< Vita nuova
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I
V - Fondamenti e criteri di questa edizione II

In quella parte del libro de la mia memoria, dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica, la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’asemplare1 in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.

  1. k dasemprarle.


Commento

scritte le parole. La lezione scritte molte cose e le parole, apparsa prima nella stampa di Pesaro, combattuta dal Todeschini, difesa dal Pasqualigo (Pensieri sull'allegoria della V. N., p. 18) non ha altro fondamento che p. Il Tod. osserva: «Sotto la rubrica Incipit vita nova non dovevano già essere scritte cose di vario genere, ma soltanto le parole, che porgevano argomento al libro della Vita Nuova». La questione per questa parte, cioè della ragionevolezza della variante, è veramente connessa con l'altra sul significato della voce parole in questo luogo. Se per esse si dovesse intendere solo le rime che lo scrittore aveva in mente, come vorrebbe il Renier (Giorn. stor. d. lett. ital., VII, 258, n. 1), si potrebbe credere che in molte cose fossero indicate le reminiscenze varie del suo amore assemplate nella parte prosaica della Vita Nuova. Ma concepita la memoria come un libro, anche le varie reminiscenze vengono necessariamente ad esser parole di questo libro: onde quel molte cose, oltre che mal sorretto dai testi, appare superfluo.

Le forme pleonastiche come asemplarle non sono rare negli antichi (cfr. le Annotazioni dei Deputati alla correzione del Decameron, nº xli), e un caso simile si ha anche qui appresso in V 4 e in Inf. V, 69. Ma quest’ultimo esempio è in rima; e in ambedue i casi della Vita Nuova k resta solo contro tutti gli altri testi, nè abbiamo ragioni speciali per adottare la lezione che ha meno conforto dai Mss. — Il Luciani preferisce la forma assemprare, e non crede che questo verbo «qui voglia dire ritrarre, copiare, bensì invece radunare». E il Fratic. prima e il Cas. poi, leggendo allo stesso modo, rimasero incerti fra le due interpretazioni. Ma tenendo conto della tendenza nei copisti a sostituire ad una forma letteraria la più usuale, asemplare, e non assemprare, parrà nel passo la forma preferibile, perchè S, e anche V, legge dasemplare, M di | semplare, e anche nel gruppo k troviamo dasemplarle in Am. Oltre a ciò comune è asemplare e asemprare per trascrivere, copiare codici e carte, ritrarre (Inf. XXIV,4); ma assemprare nel senso voluto dal Luciani non esiste: asembrare è nella stessa Vita Nuova (XXXIII 5) la forma del verbo usato a significare ‘raccogliere’. E che Dante in questo primo paragrafo intenda dire ‘ritrarre, trascrivere’ se n’ha la conferma dalla fine del § II.

La lezione assai vulgata libro, invece di libello, è data soltanto dal gruppo b. S’aggiunge contro di essa l’osservazione del Todeschini: «Poco prima Dante ha mentovato il libro della sua memoria: al paragone di questo libro era ben giusto che l’operetta breve e d’argomento tenue ch’egli si poneva a scrivere, non fosse chiamata che libello». E altre volte (avevano già avvertito gli Edd. Milanesi) Dante nella stessa Vita Nuova chiama libello questa sua opera (XXV 9; XXVIII 2). Così nel Conv. (II, 2) parlando di essa: E sì come è ragionato per me nello allegato libello.

Note

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