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A


V. BELLINI


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O D E 1


Tu, se avvien che il mio canto oggi t’appelli,
Trovator di suavi itali modi,
Dammi un raggio del sole onde t’abbelli,
                        Un suon di tue melodi!

5Sciolgo dal crin la civil quercia e il biondo
Premio d’eléi cimenti attico ulivo;
Di ciprio mirto alla mia chioma infrondo
                        Gentil serto votivo.
Ecco l’ara, ecco il dio. Da l’ardue sfere
10Onda mi vien di numeri divini:
Garzon’bennati e giovinette intere,
                        Leviamo inni a Bellini!
Puri, in candide vesti, il crin vestito
Di roridi ligustri e di viole,
15Convenite concordi al sacro rito,
                        Mescete inni e carole.
Appressatevi all’ara e voi che in fronte
Chiara avete del Genio orma divina,
Dal sen dischiuso del cenisio monte
                        20A la scillèa marina.
Tu dagli esperj colli a le devote
Sicule piagge, al nativo Etna riedi,
Tu, cultor de le Grazie e sacerdote,
                        La sacra orgia presiedi.
25Su la canizie tua santa di allori
Il sorriso dell’Arte ecco si avviva...

Cingi, o Pacini, i ridolenti fiori
                        Nati al Simeto in riva.
Ma chi mai del dolor sentì l’amara
30Punta, che schiude a gentilezza il core,
Dilunghi le profane orme dall’ara
                        Sacra al cantor d’amore.
Su la cetera sua d’astri lucente
Il dolor raccogliea trepido il volo,
35Quel dolor che ne l’alta ombra silente
                        Dà il canto a l’usignolo;
E del pudico amor nato gemello,
È dei petti mortali ignea catena,
Che i pigri infiamma, e del pensier rubello
                        40L’empie baldanze affrena.
Indi i sensi celesti e le beate
Voci echeggiò l’etnea valle negletta,..
Oh ponete gli sdegni, empj, spezzate
                        L’archilochea saetta!
45Qui nè cure mordaci, oggi, nè orrende
Gare e d’odio civil rabide erinni:
Limpidi come il sol che su noi splende
                        Dal cor sgorghino gl’inni.

Giacean le siracusie api dormenti
50Del folto di papiri Ànapo al margo,
Allor che un suon d’italici concenti
                        Destolle dal letargo.
E qui trasser frettose ove un soletto
Su la cetra esprimea gli estri del core:
55Era un biondo e pensoso giovinetto
                        Dal glauco occhio d’amore.
Lieto su quella cetra allor depose
Lo stuol de l’api armonïose il miele:
Indi al vario pensiero il suon rispose
                        60Più dolce e più fedele.
Così l’idillio un giorno ebbe Aretusa,
Come la linfa sua placido e terso;
Così parlano ancor Sorga e Valchiusa
                        L’acceso italo verso.
65Oh! benedetta sia l’arpa gentile
Che a cortesia le schive anime addestra,
Che piange il sol del fuggitivo aprile,
                        Che crede ed ammaestra!
Scendeva Orfeo da l’apollineo coro
70Fra l’ombre e i mostri de la selva Idea;

Era sol con la cetra, altro tesoro
                        Al mondo ei non avea.
E assiso all’ombra dell’aeree piante,
Cui da ferro giammai non venne insulto
75Ai ferrei cori suadea le sante
                        Leggi e de’ campi il culto.
Lasciati allora i biechi antri e il dispetto
Che di sangue imbevea le glebe avare,
Corser le proli al socïal banchetto,
                        80Statuîr nozze ed are.
Ubbidiente da l’aperto solco
L’oro sgorgò de le feconde spiche;
In commercio gentil mutò il bifolco
                        Onesti usi e fatiche.
85Sceso dal pelio giogo al mar profondo,
Sfidò gli eolj nembi il vacuo pino;
E in civile armonìa fu stretto il mondo
                        Dal casto inno divino.


(1867.)
  1. Quest’Ode, notevole di lirico movimento, fu scritta dal Rapisardi nella sua fervida giovinezza, con la speranza viva che la salma del Bellini, giacente allora in terra straniera, avesse sepoltura nella città natale. L’illustre Autore ce l’ha concessa con pronta cortesia; e noi ci onoriamo di presentarla intera, quale ispirazione d’antica severità, all’ammirazione di chi legge.

    L’Editore.


Note

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