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Traduzione dal greco di Achille Giulio Danesi (1886)
Antichità


Venere eterna in vario adorno trono
     Sedente, a Giove figlia, ingannatrice,
     Deh! con dolori non domarmi e danni
                              4O santa, l’alma,
Ma qua discendi, s’altre volte udisti
     Le mie preghiere con benigno orecchio,
     E per venirne a me l’aurea lasciasti
                              8Casa del padre,

Sopra il tuo carro da veloci addotta
     Passeri belli, a questa negra terra
     Volgenti le spesse ali qua dal cielo,
                              12In mezzo all’etra,
E giunser presto, e tu beata, un riso
     Dall’immortale tua faccia raggiando,
     Perchè sofferto avea mi richiedesti,
                              16Perchè ti chiamo,
Che voglio io più che sorga nel furente
     Animo mio e perchè ancora agogno
     Un lusinghiero amor: ― chi, mi chiedesti,
                              20Saffo t’offende?
Inver s’ei fugge, inseguiratti presto.
     Se non vuol doni, ei ne vorrà ben altri,
     Presto dovratti amar, s’egli non t’ama,
                              24Pur se non vuoi ―
Vieni anche adesso a me, dalle mie gravi
     Doglie mi salva, e compi quanto il mio
     Animo compier brama, ed alleata
                              28Mi sii tu stessa1.

  1. Ecco il nesso alquanto recondito dei pensieri di questa ode: Venere, vieni, come altra volta venisti, calando dal cielo e dicendomi: ― Che vuoi? Vieni anche ora, e salvami.

Note

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