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Questo testo fa parte della raccolta Versi di Giacomo Zanella


A MIA MADRE.

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     Al limitar di morte
Correvi, o madre. Colla cerea mano
Già picchiavi alle porte
Caliginose; e qual dall’oceàno
Sale sull’alba un zefiro, i tuoi veli
6L’aura agitava de’ propinqui cieli.

     De’ figli, o benedetta,
Il pianto udisti. Affranta, ma serena
Per la tua cameretta
L’orma ritenti con perplessa lena,
E ti par tutto novo, il cielo, i fiori
12Che con desío da’ chiusi vetri esplori.

     Rimani, o pia. La vita
Quali dolcezze a te più serbi ignoro;
Ma di tua santa aita
Ancor uopo ha quest’alma; ancor t’imploro
A’ virili anni miei fido riparo,
18Come già fosti al fanciulletto ignaro.

     Madre! Il tuo caro viso,
I santi detti tuoi che a me bambino,
Su’ tuoi ginocchi assiso,
Furon maestri, ancor contento inchino.
Semplici detti; ma l’ingegno umano
24Forse con frutto scandagliò l’arcano?

     Forse il pensier si acqueta,
Quando in eterno d’atomi tumulto
Che non ha legge o meta,
Pone de’ mondi il nascimento occulto?
Se mi grido fratel del sozzo urango
30Si appaga il core? o sente men di fango?

     Madre! Di dotte inchieste
Tornan ben lagrimevoli gli allori,
Se più crucciose e meste
Fansi le vite e più gelati i cori.
Se dal ver riedo meno eccelso e puro,
36Amo al tuo fianco riposarmi oscuro.

     La Fé che questo adorno
Rotante padiglion dell’universo
In preveduto giorno
Sia dall’abisso al divin cenno emerso;
Che l’uom primier pel mal gustato frutto
42Sé travolgesse e tutti i suoi nel lutto:

     La Fè che mi ragiona
D’un Vindice immortal che al giusto afflitto
Ricigne la corona
Che per poco usurpossi ebbro il delitto;
La Fè ch’oltre la tomba in diva luce,
48Ombra amorosa, a’ miei mi riconduce;

     Questa pia Fè che agli avi
Repubblicani benedì le vele;
Di Vergini soavi
A Raffaello popolò le tele;
Questa pia Fè già reo non fammi o stolto,
54Tal che ne celi per vergogna il volto.

     Finchè per lei mi sento
Cittadino non vil; finchè per lei
Il foco non è spento
Dell’arte che governa i pensier miei,
Madre, non fia, non fia che l’abbandoni
60Per seguir più superbi inani suoni.

     Varcan quaggiù sorelle
Sapïenza e Scïenza. Audace, esperta
Al correre, e le belle
Membra di screzïati ostri coperta,
Più cupida Scïenza e giovinetta
66Tutto il creato a misurar si getta.

     Scende nel mar: de’ venti
Cerca le patrie: di gemmate grotte
Ne’ lunghi avvolgimenti
Di titaniche età turba la notte:
Vola fra gli astri, e l’universo intero
72Disvelato vagheggia al suo pensiero.

     Ma più modesta il manto
E più soave al portamento, all’atto
Vien Sapïenza accanto
Della balda sorella; e tratto tratto
De’ rischi l’ammaestra e de’ divini
78All’ingegno mortal posti confini.

     Felice se all’accento
Della suora maggior l’orme misura
E tempra l’ardimento
L’altra del suo veder troppo sicura;
Nèttare allor, di nullo amaro infetto,
84È del ver la ricerca all’intelletto.

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