Sindrome mielodisplasica
Specialitàematologia
Classificazione e risorse esterne (EN)
ICD-O9989/3 e 998-999
ICD-9-CM238.7
ICD-10D46
OMIM614286
MeSHD009190
MedlinePlus007716
eMedicine988024
Sinonimi
Mielodisplasia

La definizione di sindromi mielodisplasiche (dette anche mielodisplasie) si riferisce ad un insieme di anomalie delle cellule midollari le cui manifestazioni principali sono citopenia periferica e disemopoiesi. Gli aspetti displastici sono indicatori per diagnosticare tale sindrome.

Epidemiologia

Si manifesta principalmente intorno alla quinta e sesta decade di età, raramente si riscontra in persone giovani.[1]

Eziologia

Le cause scatenanti per le forme primitive restano sconosciute. Più recentemente, sembra che delle situazioni in cui si abbia l'eccessiva stimolazione del recettore del Tumor Necrosis Factor alfa (TNF-α) possano contribuire ad una significativa proporzione di forme di mielodisplasia idiopatica. Ciò è stato dedotto dai risultati della terapia sperimentale su alcuni pazienti, trattati con un anticorpo monoclonale diretto contro il recettore del TNF-α, chiamato etanercept. Nel 2007 sono stati pubblicati dei risultati che sembrano validare l'ipotesi in cui il polimorfismo genetico dei recettori del TNF-α e del TGF-β sia positivamente associato con la comparsa di mielodisplasia. Invece per quelle secondarie si osservano episodi di esposizione a determinate polveri con metalli pesanti tipo piombo e arsenico, alcuni pesticidi, solventi industriali (derivati del naftalene o dello xilene) ma anche a radiazioni.

Clinica

Classificazione

La classificazione morfologica delle sindromi mielodisplasiche si è ottenuta nel 1982 grazie a quello che sarà chiamato “classificazione FAB” (Franco-Americano-britannica), nata grazie all'impegno coordinato di vari paesi:

  • Anemia refrattaria (AR), con blasti midollari inferiori al 5%
  • Anemia refrattaria con sideroblasti ad anello (ARSA), con blasti midollari inferiori al 5% e presenza di sideroblasti che costituiscono il 15% dei precursori eritroidi midollari
  • Anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB), con blasti midollari tra il 5% ed il 20% e blasti nel sangue periferico al 5%
  • Anemia refrattaria con eccesso di blasti in trasformazione (AREB-t), con blasti midollari tra il 20% ed il 30% e blasti nel sangue periferico tra il 5% ed il 29%
  • Leucemia mielomonocitica cronica (LMMC), con blasti midollari al 20%, blasti nel sangue periferico inferiori al 5%, e monociti superiori a 1000/mmc nel sangue periferico

La classificazione FAB dal 2014 non è più attuale, visto che per effettuare diagnosi di leucemia mieloide acuta basta già avere un numero di blasti in circolo al 20%, oggi viene utilizzata la classificazione WHO, così suddivisa:

Anemia refrattaria (AR): suddivisa nelle forme con o senza sideroblasti ad anello

Anemia refrattaria con eccesso di blasti (AREB): suddivisa nelle forme con meno o più del 10% di linfoblasti in circolo

Citopenia refrattaria multilineare (RCMD)

Sindrome con delezione del 5q

Sintomatologia

I sintomi ed i segni clinici mostrano: anemia, neutropenia e trombocitopenia. Nel sangue o nel midollo osseo può essere individuata la presenza di cellule anomale. Comuni anomalie sono:[2]

  • Numero eccessivo di cellule ematiche in sviluppo nel midollo osseo (midollo osseo iperplastico o ipercellulare)

o al contrario

  • Numero ridotto di cellule ematiche in sviluppo nel midollo osseo (midollo osseo ipoplastico o ipocellulare).
  • Numero eccessivo di blasti, o cellule che non sono ancora mature
  • Presenza di bastoncelli allungati chiamati corpi di Auer dovuti alla fusione di granuli azzurrofili anomali e vacuoli autofagici.
  • Presenza di sideroblasti ad anello, precursori anomali dei globuli rossi caratterizzati da un “anello” di ferro.
  • Malformazioni all'interno del citoplasma e dei nuclei, di cellule precursori dei globuli rossi e bianchi, e delle piastrine.

