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Traduzione dal latino di Cosimo Bartoli (XVI secolo)
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VITA
DI
LEONBATISTA ALBERTI
SCRITTA
DAL CAV. AB. GIROLAMO TIRABOSCHI.
Leonbatista Alberti fu uno de’ più grandi uomini di questo secolo, in cui si videro maravigliosamente congiunte quasi tutte le scienze. Il co. Mazzucchelli ce ne ha date molte notizie (Scritt. ital. t. I. p. I. p. 310), ma nè tutte mi sembrano abbastanza provate, e più cose ancora non son rischiarate abbastanza. Ei non ha veduta fra le altre cose la Vita di quest’uomo erudito scritta da anonimo ma antico autore, e pubblicata dal Muratori (Script. rer. ital. vol. 25. p. 695) due anni prima ch’ei desse a luce il primo tomo de’ suoi Scrittori Italiani, la qual per altro è un Elogio anzichè una Vita. Ciò ch’è più strano si è, che anche nel secondo tomo degli Elogi degl’illustri Toscani stampato in Firenze nel 1768, e nell’ultima edizione delle Vite del Vasari fatta ivi nel 1771, questa Vita di Leonbatista Alberti è stata creduta inedita, e perciò dagli editori del Vasari in gran parte stampata. Egli era di antica e illustre famiglia e figlio di Lorenzo Alberti, com’egli stesso dice nel proemio alla sua commedia, che conservasi manoscritta in questa biblioteca estense, e sul principio dell’opera De commodis litterarum atque incommodis. In qual anno ei nascesse, non è ben certo. Il Manni afferma (De florent. inventis c. 31), ma senza recarne pruova, che ciò avvenisse nel 1398, e così pure si afferma nelle Novelle fiorentine (1745. p. 452). Il Bocchi lo differisce fino al secol seguente, ma senza spiegare in qual anno dicendo Florentiae natus est anno MCCCC..... (Elog. Vir florentin. p. 50). E io credo veramente ch’egli nascesse dopo il cominciamento del sec. XV.1. Perciocchè vedremo ch’egli in età di poco oltre a trent’anni inviò a Leonello marchese di Ferrara la sua commedia, e questi non cominciò a signoreggiare che nel 1441. Io dubito ancora s’ei veramente nascesse in Firenze. Il suddetto anonimo ci racconta ch’egli era non molto elegante scrittore nella lingua italiana, perchè patriam linguam apud exteras nationes per diutinum familiae Albertorum exilium educatus non tenebat. Or l’esilio degli Alberti si narra da Poggio fiorentino avvenuto la prima volta l’anno 1393 (Histor. l. 3.) e la seconda volta si assegna dall’Ammirato all’anno 1401. (Stor. di Fir. t. I. l. 16. ad h. a.). Ovunque egli nascesse, rammenta egli stesso l’amorosa sollecitudine con cui fu da suo padre allevato (De commod. Liter. et incommod. sub init.); e quindi, s’ei nacque veramente, come io congetturo, verso il 1414, non sembra che possa ammettersi ciò che si narra negli Elogi degl’illustri Fiorentini, che il padre morì in Padova nel 1422, quando non avendo
Leonbatista che otto anni di età, non poteva aver raccolto gran frutto dalla educazione ricevutane, nè era in istato di attendere allo studio de’ Canoni, come vedremo ch’egli allora faceva. L’anonimo ci dice gran cose del felice successo con cui egli ancor giovinetto si volse non solo agli studj, ma ancora a’ cavallereschi esercizj, frammischiando per isfuggire la noja gli uni agli altri. Nel giocare alla palla, nel lanciar dardi, nel danzare, nel correre, nella lotta e nel salire sopra erti monti, non avea chi lo pareggiasse. Saltava a piè giunti al disopra di un uomo ritto in piedi. Una saetta da lui lanciata trapassava qualunque forte corazza di ferro. Scagliava dalla mano con sì gran forza una piccola moneta d’argento, che giungeva alla volta di un altissimo tempio, e se ne udiva l’urtar che in essa faceva. Di tai prodigi di destrezza e di forza più altri ivi si accennano, e si aggiugne che apprese nel medesimo tempo a dipingere, a scolpire, a cantare. Cresciuto alquanto negli anni, si volse allo studio del Diritto canonico e del civile, ed egli stesso nel proemio della sua commedia ci dice che ciò fece in Bologna, e che in quel tempo morì suo padre: Mortuo Laurentio Alberto patre meo, cum ipse apud Bononiam juri pontificio operam darem, in ea disciplina enitebar ita proficere, ut meis essem