sodali e si tratteneva lungamente con loro, fin da quando abita- vano alla Loggia di Berio ; Carlo Troya e l'avv. Fer- rigni divennero subito intimi del Leopardi, mostrarono di apprezzarne altamente l'ingegno, e studiarono ogni modo di rendergli onore e d'essergli utili. Tutti i co- noscenti di casa Ranieri, che sentirono parlare del- l'amico d'Antonio, del suo ingegno straordinario e della sua infelicità, ebbero naturalmente desiderio di conoscerlo. Ma fuori del cerchio delle conoscenze ranieriane, il Leopardi a Napoli era allora poco noto. Tutto ciò che si conosceva di lui erano alcune canzoni ristam- pate da Carlo Mele in una strenna, che pochi erano in grado di apprezzare, e forse di comprendere. An- che quando in seguito cominciò ad essere più cono- sciuto, non si comprese subito da tutti il suo alto valore. — Perchè ? — Se le idee del Leopardi non erano molto all' uni- sono con quelle degli amici suoi di Toscana che con- venivano al gabinetto Vieusseux, tanto meno si accor- davano con quelle dei letterati napoletani, tra i quali, nel tempo ch'egli arrivò a Napoli, prevalevano le dot- trine spiritualistiche avverse a quel materialismo nel quale egli aveva posta oramai la base incrollabile della sua filosofia. Anche a Napoli, corno a Firenze, anzi più che a Firenze, il sentimento cristiano aveva ricominciato, come scrivo lo Zumbini, a informare di 80 tutta la cultura; e coW idealismo filosofico si con- f/iunf/eva un tal quale guelfismo nella storia e nell'arte.^ Tutto ciò, com' era sommamente antipatico al Leo-

  • ZaMBVn, Sludi iul Leopardi; Firon^O; Bnrbòrn, IWi, voi. II,

p«g. 241. I DUE SODALI A NAPOLI. 409 pardi, così impediva che l'altezza della mente di lui fosse compresa dai letterati napoletani del tempo. Ma ciò non impedì ch'egli fosse, sopra tutto per le sue sin- golari condizioni, universalmente rispettato e stimato. Le accennate circostanze e la compagnia dell'amico Kanieri rendevano sufficientemente gradita al Leo- pardi la dimora in Napoli, ma non tanto eh' egli non andasse fantasticando di cercare altrove una residenza più rispondente ai suoi desiderii, dove cioè egli potesse lavorare e guadagnare. Oramai egli era ridotto in condizioni di salute così miserabili, che, anche dopo aver provato qualche benefizio dal clima di Napoli, si permetteva di dire che il nord e il mezzogiorno erano })er io meno indifferenti ai suoi mali; ' e con una singolare contradizione, poiché si sentiva un po' me- glio, e gli pareva di poter ricominciare a lavorare, scriveva il 20 marzo 1834 al De Sinner a Parigi, di- cendogli ch'era desiderosissimo di andare a terminare là i suoi giorni, e domandandogli se credeva possi- bile che una nuova collezione dei classici italiani, da lui diretta e illustrata, potrebbe occuparlo utilmente colà. Se no, s' informasse, e gli proponesse lui qualche altra impresa più propria e più utile. Quando egli avesse spei-anza certa che, giunto a Parigi, avrebbe tosto dove impiegarsi, andrebbe là col suo amico Ra- nieri, che lo aiuterebbe nei lavori. Probabilmente il Ranieri, che scrisse la lettera al De Sinner sotto det- tatura del Leopardi, non aveva molta speranza e nep- pure gran desiderio che il progetto d' andare a Parigi riuscisse. Il De Sinner rispose nel maggio che il solo modo di guadagnare colla letteratura a Parigi era di farsi collaboratore di una Rivista.- Allora il Leo- pardi, deposta per il momento l' idea di andare in Francia, domandò se si potesse collaborare mandando gli articoli da lontano. Epistolario, voi. Ili, pag. 2. ' Idem, pag. 6. 