Terapia

Fino a 30 anni fa, la sola terapia possibile per le mielodisplasie era la terapia con dosi elevate di steroidi (soprattutto androgeni e glucocorticoidi) atta ad impedire o ritardare la trasformazione maligna leucemica. Agli inizi degli anni '90, sono stati sperimentati elevati dosaggi (maggiore di 2gr/die) di vitamina B6 o piridossina in certi gruppi selezionati di pazienti, più o meno in associazione ad uno steroide. Non tutti i pazienti hanno risposto in modo favorevole e nella maggior parte dei casi responsivi la trasformazione leucemica è stata solo ritardata, ma mai prevenuta. La terapia odierna da adottare è basata sulle guida linea del trattamento specifico.[3] è ad ampio raggio, presentando sia una terapia di supporto, a base trasfusionale di globuli rossi e piastrine, che su base farmacologica con ormoni, inibitori del recettore chinasico Flt3, della farnesiltransferasi e anti-angiogenetici per proteggere le persone dalla nascita di corpi tumorali, come la lenalidomide[4], arrivando all'uso della chemioterapia e in ultima istanza il trapianto del midollo osseo.

Diversi studi esplicitano una preferenza sull'uso aggressivo dei trattamenti[5]. C'è stata infatti una corrente di pensiero che supportava l'ipotesi di un trattamento con basse dosi di citosina arabinoside (anti-metabolita che blocca la sintesi del DNA) associato ad agenti alchilanti quali il clorambucile. Tuttavia, la pericolosità di un agente alchilante (sul DNA) in una situazione in cui esistono già delle anomalie genetiche di fondo, dovrebbe scoraggiare ulteriori tentativi in tal senso.

È stata tentata anche la terapia "cito-differenziativa", con la quale si cerca di provocare la maturazione forzata dei blasti midollari pre-maligni. La esametilene-bisacetamide (HMBA), un solvente polare planare, ha mostrato un'efficacia limitata anche se i risultati sono stati ottenuti da una coorte di pazienti troppo piccola. Studi più larghi hanno contemplato l'impiego di altri agenti differenzianti, come l'acido retinoico, i derivati della vitamina D3 e la 5-azacitidina, da soli o accoppiati a basse dosi di citarabina. Questi agenti sembrano essere più efficaci, ma sono ancora largamente sotto studio per confermarne l'efficacia.

Note

  1. Aul C, Giagounidis A, Germing U, Epidemiological features of myelodysplastic syndromes: results from regional cancer surveys and hospital-based statistics, in Int. J. Hematol., vol. 73, n. 4, 2001, pp. 405–10, PMID 11503953.
  2. Celgene. (2005). Manuale dello scrittore scientifico sui cancri del sangue e sui disturbi correlati.
  3. Guidelines fro therapy of MDS from the Italian society of hematology 2002, UK MDS Guidelines Group 2003
  4. List A, Kurtin S, Roe DJ, et al, Efficacy of lenalidomide in myelodysplastic syndromes, in N. Engl. J. Med., vol. 352, n. 6, 2005, pp. 549–57, DOI:10.1056/NEJMoa041668, PMID 15703420.
  5. Cutler CS, Lee SJ, Greenberg P, Deeg HJ, Perez WS, Anasetti C, Bolwell BJ, Cairo MS, Gale RP, Klein JP, Lazarus HM, Liesveld JL, McCarthy PL, Milone GA, Rizzo JD, Schultz KR, Trigg ME, Keating A, Weisdorf DJ, Antin JH, Horowitz MM, A decision analysis of allogeneic bone marrow transplantation for the myelodysplastic syndromes: delayed transplantation for low-risk myelodysplasia is associated with improved outcome., in Blood, vol. 104, n. 2, 2004, pp. 579-85, PMID 15039286.

Bibliografia

  • Gianluigi Castoldi, Liso Vincenzo, Malattie del sangue e degli organi ematopoietici quinta edizione, Milano, McGraw-Hill, 2007, ISBN 978-88-386-2394-3.
  • Joseph C. Segen, Concise Dictionary of Modern Medicine, New York, McGraw-Hill, 2006, ISBN 978-88-386-3917-3.
  • Douglas M. Anderson, A. Elliot Michelle, Mosby’s medical, nursing, & Allied Health Dictionary sesta edizione, New York, Piccin, 2004, ISBN 88-299-1716-8.
  • Harrison, Principi di Medicina Interna (il manuale - 16ª edizione), New York - Milano, McGraw-Hill, 2006, ISBN 88-386-2459-3.

Voci correlate

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