carior et nostrae domui ornamento. Siegue egli pure a narrare che alcuni de’ suoi parenti si fecero allora a recargli molestia, come se invidiassero all’onore di cui cominciava a godere, e ch’egli per trovar sollievo alla noja, che ne sentiva, scrisse la sua commedia intitolata Philodoxeos, e poco prima avea detto ch’ei contava allora non più di vent’anni: ab adolescenti non majori annis XX. editam. Il che pure affermasi dall’anonimo. Questa commedia, come lo stesso Alberto soggiugne, non avendo ancora da lui ricevuta l’ultima mano, gli fu da un suo amico involata; e questi copiandola in fretta, vi aggiunse non pochi errori, e molti ancora ve ne aggiunsero gli scrittori che ne fecer più altre copie. Ed ella piacque per modo, che avendogli alcuni chiesto onde l’avesse tratta, ed avendo egli scherzando risposto di averla copiata da un antico codice, fu creduto, ed essa si ebbe per dieci anni, in cui girò per le mani di molti, cioè finchè egli giunse a 30 di età, per opera di antico autore. Finalmente avendo egli compiuti gli studj de’ Canoni, ed avendo ricevuto la laurea e ’l sacerdozio, aureo anulo, et flamine donatus, la ritoccò e corresse, e come sua divolgolla. E questa commedia, dic’egli, che quando credevasi antica, benchè fosse guasta e scorretta, era ammirata, or ch’io ne sono scoperto autore, benchè sia assai più emendata, vien disprezzata e derisa. Questa narrazione dell’Alberti finora non osservata, ch’io sappia, da alcuno, ci scuopre l’ origine dell’errore che fu poi preso da Aldo Manuzio il giovane, che nel 1588 pubblicò questa commedia sotto il nome di Lepido comico poeta antico, e trasse più altri in errore. Ed essa pruova insiem chiaramente che l’Alberti ne fu veramente, come altri ancora han già osservato, l’autore. Nel codice estense essa è dedicata al marchese Leonello d’Este. Del resto non è maraviglia ch’essa fosse allora creduta opera di antico scrittore; perchè, comunque scritta in prosa, ha nondimeno alquanto dello stile de’ comici antichi, e pruova lo studio che l’Alberti avea fatto nella lingua latina.
Continuava egli frattanto i suoi studj, quando, come racconta l’anonimo, fu preso da una mortal malattia che gl’indebolì le forze e la mente per modo, che spesso non si ricordava de’ nomi de’ suoi più cari amici. Quindi a persuasione de’ medici, lasciati gli studj ne’ quali era d’uopo affaticar la memoria, si volse in età di 24 anni a quelli che gli parevan richieder solo l’ingegno, cioè alla filosofia e alla matematica. In questo tempo però scrisse egli alcune di quelle operette che si hanno alle stampe, col titolo di Opuscoli morali, tradotti da Cosimo Bartoli, dei quali vedasi il co. Mazzucchelli. Alcune altre ne annovera l’anonimo, che da niuno si accennano, e che debbono esser perite, cioè una intitolata Ephebia, l’altra de Religione, e qualche altra. Alle quali si deve aggiungere un dialogo morale scritto in italiano, intitolato Theogenio, stampato prima in Venezia nel 1545, e poi inserito dal Bartoli fra gli altri Opuscoli, e di cui conservasi una copia assai elegantemente scritta in questa biblioteca estense con lettera dedicatoria dell’Alberti al marchese Leonello, nella quale egli accenna di essere stato in Ferrara, e di avervi da lui ricevuta dolce ed onorevole accoglienza: Et a me quando venni a visitarti, vedermi ricevuto da te chon tanta facilità et humanità, non fu inditio esserti bapt. alb. se non molto acceptissimo? In età di 30 anni egli era in Roma; perciocchè l’anonimo racconta ch’ivi in tal età scrisse nello spazio di soli 90 giorni i tre primi libri Della Famiglia; che gli spiacque non poco il vedere che niuno de’ suoi parenti degnolli di un guardo; e ch’egli voleva quasi gittarli al fuoco; ma che poscia tre anni dopo vi aggiunse il quarto, e che offrendolo ad essi, così lor disse: se voi vi siete saggi, comincerete ad amarmi; se no, la vostra malignità stessa tornerà a vostro danno. Questa maniera di favellare ci mostra che l’Alberti avea frattanto ottenuto di recarsi alla patria: ed ivi in fatti egli era nel 1441, perciocchè abbiamo altrove descritto (l. I. c. 2) il letterario combattimento che