410 CAPITOLO XX. Evidentemente egli in questo tempo (la lettera al De Sinner è del 10 giugno 1834) si sentiva, o almeno credeva di sentirsi, in grado di attendere a qualche lavoro. Forse era tornato alla poesia con V Aspasia, la cui composizione si attribuisce, non senza giusti motivi, alla primavera del 1834. Questa poesia è il documento più importante del- l'amore del Leopardi per la Targioni ; ed è la prova che delle donne da lui amate essa è quella che fece più forte e durevole impressione nell'animo suo. An- che dopo eh' egli credè spezzato l' incanto, non riuscì a dimenticarla. Andò a Napoli non portando in cuore altro sentimento verso di lei che un acre desiderio di vendetta ; e non fu pago finché non ebbe sodisfatto quel desiderio. Si vergognava di essere stato per due lunghi anni mancipio di quella donna e volle dell' er- rore fare alta e memorabile ammenda. Di quanto si era abbassato dinanzi a lei, di tanto volle rialzarsi e abbassare lei dinanzi a sé ; e con lei tutte le donne. E scrisse VAspasia^

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A82)asia é la dimostrazione poetica della sentenza di Teofrasto, che la bellezza ò una tacita menzogna. Il poeta, deforme, e perciò escluso dall'amore, vuol vendicarsi della dura sua sorte; vuol vendicarsi di tutto le bello donne che lo fecero i)iù o meno soffrire, ma sopra tutte di quella che fu l'ultimo e il suo maggiore tormento, di quella che lo perseguita an- cora, dopo un anno o più ch'ei non la vedo. Quel fatale scmbianto di donna gli torna sempre dinanzi, nei luoghi abitati, nei campi solitari!, di notte, di giorno; gli lampeggia fuggitivo in altri volti; e gli ridesta nell'anima quella superba visiono, che fu per tanto tempo sua delizia od crinni. Tutta la natura par congiurata a riimovargli la memoria di I DUE SODALI A NAPOLI. 411 quel funesto amore, a fargli di tratto in tratto bale- nare agli occhi quella eh' ei chiama ancora cara larva. Il profumo delle piagge fiorite, l'olezzo dei fiori nelle vie cittadine gli fanno rivedere l'immagine della bel- lissima donna, quale gli apparve in quella dolce pri- mavera del 1831 ; e si compiace a descriverla con molte particolarità, rievocando il fascino di quelle angeliche forme, e la esalta esteticamente, per poterla moralmente ed intellettualmente deprimere. Io, le dice, conobbi fin dal principio l'essere tuo, le tue arti e le frodi; io so che tu fosti sempre in- degna dell' amor mio ; che non potesti mai immagi- nare gli alti pensieri che suscitasti in me. Le donne non pensano né potrebbero comprendere ciò che la loro stessa bellezza ispira agli amanti generosi. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. Ma io non amai te, amai quella immagine di te, che ora è morta nel mio cuore. — Ah no, poeta, non è morta, s' ella vive, così plasticamente vera e superba- mente bella, nei dolorosi e sdegnosi tuoi versi. Tu puoi disprezzarla, detestarla, calpestarla; ma l'arai ancora. Dopo che il Leopardi fu morto, alcuni amici e conoscenti di lui e della Targioni domandarono alla bella e crudele signora se ella sapeva chi fosse l'Aspa- sia, ed essa con una ingenuità, che non si può credere molto sincera, rivolse la domanda al Ranieri ; il quale le rispose : < Aspasia siete voi ; e voi lo sapete, o al- meno lo dovreste sapere, o almeno io immaginava che lo sapeste, perchè leggendo quel componimento, mi scriveste non so che per darmi a intendere che l'ave- vate inteso. Nondimeno io ho detto e dirò sempre di non saperlo, perchè non so se avete o no piacere che si sappia, nel che io non voglio che stare alla vostra 412 CAPITOLO XX. espressa volontà, cosi parendomi che m'ingiunga la mia delicatezza. >' È probabile che la bella Fanny, lungi dall' aversi a male della risposta del Ranieri, se ne compiacesse. Ella possedeva cosi il documento attestante la po- tenza della sua bellezza sopra il più grande poeta del tempo; e lo conservò alla curiosità dei posteri.

