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A FRANCESCO SAVERIO FABRE


quando dipingeva il mio volto,


SONETTO.1


Vigile è il cor sul mio sdegnoso aspetto,
     E qual tu il pingi, Artefice elegante,
     Dal dì ch’io vidi nel mio patrio tetto
     Libertà con incerte orme vagante.
Armi vaneggio, e il docile intelletto
     Contendo alle febee Vergini sante;
     Armi, armi grido; e Libertade affretto
     Più ognor deluso e pertinace amante.
Voce inerme che può? Marte raccende,
     Vedilo, all’opre e a sacra ira2 le genti;
     Siede Italia, e al flagel l’omero tende.
Pur, se nell’onta della Patria assorte
     Fien mie speranze, e i di taciti e spenti,
     Il mio volto per te vince la morte.

  1. Fu scritto nel 1813. Trovasi ricopiato di mano altrui, ma firmato dal Foscolo, sul primo foglio bianco dell’esemplare 157 delle Opere del Montecuccoli da lui donato al Fabre, e che ora si conserva nel Museo di Montpellier. Ne esiste una copia autografa in Firenze presso gli Eredi della Donna gentile, ed è attaccata dietro al ritratto del Poeta, dipinto su quello del Fabre dal Garagalli. Noi pubblicandolo abbiamo seguito la lezione di esso autografo.
  2. Intendi l’ira sacra de’ popoli europei contro l’oppressione del sommo Capitano, e che usufruttata e delusa, ne ha generate poi molte altre sacro-sante.


Note

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