ad istanzia di Pietro de’ Medici e dell’Alberti si fece in quell’anno in Firenze. L’anno 1443 ei volle mandare a non so qual personaggio in Sicilia una copia della sua opera sopra la famiglia (la quale è rimasta inedita); e inviolla perciò a Leonardo Dati e a Tommaso Ceffi, acciocchè la esaminassero, e gliene dicessero il lor parere; ed essi liberamente gli scrissero nel giugno di quell’anno stesso, riprendendo in essa lo stile alquanto aspro, e il valersi ch’egli faceva dell’autorità altrui, senza citarne i nomi (Leon Dati ep. 13). Verso il tempo medesimo cominciò l’Alberti a dar pruova del suo valore in architettura. Delle fabbriche da lui disegnate parla il Vasari (Vite de’ Pitt. t. 2. p. 235. ec. ed fir. 1771), il quale però gliene attribuisce alcune che i moderni editori nelle lor note credono appartenere ad altri. Quelle, che da niuno gli si contrastano, sono il tempio di s. Francesco di Rimini cominciato nel 1447 e finito nel 1450, di cui però vuole il sig. Giambatista Costa, che la sola parte esterna fosse opera dell’Alberti (Miscellanea di Lucca t. 5. p. 77); quello di s. Andrea in Mantova; il palazzo di Cosimo Rucellai, e alcune altre che si posson veder presso il suddetto Vasari, il quale ne esamina i pregi insieme e i difetti. Ei dice ancora che, prima che a Rimini, ei fu in Roma ai tempi di Niccolò V., e che questo pontefice di lui si valse in opere di architettura. Ma se riflettasi, ch’egli fu eletto nel marzo dell’anno stesso, in cui l’Alberti fu adoperato in Rimini, si vedrà chiaramente che anzi da Rimini ei dovette passare a Roma. In fatti Mattia Palmieri, storico contemporaneo, racconta (Chron. t. I. Script. rer. ital. Florent. ad h. a.) che l’an. 1451 ei distolse Niccolò V. dal disegno che avea formato di fabbricare una nuova basilica vaticana. In Roma parimente egli era nel 1453 in cui accadde la congiura di Stefano Porcari contro Niccolò V. da lui stesso descritta; ed eravi anche verso l’anno 1460; perciocchè a questo tempo racconta Cristoforo Landino (quaest. camald. init.) che venendo egli da Roma a Firenze, trattennesi per qualche tempo nell’eremo di Camaldoli insieme con lui, con Lorenzo e Giuliano de’ Medici, con Alamanno Rinuccini, con Pietro e con Donato Acciajuoli, e con più altri eruditi, ed ivi s’introdussero que’ dotti ragionamenti che poi dal Landino furono esposti nelle sue Questioni camaldolesi, e nelle quali ebbe sì gran parte l’Alberti, disputando or su punti di filosofia morale, or sul poema di Virgilio. Egli era parimente in Firenze nel 1464, nel qual anno intervenne a un convito che Lorenzo de' Medici diede a’ più dotti che allora ivi erano (V. Bandini Specimen Litterat. florentin. t. 2. p. 108. ec.). Passò poscia di nuovo a Roma a’ tempi di Paolo II., cioè tra ’l 1464 e ’l 1471, ove abbiam veduto poc’anzi ch’ei trovossi insieme con f. Luca da Borgo Sansepolcro, e che questi confessa d’essere stato da lui ricevuto in sua casa, e per molti mesi ottimamente trattato. Il Palmieri è il solo fra gli scrittori di que’ tempi, che abbia fissata l’epoca della morte di Leonbatista, dicendo ch’ei morì in Roma l’anno 1472 (l. c. ad h. a.). Ed essendo egli scrittore contemporaneo, e che vivea nella stessa città, ove parimente morì l’anno 1483. (V. Zeno Diss. voss. t. 2. p. 169), questa testimonianza non ammette eccezione. Il co. Mazzucchelli, che non l’ha veduta, non essendo allora stampata la Cronaca del Palmieri, crede che l’Alberti morisse verso il 1480, e si vale a provarlo della lettera del Poliziano scritta a Lorenzo de’ Medici, in cui gl’indirizza l’Architettura dell’Alberti già morto, la qual lettera crede egli che sia scritta verso il detto tempo. Ma io rifletto che il Palmieri ci narra che fino dal 1452 offrì l’Alberti a Niccolò V. quella sua opera. Or se ciò non ostante ella non fu pubblicata in istampa, quando quest’invenzione s’introdusse in Italia, e quando egli viveva ancora; potè parimente ritardarsene di alcuni anni dopo la morte di lui la pubblicazione. E quindi potè il Poliziano scrivere quella lettera, e divolgar l’opera dell’Alberti solo verso il 1480, benchè ei fosse morto alcuni anni prima.