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Veduta l'impossibilità di recarsi in Francia, non aveva il Leopardi deposta l'idea di andar via da Na- poli. Fino dall'aprile 1834 scriveva a suo padre e al- l'Adelaide Maestri che sperava di partire presto, in compagnia dell' amico ; ma non sapeva dove sarebbe andato. Al padre parlava dell'impazienza di rivederlo; all'Adelaide diceva che l'aria di Napoli gli era di qualche utilità, ma che nelle altre cose quel sog- giorno non gli conveniva molto.* Nel giugno, scrivendo al De Sinner, lo pregava di indirizzargli a Roma la sua risposta, tanto gli pareva d'esser certo che sa- rebbe partito. Ma venne il settembre; e nò lui né l'amico non si erano mossi da Napoli. p]videnteniente il Ranieri non voleva contradire al desiderio del Leo- pardi, ma tirava le cose in lungo, adducendo pre- testi ; uno dei quali, molto ragionevole, doveva essere la mancanza di denari. E poi, dove sarebbero andati? e a che fare? Il 2 settembre Giacomo si scusava al padre di non avergli scritto da lungo tempo, perchò si vergognava di non potergli avvisare l'epoca della sua partema. I^o avrebbe ragguagliato fra poco a voce de- gli imbarazzi che gli avevano impedito di muoversi; e intanto lo avvisava che, oltre ad essersi già servito dfH Z'} colonncUi che dovevano scadere a settembre, aveva > Nuova Antologia, rnnc. dui 1» novonibro 1908, pag. 42.

  • Epistolario, voi. Ili, png. 6. I DUE SODALI A NAPOLI. 413

tratto sopra lo zio Antici un' altra camhialetta per co- lonnati 33, e che poi sarebbe stato costretto a valersi sopra la famiglia di quanto occorreva per il viaggio che stava per intraprendere. Questa volta pareva che la partenza fosse propria- mente stabilita; ma il 21 ottobre Giacomo scrisse al padre, che il suo amico Ranieri, con cui doveva fare il viaggio di Roma, era costretto ad aspettare il ri- torno di Sicilia del cardinale Zurla, senza del quale non avrebbe potuto far ricevere in educazione due sue sorelle che accompagnava per ciò a Roma ; che il car- dinale sarebbe arrivato ai primi di novembre, e allora sarebbero partiti anche loro. Se non che il cardinale ebbe l'infelice idea di morire, e il Ranieri dovè so- spendere la sua partenza. Dando questa notizia al padre il 22 novembre, Giacomo aggiungeva che un altro imbarazzo grave gì' impediva di partire subito, quello della casa, che non aveva potuto subaffittare ; ma che, accomodan- dosi questo affare, come sperava, e risolvendosi il suo amico Ranieri a partire per Roma nel mese entrante, era « risolutissimo di mettersi in viaggio malgrado il freddo; perchè, scriveva, oltre all'impazienza di ri- vederla, non posso più sopportare questo paese se- mibarbaro e semiaffricano, nel quale io vivo in un perfettissimo isolamento da tutti. > Passano il dicembre e il gennaio, e il 3 febbraio 1835 Giacomo riscrive che un freddo intenso e straordina- rio gV impedì, come sperava, di mettersi in via. < Ora, soggiunge, il mio principale pensiero è di disporre le cose in modo eh' io possa sradicarmi di qua al più presto; ed ella viva sicura che, quanto prima mi sarà umanamente possibile, io partirò per Recanati, es- sendo nel fondo dell'anima impazientissimo di rive- derla, oltre il bisogno che ho di fuggire da questi lazzaroni e pulcinelli nobili e plebei, tutti ladri e b. f. degnissimi di Spagnuoli e di forche. > 414 CAPITOLO XX. Passano quasi altri tre mesi, e, invece di partire, Giacomo il 25 aprile scrive che una serie di circostanze penose, oltre la mancanza elei denari, gli ha impedito di partire; che però sino dal gennaio ha disdetto la casa, e ha avuto la fortuna di trovare un quartiere a mese ; che finalmente il suo amico Ranieri è riu- scito a stabilire un'impresa letteraria, dalla quale spe- rano tutti due qualche guadagno, e che deve sommi- nistrare