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Traduzione dal greco di Ippolito Pindemonte (1781)
Antichità

 
 Venere eterna, in variopinto soglio,
  Di Giove fìglia, artefice d'inganni,
  O Augusta, il cor deh tu mi serba spoglio
  Di noje e affanni.

E traggi or quà, se mai pietosa un giorno,5
  Tutto a' miei prieghi il favor tuo donato,
  Dal paterno venisti almo soggiorno,
  Al cocchio aurato

Giugnendo il giogo. I passer lievi, belli
  Te guidavano intorno al fosco suolo10
  Battendo i vanni spesseggianti, snelli
  Tra l'aria e il polo,

Ma giunser ratti: tu di riso ornata
  Poi la faccia immortal, qual soffra assalto
  Di guai mi chiedi, e perchè te, beata,15
  Chiami io dall'alto.

Qual cosa io voglio più che fatta sia
  Al forsennato mio core, qual caggìa
  Novello amor ne' miei lacci: chi, o mia
  Saffo, ti oltraggia?20

S'ei fugge, ben ti seguirà tra poco,
  Doni farà, s'egli or ricusa i tuoi,
  E s'ei non t'ama, il vedrai tosto in foco,
  Se ancor nol vuoi.

Vienne pur ora, e sciogli a me la vita 25
  D'ogni aspra cura, e quanto io ti domando
  Che a me compiuto sia compj, e m'aita
  meco pugnando.


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