L’anonimo scrittor della Vita di Leonbatista, che poche notizie ci dà de’ varj avvenimenti di essa, molto in vece diffondesi nello spiegarne i costumi, l’indole e il fervor nello studio. Io lascerò in disparte ciò che al mio argomento non appartiene, come la non curanza che in lui era delle ricchezze, la pazienza con cui egli sostenne le ingiurie e le villanie di molti (del che però ci fa dubitare alquanto una lettera di Leonardo Bruni (l. 9. ep. 10.), in cui lo esorta a deporre la nimicizia che avea con alcuni), e altre simili doti dell’animo dell’Alberti, e solo riferirò in parte ciò che spetta agli studj. Egli dunque, secondo l’anonimo, dava volentieri a correggere le proprie sue opere, e con piacere riceveva le critiche che alcuno amichevolmente gliene facesse. Avido di apparar cose nuove, qualunque uom dotto sapesse esser giunto alla città, ov’egli era, cercava di renderselo amico, e da chiunque apprendeva volentieri ciò che pria non sapesse. Perfino a’ fabbri, agli architetti, a’ barcaruoli, a’ calzolai medesimi, e a’ sarti chiedeva se avessero qualche util segreto per renderlo poi a pubblica utilità comune e noto. Continuamente era intento a meditar qualche cosa; e anche sedendo a mensa andava ognor ruminando, ed era perciò sovente taciturno e pensoso. Ma all’occasione egli era piacevole parlatore, nè gli mancavano graziosi motti, con cui rallegrar la brigata. E molti ne riporta l’anonimo, che si stende su ciò più oltre ancora che non parea necessario. Alle lodi, di cui egli l’onora, corrispondono gli elogi che ne han fatto tutti gli scrittori di quei tempi. Tra molti, che potremmo recare, ne sceglieremo due soli di due uomini amendue dottissimi a quell’età, Angiolo Poliziano e Cristoforo Landino. Il primo nella lettera già citata a Lorenzo de’ Medici ne parla con queste onorevoli espressioni, ch’io recherò qui nell’original latino per non isminuirne punto la forza: Baptista Leo Florentinus e clarissima Albertorum familia, vir ingenii elegantia, acerrimi judicii, exquisitissimaeque doctrinae, cum complura alia egregia monumenta posteris reliquisset, tum libros elucubravit de architectura decem, quos propemodum emendatos perpolitosque editurus jam jam in lucem, ac tuo dedicaturus nomini, fato est functus.... Auctoris autem laudes non solum epistolae angustias, sed nostrae omnino pauperitatem orationis reformidant. Nullae quippe hunc hominem latuerunt quamlibet remotae litterae, quamlibet reconditae disciplinae. Dubitare possis, utrum ad oratoriam magis an ad poeticen factus, utrum gravior illi sermo fuerit an urbanior. Ita perscrutatus antiquitatis vestigia est, ut omnem veterum architectandi rationem et deprehenderit, et in exemplum revocaverit; sic ut non solum machinas et pegmata automataque permulta, sed formas quoque aedificiorum admirabiles excogitaverit. Optimus praeterea et pictor et statuarius est habitus, cum tamen interim ita ex amussim teneret omnia, ut vix pauci singula. Quare ego de illo, ut de Cartagine Sallustius, tacere satius puto, quam pauca dicere. Più magnifico ancora è l’elogio che ne fa il Landini nella sua apologia de’ Fiorentini premessa al Comento sopra Dante, e citata dal ch. can. Bandini (l. c. p. 231.): Ma dove lascio, dic’egli, Batista Alberti, o in che generazione di docti lo ripongo? Dirai tra’ Fisici? Certo affermo, esser nato solo per investigare solo i secreti della natura. Ma quale specie di Matematica gli fu incognita? lui geometra, lui astrologo, lui musico, e nella prospettiva maraviglioso, più che uomo di molti secoli; le quali tutte doctrine quanto in lui risplendessino, manifesto lo dimostrano i libri de architettura, da lui divinissimamente scripti, e’ quali sono riferti d’ogni doctrina ed illustrati di somma eloquentia; scripse de pictura; scripse de scolptura, el qual libro è intitolato statua. Nè solamente scripse, ma di propria mano fece, e restano nelle mani nostre comendatissime opere di pennello, di scalpello, di bulino, e di gecto da lui facte. Il Vasari però non crede degne di molta lode le pitture dell’Alberti, e io lascerò che di ciò decidano i maestri dell’arte, e passerò a dire per ultimo delle opere da lui composte, e delle ingegnose invenzioni da lui trovate.