a lui i mezzi di lasciare quell'odioso soggiorno. Appena ciò sia avvenuto, egli, s' intende, partirà per andare a riabbracciare la famiglia. Era passato oramai più di un anno e mezzo che il Leopardi era a Napoli, dove, come aveva scritto al padre, contava, quando partì, di trattenersi solo pochi mesi ; ed erano passati più di cinque anni ch'era lon- tano dalla famiglia. Nell'anno e mezzo di dimora a Na,poli era migliorato straordinariamente della salute, tanto che nelV inverno passato, scriveva alla Tomma- sini il 2 maggio 1835, aveva potuto un poco leggeì-e, pensare e scrivere.^ Le cinque lettere al padre dal 2 set- tembre 1834 al 25 aprile 1835 sono tutte di suo pugno, e in tutte, come abbiam visto, egli annunzia imminente la sua partenza per Ilccanati, e vivissimo il deside- rio di rivedere la famiglia. Clio questo desiderio e l'intenzione di partire fos- sero sincori, non vogliamo metterlo in dul)bio ; ma gì' impedimenti messi innanzi nello lettere al padre per iscusarsi di non essere partito erano, come sap- piamo, favole, or impedimenti veri erano la mancanza di denari e la nesHuna voglia del Ranieri di muoversi da Napoli. I mozzi pccuniarii dei quali disponevano • Kplitotarlo, voi. Ili, pag. 14. I DUE SODALI A NAPOLI. 415 i due amici, erano meschini. Quelli del Leopardi li conosciamo. Se il vecchio Ranieri fece, come è natu- rale, un assegno al figliuolo per mantenersi fuori di casa, questo sarà stato certamente maggiore di quello di Giacomo, ma non eccessivamente. Appare del resto da molti indizi che i due sodali, non solo non nuotavano nell'oro, ma si trovavano ta- lora in qualche strettezza. Se il Leopardi ricorse più d'una volta per qualche sussidio straordinario alla fa- miglia, e trasse nel giugno 1835 una cambiale per dodici luigi all'indirizzo del Bunsen, che gli aveva offerto alcuni anni avanti il suo aiuto, ciò dovè av- venire, non per necessità personali di Giacomo, ma per i bisogni del sodalizio. Risulta poi evidente da ciò che abbiam detto fin qui della vita dei due amici a Napoli, che, come erano favole gl'impedimenti allegati dal Leopardi per iscu- sare la sua mancata partenza per Recanati, così c'era poco niente di vero in ciò ch'egli scriveva del suo bisogno di fuggire da quel paese semibarbaro e se- miaffricano. Come si può credere che il soggiorno di Napoli gli fosse veramente odioso proprio nel tempo in cui egli confessava di dovere ad esso un miglio- ramento straordinario nella salute? È anche falso ch'egli a Napoli vivesse in un perfettissimo isolamento da tutti. Per tacer d'altro, frequentava le conversa- zioni di casa Ferrigni, dove convenivano molte per- sone, usciva spesso a passeggiare in compagnia di pa- renti dell'amico suo, ed anche in casa vedeva più gente che forse non desiderasse. È lecito eziandio dubitare che la morte del cardinale Zurla fosse la cagion vera che impedì ai due amici di andare a Roma, e dubitare della realtà e serietà del- l'impresa letteraria stabilita dal Ranieri, che doveva somministrare al Leopardi i mezzi di lasciare Napoli. Alcune di queste favole potevano essere state sug- gerite al Leopardi dal Ranieri stesso ; ma dato pure 416 CAPITOLO XX. che fossero tutte invenzione del poeta, non e' è da meravigliarne; e non sarebbe giusto accusarlo per ciò di poca sincerità. La sincerità del poeta dobbiamo cercarla nelle cose veramente rilevanti, non in questi rapporti col padre; il quale, dopo tutto, era, per la educazione data ai figliuoli, il vero e solo colpevole delle loro bugie. Chi vorrà, per esempio, accusare di falsità il povero Giacomo perchè nel luglio del 1832 scrisse da Firenze che faceva dire tridui e novene per implorare da Dio una pronta morte, se quello, che può parere un' atroce ironia, era l'argomento migliore per indurre i genitori a fargli un piccolo assegno?

