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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti dal 1828 al 1847
È MEJJO PERDE UN BON AMICO,
CHE UNA BBONA RISPOSTA.1
Jjer ar giorno, pe’ vvia de sto catarro
Der mi’ pover’uscello arifreddato,
Maggnat’appena du’ cucchiar de farro
4Curze2 da quer cirusico arrabbiato.
Ma io, ch’una ch’è una nun n’ingarro,3
Té lo trovai che ggià sse n’era annato
In frett’e in furia a rinnaccià uno sgarro4
8Co lo spezziale, er medico e ’r curato.
La mojje, che mme vedde mette a ssede,5
Disse inciurmata:6 “Ihì! ppuro7 la ssedia!
11Ve dà ffastidio d’aspettallo in piede?„
“Che! vve la logro?„8 io fesce9 a la scirusica:
“Pozziat’èsse10 ammazzata a la commedia!11
14Accusì armanco12 creperete in musica.„
Roma, 17 novembre 1831. |
- ↑ [Proverbio]
- ↑ Corsi.
- ↑ Non ne indovino.
- ↑ A medicare una ferita.
- ↑ Mi vide mettermi a sedere.
- ↑ Ciurma, cipiglio. [Quindi inciurmata, col cipiglio, accigliata.]
- ↑ Pure.
- ↑ Logoro.
- ↑ [Feci]: Dissi.
- ↑ Possiate essere.
- ↑ [“Al teatro,„ perchè qualunque spettacolo teatrale per il Romanesco è commedia.]
- ↑ Almeno.
Note
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