Molte delle opere dell’Alberti sono state già da noi accennate, e si può vedere l’esatto catalogo che ne ha fatto il co. Mazzuchelli. Ad esso però si debbono aggiugnere quelle che noi abbiam riferite sull’autorità dell’anonimo, e alcune egloghe ed elegie, ora forse perite, delle quali parla il Landino in una sua orazione inedita citata dal can. Bandini (ib.): Ha scritto Batista Alberti et Egloghe et Elegie tali, che in quelle molto bene osserva i pastorali costumi, et in queste è maraviglioso ad exprimere, anzi quasi dipingere tutti gli afetti et perturbazioni amatorie; e finalmente la breve Storia della congiura inutilmente ordita l’anno 1453 da Stefano Porcari contro Niccolò V., che dal Muratori è stata data in luce (Script. rer. ital. vol. 25. p. 309. ec.). La più famosa tra le opere dell’Alberti sono i dieci libri d’Architettura, opera veramente dotta e per la erudizione ch’ei mostra de’ precetti degli antichi scrittori, e per le regole che prescrive a quest’arte, e per l’eleganza con cui le espone in latino, tanto più ammirabile in sì difficile argomento, quanto era allora più rara anche nelle materie piacevoli e leggiadre; nè è maraviglia perciò, che tante edizioni se ne siano fatte, e ch’ella sia stata ancora recata in altre lingue. Ai codici mss. che dal co. Mazzuchelli se ne annoverano, dee aggiugnersi uno scritto con eleganza e magnificenza non ordinaria, che ne ha questa biblioteca estense. Nè minor plauso ottennero i tre libri della Pittura stampati essi ancora più volte, e aggiunti da Raffaello da Fresne alla magnifica edizione del Trattato della Pittura di Leonardo da Vinci, ch’ei fece in Parigi l’anno 1651, a cui ancora premise la Vita di Leonbatista raccolta dal Vasari, e da altri scrittori2. Delle altre opere minori da lui composte, io lascio che ognun vegga il mentovato catalogo, e da esso ognuno potrà raccogliere che non v’ebbe sorta di scienza che da lui non fosse illustrata. Nè minor lode egli ottenne colle ingegnose sue invenzioni. Il sig. Domenico Maria Manni citando altri autori moderni, attribuisce all’Alberti (De florent. Inventis c. 31) l’invenzione di uno strumento con cui misurare la profondità del mare, e dice che ei ne ragiona nel sesto libro della sua Architettura. A me non è riuscito di trovare ivi tal cosa; ma forse ei ne avea parlato nel libro intorno alle Navi, ch’egli accenna di avere scritto, e che ora forse è perito: Alibi de navium rationibus in eo libello, qui Navis inscribitur, profusius prosecuti sumus (De Architect. l. 5. c. 12.), e poco appresso accenna alcune sue invenzioni per disciogliere e ricomporre in un momento il tavolato di una nave, e per altri usi in tempo di guerra, de’ quali riservasi a dire altrove3. Degno ancor d’esser letto è il modo con cui egli sollevò dal fondo del mare, benchè in più pezzi, una nave che dicevasi ivi sommersa da Trajano. Egli lo accenna nel passo poc’anzi citato; ma più lungamente il descrive Biondo Flavio (Ital. illustr. reg. 3.), il quale dice ancora com’essa fosse formata. Il Vasari aggiugne ch’egli nell’anno stesso in cui fu trovata la stampa (la qual epoca però si può difficilmente accertare), trovò per via d’uno strumento il modo di lucidare le prospettive naturali, e diminuire le figure, ed il modo parimenti da potere ridurre le cose piccole in maggior forma, e ringrandirle. Questa maniera di parlar del Vasari, che non è troppo chiara, riceve qualche maggior lume da ciò che narra l’anonimo, le cui parole recherò qui nel volgar nostro italiano: Scrisse egli (l’Alberti) alcuni libri sulla pittura, e con quest’arte