    Il De Sinner, il Bunsen, la Tommasini e la Mae- stri furono quasi le sole persone, oltre quelle della propria famiglia, con le quali il Leopardi mantenne corrispondenza epistolare durante la sua dimora a Napoli. Anche dalle lettere alla Tommasini e alla Maestri risulta che il desiderio e la speranza di andar via da Napoli l'aveva avuta, e l'aveva: ma la speranza era destituita d'ogni probabilità di attuazione ; e il desiderio derivava anzitutto dalla consueta sua scon- tentezza ed irrequietezza, poi dal dispiacere, quasi dal rimorso, di essere da tanto tempo lontano dai suoi, finalmente dal sentirsi come isolato dal resto del mondo, dal suo mondo di Bologna, di Firenze, di Koma, col quale aveva dovuto, a cagione delle sue ma- lattie, rompere quasi ogni relazione. Se di tratto in tratto riceveva qualche rara notizia di quel mondo, essa gli veniva da casa Tommasini o da casa Maestri; ma alcuno di quello lettore andavano perdute ; onde passavano mesi e mesi, anzi anni, senza ch'egli sa- pette più niente di nessuno. I DUE SODALI A NAPOLI. 417 Quelli che lo accusarono di egoismo, perchè in questi ultimi infelicissimi anni parve dimentico degli amici, non pensarono che questa apparente e for- zata dimenticanza fu forse uno dei maggiori dolori del poeta. Perchè da giovane aveva egli desiderato tanto ardentemente di uscire da Recanati V Per ve- dere il mondo, per conoscerlo e farsi conoscere da esso. Ed ora ecco che, giovine ancora, giunto al ter- mine di sua vita, pur vivendo in una popolosa città, si trovava di nuovo isolato dal mondo, quasi fosse a Kecanati. Aveva saputo nell'aprile 1834 dalla Maestri l'ar- resto e la carcerazione del Giordani ; la sola notizia del fatto, e poi niente altro. Ora scrivendo dopo più d' un anno alla Tommasini, la pregava : < Racconta- temi qualche cosa di Giordani ; del quale qui tutti mi domandano, e per lo più invano, non sapendosi qui nulla del mondo, se non a caso. Ditegli da mia parte le cose più amorevoli che sapete. Ricordatemi al Ta- verna, al Colombo e al Toschi, di tutti i quali è un secolo che non ho nuove. >' Quando il Giordani, dopo la morte del Leopardi, dubitando che questi non avesse corrisposto sempre al suo affetto, scrisse di lui al Brighenti quelle dure parole : — Pare che il cuore non corrispondesse al- l' ingegno — fu, senza volerlo, molto ingiusto verso l'amico suo. Quali sono le cose che il Leopardi pensò e scrisse nell'inverno dal 1834 al 1835? — Certamente i due canti Sopra tm basso rilievo antico sepolcrale e Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima.

    • Epistolario, voi. ITI, pag. 13.

    CuiABixi, Leop. 27 418 CAPITOLO XX. Il primo dei due canti, tutti due composti di strofe libere con rime al mezzo, si ricollega sotto un certo punto di vista alla poesia Amore e Morte, tratta cioè in parte lo stesso argomento con altri intendimenti e pensieri ; il secondo riprende, illustrandolo, un mo- tivo dell'Aspasia. In Amore e Morte, la Morte è un genio benefico, di bellissime forme, dolce a vedere, che annulla tutti i mali della vita, è la gentile compagna d'Amore ; nel canto sepolcrale la Morte riprende il triste aspetto che ha sempre avuto fra gli uomini; pare che il poeta voglia, non dirò disdire le lodi che già le diede, ma per lo meno attenuarle. Cioè, dopo averla in Amore e Morte rappresentata quale essa apparve per un istante alla sua fantasia in una dolce estasi d'amore, nel canto sepolcrale la rappresenta quale essa è real- mente. Egli vede animosa in atto, ma pur mesta, la bella giovane, rappresentata nel basso riUevo, in atto di par- tire, accomiatandosi dai suoi, e le domanda: Dove vai? chi ti chiama Lnnge dai cari tuoi, Bellissima donzella? Sola, peregrinando, il patrio tetto Si por tempo abbandoni? a questo soglio Tornerai tu? farai tu lieti un giorno Questi ch'oggi ti son piangendo intorno? Ad Amore e Morte il poeta aveva messo per epi- grafe il verso di Monandro, Muor giovane colui che ed cielo h caro; qui dallo domande, che il poeta fa alla donzella, si capisco che egli è in dubbio, so il de- stino di lei sia lieto o triste. E tale ò la risposta che, al fino di ciascuna dello tre strofe succedenti alla prima, il poeta dà a so medesimo. Dopo di che il roste della poesia, altre tre strofe di varia lunghezza, ò un seguito di incalzanti domande I DUE SODALI A NAPOLI. 