fece opere non più udite, e incredibili a que’ medesimi che le vedeano. Ei le aveva racchiuse in una picciola cassa, e le mostrava per mezzo di un picciol foro. Tu avresti ivi veduti altissimi monti e vaste provincie intorno al mare, e più da lungi paesi così lontani, che l’occhio non ben giungeva a vederli. Tai cose eran da lui dette dimostrazioni, ed esse erano tali che i rozzi e i dotti credevano di veder cose reali, non già dipinte. Due sorti ne avea, altre diurne, altre notturne. Nelle notturne vedeansi Arturo, le Pleiadi, Orione, ed altre stelle splendenti; rimiravasi sorger la luna dietro alle cime de’ monti, e distinguevansi le stelle che precedon l’aurora. Nelle diurne vedeasi il Sole, che per ogni parte spargeva i suoi raggi. Ei fece stupire alcuni grandi della Grecia, ch’erano bene esperti nelle cose di mare; perciocchè mostrando loro per mezzo di quel picciolo pertugio, questo suo finto mondo, e chiedendo lor che vedessero; ecco, dissero, che noi veggiamo un’armata navale fra l’onde: essa giugnerà qua innanzi al mezzodì, se pure qualche tempesta non tratterralla; perciocchè veggiamo il mare che comincia a gonfiarsi, e ripercuote troppo i raggi del Sole. Egli era più intento a trovar tali cose, che a promulgarle, perciocchè più dilettavasi di esercitar l’ingegno, che di ottener fama. Questa descrizione sembra che non possa intendersi che di una camera ottica, di cui quindi converrebbe attribuir l’invenzione all’Alberti, e non a Giambatista Porta vissuto nel secol seguente; che comunemente n’è creduto l’inventore. Ma ancorchè ella fosse invenzion di altro genere, così essa, come l’altre sopraccennate, ci scuoprono che l’Alberti fu uno dei più gran genj che a questo secol vivessero, e ch’ebbe dalla natura un singolare talento per qualunque opera d’ingegno, a cui gli piacesse applicarsi.
- ↑ L’incertezza intorno all’anno della nascita dell’Alberti è ora tolta dalla nota trovata dal ch. ab. Serassi in una copia della prima edizione dell’opera de re Ædificatoria fatta in Firenze nel 1485, la qual conservasi presso i Minori Osservanti di Urbino, perciocchè sulla tavola interna di essa si legge scritto in carattere di quei tempi, ch’ei nacque in Genova a’ 18 di febbrajo del 1404 (Mem. per le Belle Arti t. 4. 1788. p. 20). Quindi rendesi or verisimile ciò, di che io avea dubitato, che il padre di Leonbatista morisse nel 1422. L’epoca della nascita di Leonbatista vien confermata con altri documenti e con altre pruove dal ch. p. Pompilio Pozzetti delle Scuole Pie nel bell’Elogio di quel celebre uomo da lui composto, e illustrato con copiose ed erudite annotazioni, e stampato in Firenze nel 1789, in cui della vita, degli studj e dell’opere dell’Alberti ragiona ampiamente non meno che esattamente. Egli però non si mostra disposto ad ammettere ch’ei nascesse in Genova, come si afferma nella memoria pubblicata dall’Ab. Serassi; e crede più verisimile che nascesse in Venezia, ove gli Alberti, partiti da Firenze in occasione delle fazioni di quella repubblica, eransi ritirati.
- ↑ Questi tre libri dell’Alberti colle altre opere qui indicate con un breve transunto dell’opera di Prospettiva del Pozzo furono anche tradotti in greco da Panagiotto cavalier di Dossara pittore peloponnesiaco; e il codice scritto nel 1720 si conserva nella celebre Biblioteca Nani in Venezia, come mi ha avvertito il ch. ab. Andres.
- ↑ Una bella Lettera su’ precetti d’Architettura, scritta da Leonbattista Alberti a Matteo della Bastia, è stata di fresco pubblicata dal p. ab. Mittarelli (bibl. MSS. s. Michael. Venet. p. 665. ec.)