419 alla fredda e inesorabile natura. Se il morire anzi tempo è male, perchè lo permetti nei giovani inno- centi ? Se è bene, perchè lo fai doloroso e inconsola- bile a chi parte e a chi resta nel mondo? Ahi perchè dopo Le travag^liose strade, almen la meta Non ci prescriver Heta?... E spaventoso in vista Più d'ogni flutto dimostrarci il porto? — Chi potrà, come pure si dovrebbe, desiderare la morte dei suoi cari, per vederli partirsi dal mondo, e rimanere quaggiù solo, abbandonato, a rimemorare invano la loro compagnia perduta per sempre ? — Come, ahi come, o natura, il cor ti soflre Di strappar dalle braccia All'amico l'amico, Al fratello il fratello, La prole al genitore. All'amante l'amore : e l' uno estinto, L'altro in vita serbar? A tutte queste domande il poeta risponde: da natura Altro negli atti suoi Che nostro male o nostro ben si cara. In questa poesia, nella quale vibra così forte il sentimento degli affetti che legano insieme la famiglia umana, l'autore fa l'enumerazione di tutti i mali e dolori che per mano della morte conturbano quelli aiìetti. La poesia è per ciò come l'antitesi di Amore e Morte. L'innamorato in certi casi è felice di morire: ma quando la morte strappa dalle braccia dell'amante l'amor suo, e spento l'uno serba l'altro in vita, li fa 420 CAPITOLO XX. infelici ambedue. Sotto l'influsso d'amore il poeta trovava la felicità da per tutto, perfin nella morte: ora che il suo estremo inganno è perito, trova da per tutto l'infelicità. La bellezza femminile è chiamata raggio divino in Aspasia, e gli effetti ch'essa produce sono para- gonati a quelli degli accordi musicali. Ch'alto mistero d'ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Nel canto Per il ritratto di bella donna il motivo musicale serve ad illustrare questo concetto: — La bellezza è viva immagine del cielo; ma un nonnulla basta a dissolverla e cambiarla in un oggetto abbo- minevole e disgustoso a vedere. — Qui il nocciolo della poesia sta tutto nel contrapposto fra i meravigliosi effetti della bellezza e la caducità di essa. Il canto è composto di quattro strofe : le due prime di diciannove versi ciascuna; le altre due più brevi, una di undici l'altra di sette. Nella prima strofa è la descrizione della bella donna effigiata nel marmo; descrizione non formale e plastica, ma rappresentata nei suoi effetti, e perciò tanto più efficace e meravigliosa: il dolce sguardo che fece tremare affisandosi in altrui, il labbro dal quale trabocca il piacere, il collo cinto già di desio, l'amo- rosa mano che senti farsi gelida la mano che strinse, il seno alla cui vista la gente impallidì. Tutto ciò fu; ora ò fango ed ossa. Ija seconda strofa descrivo la bellezza come sor- gente di pensieri, di sentimenti, eccelsi, immensi, o di speranze sovrumane, che tosto dileguano al dile- guare di lei. Non altrimenti (segue la terza strofa), mentre una musica deliziosa ti rapisco in un mondo arcano di sogni e di desiderii, superbi, iniiniti, so una stonaI DUE SODALI A NAPOLI. 421 tura ti ferisce l'orecchio, quel paradiso torna subito in nulla. Mistero eterno della natura umana; del quale il poeta nell'ultima strofa chiede la spiegazione con due domande, che rimangono senza risposta. Natura umana, or come, Se frale in tutto e vile, Se polve ed ombra sei, tan t'aito senti? Se in parte anco gentile, Come i più degni tuoi moti e pensieri Son così di leggieri Da sì basse cagioni e desti e spenti?

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